Strana sorte quella della legge ex Cirielli. Unico caso nella storia della nostra legislazione: anziché il nome del suo proponente essa porta il nome dell’abiura, del disconoscimento di paternità che l’originario proponente ne ha fatto. Questo infatti significa quell’“ex”, oramai d’obbligo nell’indicare la legge che, sul finire della scorsa legislatura, ha modificato il regime della prescrizione e, purtroppo, ha aggiunto diverse altre modifiche alla nostra tormentata e “ballerina” legislazione penale.
Ora la nuova maggioranza, ed il ministro Mastella, pronti a raccogliere il “grido di dolore” con il quale i magistrati hanno salutato tutte le leggi approvate nella scorsa legislatura in fatto di giustizia, si propongono di abolire o di cambiare completamente il contenuto della legge “ex Cirielli” che così diventerà ex e basta. Una legge che passerà alla storia per la brevità della sua vita. Oltre, purtroppo, che per tracce che ne hanno segnato malauguratamente la sua nascita e che, invece, sembrano destinate a rimanere là dove sarebbe stato bene non fossero mai apparse.
In sostanza la legge Cirielli doveva modificare il regime della prescrizione, abbassando, in generale, il lasso di tempo necessario al maturare dell’istituto estintivo del reato, ed aumentando invece il tempo necessario a prescrivere i reati commessi da recidivi. In sostanza un “doppio binario”, una soluzione non proprio rispondente a canoni di armonia ordinamentale.
Gravava poi sul progetto originario il sospetto che l’innovazione fosse stata proposta per favorire la posizione di Previti, che avrebbe potuto così chiudere le sue gravose pendenze giudiziarie.
Di qui il “disconoscimento di paternità” da parte del proponente Cirielli ed il passaggio alla storia con quell’ex, marchio di una incerta e poco legittima origine. Non solo, ma per “compensare” il sospetto di lassismo gravante sulla legge, la maggioranza di allora ritenne di dovervi inserire una sorta di “omaggio” al forcaiolismo, introducendo una serie di aumenti di pena per i soliti reati di mafia e attinenti alla mafia, come il favoreggiamento e persino la somministrazione di cibi e bevande ad associati a delinquere e mafiosi (art. 418 c.p.), reato, che risale all’epoca in cui i “malfattori” associati si presentavano con cappelli a pan di zucchero ed armati di trombone, e che oggi, per le norme nuove cui fa riferimento, è addirittura grottesco e ridicolo.
Ora, dunque, Mastella vuole abolirne le norme sulla prescrizione, a quanto pare lasciando sopravvivere quelle “date in cambio” sull’aggravamento, in misura abnorme, come si è visto, non priva di particolari grotteschi, delle pene per certi reati.
Ma, poiché ogni occasione è buona per infilare nel nostro povero codice penale qualche balzana novità e qualche autentica stravaganza, così pare che Mastella voglia inserire in questa “legge attaccapanni” (tale quando fu varata, e tale nel momento in cui sta per essere abolita) un nuovo istituto: la “messa in prova” dell’imputato. Questi, se il reato non supera una certa gravità misurata con riferimento alla pena prevista, può veder sospeso il processo previa determinazione di una sorta di “programma di ravvedimento” con condizioni in ordine al comportamento per un certo numero di anni e con la previsione di una composizione con la parte lesa. Decorso il termine con positivo verificarsi delle condizioni, l’azione penale ed il reato sarebbero estinti.
Così Mastella si propone di “sfoltire” i processi ed accorciarne di conseguenza i tempi. Che è poi tutto quanto gli sembra di capire dei problemi della giustizia. Un minimo di buon senso dovrebbe invece far comprendere come sia impossibile fare un “programma” senza aver prima stabilito se l’imputato è reo o innocente, non potendosi (è almeno da sperare) imporre condizioni e programmi all’innocente. Quanto al reo, una volta accertata la verità, la storia del “programma” invece che la condanna non sembra una innovazione particolarmente felice, né di facile attuazione e verifica. Tutto, si direbbe, finirebbe per comportare che per ogni reato realmente commesso invece di un processo se ne facciano due. In compenso sarebbero ambedue ancor più sommarii di quelli già in uso, celebrati, come si suol dire (o come si soleva dire) “con lo stampone”, in modo stereotipato.
Mastella crede di aver scoperto l’uovo di Colombo con il “programma”. Cerca di infilarne qualcuno dove capita. Ora vuole il programma in luogo della condanna. È più probabile che riesca ad inventare un programma in luogo della giustizia.
Mauro Mellini e Alessio Di Carlo
(da Giustizia Giusta, 10 aprile 2007)