L’evidenza fa constatare quello che è inevitabile, ineluttabile. Quel qualcosa che costituisce un dato che non può essere altrimenti messo in discussione.
Per così dire: di fronte o davanti all’evidenza non ci si può che fermare.
E non ci si può che orientare.
L’evidenza non è mai né al di là e né al di qua di una cosa.
Essa è la natura delle cose. La natura di quella cosa particolare che si ha davanti. Non più trascendibile, non più schivabile; non intuibile ne deducibile e neppure immaginabile in qualsivoglia altro modo piuttosto che in quello specifico nel quale quella cosa si sta presentando in quel momento agli occhi di qualcuno. L’evidenza è la cosa. È parte della cosa ed è dato di fatto. Dato naturale, solamente rilevabile ai (o ricavabile dai) sensi o alla ragione oppure all’intuizione. L’evidenza si lascia vedere. È quella cosa lì. È quella cosa!
Per Barich Spinoza il dato naturale è la libertà. La libertà è ineluttabile. Essa è quell’evidenza suprema e sola che il suo Trattato Teologico-Politico ha il preciso scopo di portare alla luce e che Dio stesso ha voluto decretare per gli uomini, il loro mondo, la loro natura ma anche per l’intera natura da Lui creata e per tutte quante le cose. La libertà!
Ora, quando l’evidenza è la libertà (stabilita peraltro da Dio stesso attraverso le parole dei profeti che occupano le pagine della Sacra Scrittura), quando la suprema evidenza è proprio la libertà non si può che gioire.
E Spinoza, con la sua stessa vita interamente dedicata alla ricerca e vissuta nella solitudine più totale, è dunque il filosofo della gioia della conoscenza. Della gioia della scoperta e della verità.
Spinoza è il filosofo del piacere carnale della riflessione.
Della gioia più alta e vivace per la filosofia.
E Spinoza è anche il filosofo dello studio e della meditazione.
Quando il dato naturale stesso è la libertà e quando tale libertà viene inseguita per tutta la vita e con ogni mezzo e attraverso tutte le proprie opere, quando accade tutto questo: la gioia diventa un misto di divertimento e di letizia. La gioia diventa tensione ideale verso il nuovo dato di fatto non altrimenti eludibile; protendimento verso la cultura.
Quindi essa diventa gioia di essere uomini nel senso più pieno del termine.
Gioia di potersi vedere non immediatamente finiti, ma esseri dotati di ragione e di stimoli che vanno al di là dell’immediato. Esseri morali.
Uomini che rendono comunque onore alla vita (e fino in fondo) per ognuno dei soli quarantasei anni che è stato loro concesso di vivere.
Uomini la cui stessa vita è la gioia di vivere.
Spinoza è l’uomo della riflessione e della meditazione, certo, ma è anche l’uomo della libertà.
La suprema evidenza.
Nicola Abbagnano concludeva il capitolo da lui dedicato a Spinoza nel secondo volume della sua Storia della filosofia con queste parole: «e così questo filosofo della necessità, che ha concepito Dio, la sua azione creatrice e il suo governo nel mondo, come una vivente geometria infallibile, non ha avuto altro scopo nella sua opera speculativa che di garantire all’uomo la libertà dalle emozioni, la libertà politica e la libertà religiosa».(1)
Nel caso del Trattato Teologico-Politico in questione è la libertà religiosa.
In quest’opera Spinoza scopre questa evidenza. Questo dato naturale. E lo scopre nella sua disamina della Bibbia.
Che egli dichiara di voler compiere «con il proposito di non affermare nulla intorno ad essa e di non ammettere come sua dottrina nulla che in essa non risultasse chiarissimamente contenuto» (p. 7). O, come continua: «tutto questo dimostrerò ora punto per punto in base alla stessa Scrittura» (p. 51). Dunque Spinoza è l’uomo della libertà.
Una libertà assoluta ed evidente Spinoza riscontra in tutte le cose prodotte da Dio, in tutte le cose di cui è composta la natura. Una libertà che è assoluta proprio perché generata da Dio.
Dato naturale del Trattato Teologico-Politico è perciò la libertà del mondo naturale. La libertà degli uomini. Di fronte a tale evidenza non si può che gioire.
Ma, evidenza per evidenza: evidentemente così non fu.
O, almeno così non fu per tutti quelli che lessero e divulgarono le opere di Spinoza subito dopo la sua prematura morte per tubercolosi il 21 febbraio del 1677 all’età di quarantasei anni.
Infatti, l’accusa che accompagnò per lungo tempo la sua figura di intellettuale e di filosofo fu proprio quella di ateismo.
Un’accusa dettata dall’equivalenza (presente nella sua filosofia) tra Dio e Natura.
L’evidenza inaggirabile della libertà non fece piacere a qualcuno dunque.
Ma perché la libertà è così fastidiosa?
Perché non si prova della gioia a sentirsi dire da qualcuno che si è liberi?
Nelle sue opere, Norberto Bobbio ha sempre considerato la libertà come una nozione divisibile a sua volta in due nozioni distinte. La libertà da e la libertà di.
Un’evidenza ulteriore dice allora che la libertà di non possa dispiacere ad alcuno.
Tutti i problemi sembrano perciò nascere invece quando si dice a qualcuno: «Tu sei libero da» qualcosa.
Ciò si verifica probabilmente perché questo qualcosa recava sicurezza a quella persona.
Persona alla quale l’essere libero da procura invece timore, fastidio, pena.
Spinoza invece afferma a chiare lettere che noi tutti siamo liberi da tutto.
Che siamo spiriti ed esseri liberi.
E non ha nessun timore ad affermarlo.
E non ha nessuna pena a provarlo sempre e comunque.
L’evidenza della libertà gli procura anzi gioia.
E di fronte a un evidenza come quella della libertà e, del pari, di fronte alla gioia di qualcuno c’è chi nutrirà sempre dell’invidia o del risentimento.
Ma davanti all’evidenza della libertà, Spinoza non arretrerà mai.
Nemmeno di una virgola o di un punto.
Il dato naturale assoluto è la libertà che Dio ha voluto per il mondo degli uomini.
Per ogni cosa, per ogni donna, per ogni uomo, per ogni animale, per ogni pianta.
Libertà da costrizioni e libertà da paure e timori.
Una libertà che si può solo constatare.
Che si deve solo affermare e mai negare. Che si vuole dappertutto e sempre e comunque.
La Natura è libertà.
Sia pure, la Natura è ordine necessario meccanico e ineluttabile.
In questo senso, Spinoza si pone dunque come il filosofo dell’infinita possibilità per l’uomo di esplicare il proprio essere.
Come il filosofo della possibilità d’ogni espressione.
Il filosofo che punta sulla piena realizzazione di ogni uomo nel corso della sua vita.
Il filosofo del pieno potere dell’uomo sulle cose.
La ragione con Spinoza diventa possibilità inesausta.
Possibilità di esplicarsi che attende solamente di volersi esplicare e non di potersi esplicare.
La conoscenza, la scienza, così tenacemente ed esclusivamente coltivata da Baruch Spinoza lungo la sua breve vita, non era che una libera scelta.
Era una delle infinite possibilità che l’uomo Spinoza aveva di fronte a se e che poteva praticare come e quando voleva. E Spinoza poteva praticare la scienza perché egli era libero.
Egli era uno spirito libero fino in fondo.
Uno spirito libero che ha quindi scelto il nobile cammino della filosofia e della riflessione.
Spinoza ha scelto il pensiero nella sua libertà.
Nel Trattato Teologico-Politico il dato naturale della libertà è affermato sin dalle prime pagine. Infatti, Spinoza dichiara subito quanto segue: «poiché è dunque toccato a noi questo raro privilegio, di vivere in una Repubblica in cui è consentita a ognuno piena libertà di giudizio e la facoltà di onorare Dio secondo il proprio criterio, e dove nulla è stimato più caro e prezioso della libertà, ho ritenuto di non far cosa ingrata o inutile dimostrando che questa libertà non soltanto è compatibile con la pietà e con la pace dello Stato, ma anzi non può essere soppressa senza pregiudizio dalla stessa pietà e dalla stessa pace dello Stato: la dimostrazione di questo principio costituisce il principale intento di questo trattato» (p. 4).
Per dimostrare questo principio, dunque, Spinoza (come ho già detto) procede all’esame della Scrittura con la consapevolezza che «l’intera conoscenza di essa e delle cose spirituali debba ricavarsi da essa sola, e non dalle nozioni che noi possediamo per lume naturale» (p.8).
Intanto «la Scrittura non spiega le cose nelle loro cause prossime, ma soltanto le espone in quell’ordine e con quelle espressioni che più sono adatte a stimolare la devozione negli uomini e specialmente nel volgo; perciò essa parla di Dio e delle cose così impropriamente, non essendo suo proposito di convincere la ragione, ma di accendere e impegnare la fantasia e l’immaginazione degli uomini» (p. 162).
Ne abbiamo due conseguenze.
La prima è che «dalla stessa Scrittura senza alcuna difficoltà ne ambiguità percepiamo che la somma del suo insegnamento è di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi… questo è il fondamento dell’intera religione, tolto il quale crolla d’un tratto tutta la sua struttura» (p.328). La seconda dice che «tra la fede, o teologia, e la filosofia non esiste alcun rapporto né alcuna affinità… lo scopo della filosofia infatti non è altro che la verità, mentre quello della fede… è soltanto l’obbedienza e la pietà» (p. 351).
Dall’esame compiuto in questo modo della Scrittura, Spinoza trae anche la conclusione che «tutto, in verità, è prodotto dalla potenza di Dio: anzi… la potenza della Natura non è altro se non la stessa potenza di Dio» (p. 33).
E che «le leggi universali della natura, secondo le quali tutte le cose sono prodotte e determinate, non sono altro se non gli eterni decreti di Dio, che implicano sempre eterna verità e necessità» (p. 81).
Da ciò «ne segue che tutto ciò che l’uomo, il quale è a sua volta parte della natura, si procura come aiuto alla conservazione del proprio essere, o anche tutto ciò che la natura spontaneamente gli offre, senza sua opera, tutto gli è largito soprattutto dalla potenza divina, in quanto questa agisce sia tramite la natura umana sia per mezzo di cose estranee alla natura umana» (p. 81).
Ed inoltre, come Spinoza stesso aveva prima affermato «poiché la potenza universale dell’intera natura non è se non la potenza complessiva di tutti gli individui, ne segue che ciascun individuo ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere, ossia che il diritto di ciascuno si estende fin la dove si estende la sua determinata potenza» (p. 377).
Tutto ciò genera inevitabilmente il conflitto, la guerra, la tensione fra le parti.
A risolvere questa situazione di precarietà e di pericolo interviene il patto.
Patto che gli uomini stipulano fra loro ai fini della reciproca utilità e conservazione.
Infatti «il patto non può avere alcuna forza se non in ragione dell’utilità, tolta la quale il patto stesso viene contemporaneamente annullato e resta distrutto» (p. 381).
Dal patto nasce lo stato civile per necessità naturale.
Ovvero «quando uno trasferisce a un altro, spontaneamente o per forza, della propria potenza, altrettanto gli cede necessariamente del proprio diritto; e colui che detiene il pieno potere di costringere tutti con la forza e di frenarli con la minaccia della pena capitale, che tutti universalmente temono, si dice che ha il supremo diritto su tutti: diritto, che avrà soltanto finché conserverà questa potenza di fare quello che vuole; altrimenti il suo potere sarà precario, e nessuno che sia di lui più forte sarà tenuto ad obbedirgli se non vuole» (p. 382).
Il diritto supremo che ha la società civile in questo caso «si chiama “democrazia”, la quale si definisce, perciò, come l’unione di tutti gli uomini che ha collegialmente pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere» (p.382).
E Spinoza può a questo punto dimostrare del tutto quel teorema che si era proposto di dimostrare. Infatti egli non ha alcuna difficoltà ad ammettere che ha voluto discutere, in questo suo Trattato Teologico-Politico, di preferenza del governo democratico perché esso «mi pare il più naturale e il più conforme alla libertà che la natura consente a ciascuno» (p. 384).
Il fine del Trattato è dunque adempiuto e compiuto.
«Il vero fine dello Stato è, dunque, la libertà» (p. 482).
Infatti «se fosse altrettanto facile comandare alla coscienza quanto alla lingua, ognuno regnerebbe in piena sicurezza e nessun governo degenererebbe nella violenza, perché ognuno vivrebbe secondo le intenzioni dei governanti e soltanto in conformità alle loro prescrizioni giudicherebbe del vero e del falso, del bene e del male, dell’equo e dell’iniquo. Ma questo… non può avvenire, essendo impossibile che la coscienza soggiaccia assolutamente all’altrui diritto. Nessuno, infatti, può, né può essere costretto a trasferire ad altri il proprio naturale diritto, e cioè la propria facoltà di ragionare liberamente e di esprimere il proprio giudizio intorno a qualunque cosa. Ne viene di conseguenza che si giudica violento quel potere che si esercita sulle coscienze, e che la suprema maestà fa violenza ai sudditi e sembra usurpare il loro diritto quando pretenda di prescrivere a ciascuno che cosa debba accettare come vero e che cosa respingere come falso, e da quali opinioni l’animo di ciascuno debba essere mosso dall’esercizio dei suoi doveri verso Dio. Tutto questo, infatti, rientra nell’ambito del diritto individuale, al quale nessuno, anche se lo voglia, può rinunciare. Ammetto bensì che il giudizio possa essere molto spesso influenzato, e in maniera a volte incredibile, tanto che, pur non soggiacendo direttamente alla volontà altrui,penda tuttavia dalle labbra altrui in modo tale, da potersi dire con ragione che è ad altri soggetto. Ma, per quanto risultato l’artificio abbia potuto ottenere in questo campo, tuttavia non si arrivò però mai a tanto che gli uomini non sperimentassero che ognuno abbonda del proprio senso e che tanto variano le teste quanti sono i palati…. Per quanto, dunque, le supreme autorità abbiano diritto a ogni cosa e benché siano ritenute interpreti del diritto e della pietà, esse tuttavia non potranno mai far sì che gli uomini rinuncino ad esprimere il proprio giudizio secondo il proprio punto di vista intorno alle varie cose e che non si lascino trasportare nell’esprimerlo da questa o quella passione» (pp. 480-1).
Lo stato civile garantisce quella libertà che è un dato naturale per ogni uomo.
Quell’evidenza originaria dalla quale Spinoza stesso era partito e dalla quale, anche, tutto il mio discorso era partito.
E’ Dio stesso ad aver voluto la libertà per il suo mondo e per gli esseri che Egli ha creato in esso. E tutto ciò è risultato dalle stesse parole della Scrittura e dall’analisi che Spinoza ha compiuto su di essa utilizzando soltanto essa.
Ovvero dalle parole di Dio.
L’evidenza originaria è dunque stata raggiunta.
La libertà religiosa è stata provata.
E Spinoza ha compiuto la propria opera.
Gianfranco Cordì
Nda. Tutte le citazioni fra parentesi sono tratte dal volume: Baruch Spinoza, Trattato Teologico-Politico, Introduzione di Emilia Giancotti Boscherini. Traduzione e commenti di Antonio Droetto ed Emilia Giancotti Boscherini, Einaudi, Torino, 1972 e 1980.
(1) Nicola Abbagnano, Storia della filosofia. Volume secondo: La filosofia del Rinascimento. La filosofia moderna dei secoli XVII e XVIII, UTET, Torino, 1993, p. 301.