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Le predilette pupille del parroco
14 Aprile 2007
 

Qui a Firenze da un po’ di giorni la cronaca locale si è dispiegata sul caso di Don Lelio Cantini; parroco a Novoli per quaranta anni, fino al 2005, anno nel quale la giustizia vaticana, sollecitata da più parti, lo rimuove e trasferisce in altra parrocchia più di campagna. La Procura di Firenze (e qui al solo nome bisognerebbe aprire un capitolo lungo lungo sul governo ininterrotto da ormai quasi sessanta anni della sinistra su Firenze e Regione, sulla spartizione dei poteri fra le componenti delle sinistre, che ripete in piccolo le spartizioni romane tra palermitani e corleonesi, con tanto di connubio con la chiesa, con le opposizioni, con magistratura e massoni, ultimamente anche con gli zingari, popolo notoriamente portatore di pace, come ci viene propinato quotidianamente. Citare solo singoli episodi delle manifestazioni di potere democratico che abbiamo vissuto a Firenze sarebbe riduttivo oltre che mettere a serio rischio la vita lavorativa, già malconcia, di chi scrive); la Procura, dunque, ha ipotizzato a carico del Cantini abusi sessuali pluriaggravati e continuati su minori, che non è poco.

Nessuna vittima ha sporto denuncia formale agli organi competenti; le ipotizzate vittime, nell'ordine di decine, come se fossero cittadine vaticane, hanno scritto al vescovo, all'arcivescovo, e tanto hanno fatto che alla fine le gerarchie vaticane hanno giudicato di trasferirlo. A questo punto le vittime, indignate per non aver avuto giustizia, hanno rilasciato interviste e testimonianze raccolte e pubblicate con la grancassa dai giornali ghibellino-palermitani, che fanno finta di essere anticlericali ma poi sono più papisti del papa; però va detto che i giornali guelfi non si provano neanche a smentire nel merito, ma la buttano sul fatto che la campagna contro Don Cantini sarebbe pilotata ad hoc per impedire l'ascesa gerarchica imminente di un suo pupillo, il vescovo ausiliare di Firenze Claudio Maniago.

Fino a qui, i fatti. Le testimonianze pubblicate vanno dalle bambine predilette del parroco, a iniziare dai dieci anni in su, ai bambini prescelti per essere sacerdoti dalla perpetua veggente, di trenta anni più giovane, Rosanna Saveri, e sottoposti a martirio spirituale e corporale.

In tutto questo, che può essere vero oppure no o mezzo e mezzo, il procuratore Ubaldo Nannucci ha rimarcato, attraverso i giornali, che l'arcivescovo non aveva nessun obbligo di denuncia, non essendo un pubblico ufficiale. Non solo; se avesse violato la imposizione del segreto pontificio sui delitti contro il sesto comandamento, che è quello sugli atti impuri, sarebbe incorso in pene vaticane assai severe, fino alla scomunica; questo grazie alla Epistola “De delictis gravioribus”, firmata nel 2001 da Joseph Ratzinger, allora cardinale e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che sarebbe come dire i Guardiani della rivoluzione islamica.

Secondo questa edificante epistola il giudizio su un uomo della chiesa che si renda colpevole di gravi abusi su minori è affidato al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede, un po' come gli americani che non vogliono essere giudicati dal tribunale penale internazionale.

Ora può darsi che io di questi argomenti non ci capisca niente, perché da bambina nessuno mi ha costretto ad andare in chiesa a pregare, né narrato le vite dei santi, e sono totalmente ignorante dei nomi dei papi. Ma non capisco né le vittime, che fin da prima e comunque ora dovrebbero andare difilate a sporgere denuncia; né tantomeno questo distinto procuratore con i capelli bianchi che se ne lava le mani, prefigura, e si capisce che spera, che i reati ipotizzati siano già prescritti, cosa che accade per i reati di violenza sessuale aggravata, nell'ipotesi peggiore, dopo 14 anni. Mentre per la legge vaticana l'Epistola di Ratzinger fissa i termini in 10 anni, a decorrere dal compimento dei 18 anni età per i minori.

Su Repubblica dell'11 aprile l'argomento è salito alla cronaca nazionale, con un'intera pagina e l'intervista al Cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo di Firenze dall'83 al 2001, il quale dichiara di aver acquisito la certezza dei reati ipotizzati nel 2005, mentre precedentemente aveva avuto solo “sensazioni”; ci tiene a far capire che fuori si chiama: «Altri hanno il compito di dire. Non io»; una volta rassicurato sulle sue non-responsabilità legali italiane e vaticane, e lieto di scaricare la bollentissima patata all'attuale Arcivescovo, Ennio Antonelli, non si preoccupa più di mantenere il segreto pontificio che pure ancora sussiste sul fattaccio, anzi si spiega meglio parlando dell'incontro avuto nel 2005 con le vittime: «Ho creduto subito alle persone che avevo davanti. Si capiva che erano sincere. Ho avuto la percezione precisa che la loro fosse una storia vera». Così, tra una sensazione e una percezione, si capisce che Don Cantini, ormai ottantenne, non può certo essere messo ai ferri; quegli altri non c'entrano nulla, non lo sapevano e se anche avessero saputo non erano obbligati, anzi, era loro vietato sapere di saperlo. Ratzinger non scomunicherà nessuno, come se poi la scomunica fosse davvero una pena.

Uno l'ha saputo dopo che non era più arcivescovo, uno è diventato arcivescovo dopo che son successi i fatti, sempre che siano successi; il procuratore rimarca, quanto al papa il segreto pontificio è suo e ne fa quello che gli pare. Restano le predilette e i pupilli; una decina di pupilli sono diventati sacerdoti, e il prediletto dei pupilli sta salendo nelle gerarchie in modo ammirevole, nonostante la giovane età. Da tutti gli altri e altre ci si attende, evidentemente, un riservato, contrito, pontificio silenzio.

Don Cantini, ha scritto Ennio Antonelli, sentito il Tribunale apostolico ecc. ecc., non potrà confessare né celebrare la messa in pubblico né assumere incarichi ecclesiastici; dovrà fare offerte di beneficenza e recitare ogni giorno il Salmo 51 o le litanie della Madonna. E quanto alle vittime, l'invito, visto che «il male una volta compiuto non può essere annullato», è a «rielaborare in una prospettiva di fede la triste vicenda in cui siete stati coinvolti», e a invocare da Dio «la guarigione della memoria».

 

Claudia Sterzi

(da Notizie radicali, 13 aprile 2007)


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