Per la recensione del volume di Félix Luis Viera, Il lavoro vi farà uomini. Omosessuali e dissidenti nei gulag di Fidel Castro (Edizioni Cargo, 2005), rimandiamo alla scheda di Gordiano Lupi pubblicata all'uscita della versione italiana del libro in Nuove copertine (correlazione in calce). Qui Lupi, partendo dal romanzo, intervista l'autore che fa il punto anche della situazione attuale di Cuba.
– Lei è stato recluso in un campo Umap. Ci può spiegare i motivi?
Accadde nel 1966. Il motivo vero era quello di punirmi, non certo di rieducarmi, perché lì dentro non si impartivano insegnamenti di nessun tipo, visto che tutto consisteva nel lavorare i campi. Io ho passato gli anni dell’adolescenza e della prima gioventù insieme a persone che non seguivano le regole del regime socialista. Trascorrevo molto tempo in compagnia di cantanti e comici di cabaret, omosessuali, persone che non lavoravano per libera scelta e altre che non facevano nessun danno, però neppure glorificavano il processo rivoluzionario. Credo che il modo di vestire di qualche mio conoscente, il mio abbigliamento eccentrico e i capelli lunghi abbiano contribuito a portarmi dentro una Umap. Posso affermare che quando mi hanno internato nel campo di lavoro obbligato non avevo niente contro la Rivoluzione Cubana.
– Il libro racconta in modo crudo e realistico, ma in forma di romanzo, la vita infame che conducevano gli internati in questi Gulag castristi. Può riassumerla per i nostri lettori?
Per essere sinceri non credo che le Umap raggiunsero mai gli aspetti di crudeltà che caratterizzarono i Gulag del comunismo stalinista. Il lavoro vi farà uomini è un romanzo basato su un fatto reale ed è costruito con personaggi presi dalla realtà. Descrive il calvario vissuto da un uomo che viene preso con la forza grazie a una legge ingiusta ed è condotto in un posto sconosciuto ma che sente orribile. Le persone che hanno più sofferto in questi campi di lavoro sono state internate nel 1965. Nelle Umap si lavorava dall’alba al tramonto, le punizioni per le mancanze erano eccessive, nelle baracche c’era un’insopportabile promiscuità, veniva praticata una disciplina di ferro, l’alimentazione era insufficiente e i prigionieri erano costantemente umiliati. I reclusi Umap erano trattati come esseri inferiori, nemici dell’umanità, anche se non avevano commesso nessun delitto. Quelli che subivano maggiori angherie erano i testimoni di Geova, che resistevano alle punizioni e alla disciplina imposta, ma non potevano neppure corrispondere con i loro familiari. Anche gli omosessuali soffrivano molto, soprattutto perché erano confinati negli accampamenti più appartati e vivevano in solitudine, senza contatti con il resto del gruppo. Il lavoro vi farà uomini non parla solo delle due Umap dove sono stato internato, ma ho cercato informazioni tra i primi reclutati di altri accampamenti nel 1966, perché ho cercato di fare un romanzo sulla vita nelle Umap che non parlasse solo della mia esperienza. Ho voluto esprimere quanto fosse ingiusto che un internato nelle Umap venisse bollato per sempre come un antisociale, una sorta di appestato, un soggetto da evitare. Alla fine del 1966, sia per la pressione internazionale, sia perché il Governo comprese che stava commettendo una sciocchezza oltre che un’ingiustizia, le condizioni di vita nelle Umap migliorarono un poco. Tagliarono i recinti di filo di ferro, migliorò l’alimentazione, si ridussero i giorni di lavoro, il rapporto tra chi dirigeva i campi e i prigionieri divenne più umano, vennero regolarizzate le visite dei familiari… In ogni caso continuava una reclusione ingiustificata di certe persone solo perché non erano allineate alla morale socialista. Credo che la cosa migliore del romanzo sia il modo in cui affronto la materia narrativa, dal punto di vista del protagonista e del suo specchio (la madre). Altrimenti il romanzo sarebbe stato soltanto un elenco di calamità, disgrazie e disavventure che alla lunga avrebbe annoiato il lettore. Per questo motivo ho atteso trent’anni prima di scrivere questa storia e mentre portavo avanti altri lavori pensavo sempre al modo in cui avrei potuto scrivere Il lavoro vi farà uomini. Non è stato facile, però credo di esserci riuscito.
– Chi veniva internato nelle Umap?
Religiosi di ogni culto: testimoni di Geova, evangelisti, avventisti, cattolici, battisti e praticanti dei vari culti sincretici esistenti in Cuba (santéros). Ma anche i cosiddetti antisociali: cittadini non “entusiasti” della rivoluzione socialista, omosessuali, soggetti che non si piegavano alle regole del lavoro, individui che esprimevano le loro opinioni sul governo e tutti coloro che venivano considerati socialmente inutili.
– Fino a quale anno sono state attive le UMAP?
Dal novembre del 1965 fino alla metà del 1968.
– Secondo lei perché in Italia certe verità sulla realtà cubana non vengono raccontate?
Non comprendo bene a cosa si riferisce perché non sono molto dentro alla realtà della stampa italiana. Penso però che si dovrebbero scrivere tanto le cose positive quanto le cose negative della Rivoluzione Cubana. Forse in Italia c’è carenza di informazione, oppure coloro che hanno scritto su Cuba non hanno le conoscenze necessarie per farlo. Può darsi che molti siano così romantici o dogmatici da voler vedere solo un lato del problema. Ho letto alcuni libri su Cuba scritti da Gianni Minà, un ottimo giornalista che si sforza di far conoscere molte verità sulle sofferenze dell’America Latina. Il problema è che quando parla di Cuba dimostra troppo romanticismo e descrive la realtà in maniera idilliaca. Questo non serve a niente e a nessuno. Tutte le società hanno aspetti positivi e negativi e devono essere raccontati entrambi. Il governo cubano dovrebbe accettare le critiche fatte sulla base di solide documentazioni, perché potrebbe servire a migliorare la situazione.
– Adesso a Cuba le Umap sono state chiuse. È un segnale che i tempi sono cambiati? C’è più libertà di espressione?
Le Umap non esistono più da quarantuno anni. Nel frattempo credo che Cuba sia cambiata in meglio, pure se molto resta ancora da fare. Oggi non si perseguono più gli omosessuali e neppure chi non vuole fare un lavoro stabile. Allo stesso modo non vengono repressi i culti religiosi, pure se le varie confessioni non hanno accesso ai mezzi di diffusione dell’informazione. Uno dei maggiori problemi di Cuba è la mancanza della libertà di espressione, perché lo Stato ha il monopolio della informazione a mezzo stampa, radio, televisione ed editoria. In questo senso la società cubana non è cambiata. Il lavoro vi farà uomini (titolo originale Un ciervo herido) non può essere pubblicato a Cuba, la stessa cosa è successa con altre opere letterarie di diversi autori cubani che denunciano qualche aspetto negativo della società. Nella stampa si fa solo demagogia e trionfalismo, mentre vengono omessi fatti rilevanti che accadono sia a Cuba che nel resto del mondo. Non sono cose positive. Penso che si dovrebbe pubblicare tutto ciò che ha un valore artistico, senza limitazioni dovute a motivi di censura politica. Il popolo cubano è preparato e sa distinguere tra il buono e il cattivo, sia in senso estetico che in senso morale. Il governo dovrebbe permettere l’accesso a internet da parte della popolazione, un mezzo molto utile per lo sviluppo individuale e della collettività. Il monopolio dei mezzi di informazione e dei mezzi economici da parte dello Stato sono i due fattori che più frenano lo sviluppo della società cubana.
– Da quanto tempo vive in Messico? Ci può dire perché è uscito da Cuba?
Mi sono trovato in Messico solo di passaggio, ma ormai sono undici anni che ci vivo. Il motivo è che lo stipendio che riscuotevo a Cuba non bastava a mantenere la mia famiglia, poi avevo anche una figlia malata e non potevo contare sull’aiuto economico di nessuno.
– Veniamo alla sua attività di scrittore. Ha pubblicato molti libri a Cuba. So che una raccolta di racconti ha ottenuto un prestigioso premio letterario. Quali sono i suoi libri di poesia e narrativa che ritiene più importanti?
Ho ottenuto in due occasioni il Premio della critica. Nel 1983 per il libro di racconti Las llamas en el cielo e nel 1988 per il romanzo Con tu vestido blanco, che nel 1987 ricevette anche il “Premio Nazionale del Romanzo” da parte della Unione degli Scrittori e Artisti di Cuba. Agli albori della carriera ho vinto il “Premio David di Poesia” e molti altri che non è il caso di menzionare. Il mio miglior libro di poesia è Prefiero los que cantan, pubblicato nel 1988 e frutto di nove anni di lavoro, ma anche Y me han dolido los cuchillos (1993). Nella narrativa citerei i romanzi Con tu vestito blanco e Un ciervo herido (Il lavoro vi farà uomini, in italiano), senza lasciare da parte il romanzo breve Inglaterra Hernández, pubblicato in Messico nel 1997 dalla Università Veracruzana, e che affronta la crisi economica che ha interessato Cuba dopo la scomparsa dei regimi socialisti, a partire dal 1990, nel decennio chiamato Periodo Speciale. A questi aggiungerei i libri di racconti Las llamas en el cielo e En el nombre del hijo.
– Molti suoi libri sono stati tradotti all’estero? Quali?
In realtà soltanto pochi. Due o tre. Una buona parte dei miei racconti e delle mie poesie sono state pubblicate in diversi paesi e in altre lingue, sia in pubblicazioni periodiche che in diverse antologie.
– In questo momento che costa sta scrivendo?
Ho un romanzo inedito al quale sto dando gli ultimi ritocchi, che si intitola El corazón del rey. Si tratta di un lavoro di largo respiro, oltre cinquecento cartelle, che affronta in maniera critica la instaurazione del socialismo a Cuba negli anni Sessanta. A parte l’aspetto dogmatico dell’opera, quello che viene fuori è soprattutto un affresco, una cronaca dei motivi e degli avvenimenti, che cerca di mettere in evidenza i pro e i contro. Lavoro anche a un libro di poesie, La patria es una naranja, che affronta il tema della nostalgia per la terra natale. Diversi frammenti di entrambe le opere sono state pubblicate su riviste e periodici letterari.
– Quali sono le sue speranze per Cuba?
Io spero che Cuba possa uscire presto dal baratro in cui è precipitata e che riesca poco a poco a realizzare una società moderna.
Gordiano Lupi