Il Sottosegretario per i rapporti con Parlamento e Riforme istituzionali, Paolo Naccarato (foto), ha risposto oggi all'interpellanza urgente - a mia prima firma e sottoscritta anche dagli altri colleghi radicali Marco Beltrandi, Daniele Capezzone, Sergio D'Elia, Bruno Mellano, Maurizio Turco e dal capogruppo della Rosa nel Pugno Roberto Villetti - presentata per avere chiarimenti sull'evidente violazione del Concordato avutasi con la nota diffusa lo scorso 16 marzo dalla Pontificia accademia per la vita (Pav) che esortava i giudici cattolici al «doveroso esercizio» di una «coraggiosa obiezione» nell'applicazione di quelle «norme giuridiche vigenti, sia quelle codificate sia quelle definite dai tribunali e dalle sentenze dei tribunali" che contrastano con i dettami della fede cattolica».
Nella lezioncina di risposta, il sottosegretario ha riassunto la storia dei rapporti Stato italiano - Chiesa cattolica partendo dagli articoli 7 e 8 della Costituzione per arrivare ai giorni d'oggi, escludendo la possibilità di violazione del Concordato. Secondo la Presidenza del Consiglio le esortazioni della Pav che erano indirizzate a tutti gli Stati e non solo allo Stato italiano, rientrano nelle libertà di espressione della Chiesa. Saranno poi i cittadini che decideranno se considerarle o meno!
Non dichiarandomi soddisfatta della risposta ho ricordato che l'appello contenuto nel documento è un «invito doveroso» e tecnicamente una istigazione a violare le leggi esercitato nei confronti di una categoria ben precisa: quella dei giudici. Quanto detto da Naccarato avrebbe senso se in Italia non esistesse il reato di istigazione a delinquere, ma questo reato d'opinione, purtroppo c'è.
È importante precisare che l'obiezione di coscienza può essere praticata con la disobbedienza civile, come più volte è stato fatto dai Radicali nelle loro battaglie, e quindi con l'autodenuncia e la richiesta di condanna per avere violato una legge ritenuta ingiusta, di cui si sollecita una modifica. Può essere anche prevista dalla legge e praticata perciò nel pieno rispetto della normativa vigente, come è successo dall'approvazione della legge nel 1975 che riconosceva il diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare, fino a quando la leva è stata obbligatoria. E non ultima è l'obiezione di coscienza del medico che può esistere solo in quanto ammessa dalla legge, come nel caso della legge 194/78 sull'aborto. Costituisce reato laddove il medesimo sanitario eserciti la propria disobbedienza fuori dai casi tassativamente previsti.
La disobbedienza a cui si riferisce l'esortazione della Pav, che non a caso la definisce «coraggiosa», inequivocabilmente fuoriesce dai casi tassativamente previsti, perché si riferisce anche a categorie che non hanno alcuna possibilità legale di obiettare alla legge secondo propria coscienza, ad esempio i magistrati. L'istigazione quindi esiste eccome e appare tanto più grave quando è rivolta ad una categoria di pubblici ufficiali e funzionari quali i magistrati, soggetti per il dettato dell'art. 101 della Costituzione esclusivamente alla legge. La Corte Costituzionale ha chiarito in più occasioni che l'obiezione di coscienza dei giudici è in netto contrasto con la tutela dell'ordine giuridico. Pare evidente che una disobbedienza civile degli organi dello Stato deputati proprio a far rispettare quella legge a cui disobbediscono, si tradurrebbe nella morte dello Stato di Diritto e della legalità. Nonché nell'imposizione della propria scelta disobbediente a chi si era invece rivolto al magistrato proprio perché agisce in nome del popolo italiano.
Oltre a questa interpellanza ho inviato a 40 procure un esposto/denuncia in cui chiedo di verificare la sussistenza dei reati di istigazione a delinquere e violazione del Concordato. Invito tutti i cittadini a fare altrettanto ricordando che dal sito dell'Aduc (associazione per i diritti degli utenti e consumatori www.aduc.it) può essere scaricato il modulo per effettuare l'esposto.
Donatella Poretti