La notizia che il giorno di Pasqua a San Donato di Mango è stata riaperta ai visitatori in forma ancora non ufficiale la “Casa delle Memorie” e che la cerimonia di riapertura festosa è fissata per le ore 16 del 25 aprile è in sé, oggi, un evento così marginale da non poter trovare spazio nei servizi di informazione svolti da quotidiani, settimanali, periodici, radio e televisioni. Non ci sono scandali intorno a questo evento, né polemiche, né strategie di marketing culturale, né personaggi famosi.
Succede, anzi, che San Donato sia solo una frazione di “quel vero Sinai delle colline” che Fenoglio collocava oltre Mango, che Mango, come municipalità, abbia sempre meno risorse da destinare alla promozione turistica del territorio, e che la sede della casa delle memorie sia in realtà una vecchia canonica di impianto seicentesco, sul sito di una preesistente ecclesia de fraveis, citata già al tempo dei longobardi, fino al 1939 dimora di un cappellano maestro, da anni sede vacante di una parrocchia inglobata in quella del capoluogo.
Ma la riapertura della sede-museo dell’Associazione Arvangia che dal 1994 ha in locazione i locali della vecchia canonica e ha speso centinaia di milioni di vecchie lire per ristrutturarla e trasformarla in un punto di riferimento del turismo culturale e scolastico che si muove alla ricerca dei luoghi fenogliani e dell’antica malora contadina è, in realtà, avvenimento emblematico che sarebbe un peccato passare sotto silenzio.
In primo luogo perché a suo tempo giornalisti di vaglia come Fabio Felicetti per il Corriere della Sera, Roberto Badino per il Secolo XIX, Bruno Marchiaro per La Stampa, Paola Taraglio per il Messaggero di Sant’Antonio avevano avuto l’intuizione di cosa la vecchia canonica in disuso avrebbe potuto rappresentare, anche se a prenderla sotto tutela erano soltanto i soci di un sodalizio no profit senza santi in paradiso.
In secondo luogo perché dal 1994 ad oggi le fonti di finanziamento della struttura sono stati quasi esclusivamente i proventi del tesseramento annuale che muove ogni anno circa cinquecento persone disseminate in ogni angolo di Piemonte a diventare arvangisti. Ed è per questo motivo che la riapertura della casa delle memorie coincide quest’anno con l’Assemblea Soci convocata per le ore 15 di mercoledì 25 aprile, per consegnare idealmente ai soci finanziatori e alla comunità locale gli spazi esterni oggetto di interventi di riqualificazione realizzati dall’impresa edile di Massimo e Pio Sandrino, maestri muratori vincitori del premio “Case di Pietra”, edizione 2003, su progetto gratuito dell’ing. Giorgio Domini di Alba.
Ma cosa rappresenta oggi nel blasonato turismo che con sempre maggiore insistenza richiama in vita l’aristocrazia sabauda un edificio che ha come percorsi di visita una sala dedicata alla guerra partigiana (“I banditi di don Bestia”), una sala dedicata alla scuola rurale in epoca fascista (“L’angolo del naso bagnato”), una sala dedicata ai movimenti migratori (“I paesi senza luna”), due ambienti che evocano la cappellania di inizio Novecento, cucina e camera da letto, un vecchio pollaio trasformato in atelier col nome di “Nido dell’artista”?
San Donato di Mango è un borgo di storia millenaria, vissuto sempre in povertà, che sembra non avere nulla di importante se non l’odore dei campi. Eppure in un Piemonte che è terra di castelli, di palazzi, di chiese stupefacenti, di collezioni, gallerie e musei con la M maiuscola, proprio le cose senza pregio che ostinatamente l’Associazione Arvangia cerca di valorizzare sono diventate il punto di forza, l’attrattiva, della “Casa delle Memorie”. Le cose abbandonate, dimesse, deteriorate, senza valore economico evidente. Oggetti e attrezzi che rivelano l’astuzia e l’inventiva dell’uomo e l’uso antico al quale erano stati destinati. Oggetti e attrezzi trovati da volontari nei campi, nei cortili delle cascine, sotto i porticati di case diroccate, persino, qualche volta, in una discarica. In alcuni casi comprati ai rigattieri e ai contadini del luogo, ben contenti di ricevere inaspettatamente qualcosa da un oggetto che non aveva più né valore né uso. In Piemonte esistono molti musei dedicati alla tradizione e al mondo contadino, probabilmente troppi. Ma la “Casa delle Memorie” non è da intendere come museo in senso tradizionale. È più cose insieme. I contenuti espositivi, collocati nei vari ambienti, sono diventati essi stessi elemento museografico, al tempo stesso contenuto e involucro del passato che evocano e lasciano affiorare. La visita alla Casa obbliga ad interrogarsi sull’uso originario delle cose che si vedono e sul significato diverso che assumono nel presente. Non può essere una visita superficiale come tappa obbligata di un itinerario affrettato e stancante. Richiede consapevolezza e un silenzioso apprezzamento che renda onore ai gesti, alle fatiche, alla semplicità della gente che viveva nel Sinai delle colline, il cui ricordo è mantenuto vivo e, nel suo essere unico e prezioso, conservato gelosamente. Tante persone hanno lavorato gratuitamente in questi anni per rendere testimonianza alle memorie di quel mondo: Marco Poncellini come progettista, Mara Ghiglino ed Enrica Zingale come insegnanti, Giovanni Negro come partigiano, Emanuele Merlo, Oscar Pozzi, Carolina Pozzi, Gabriella Piccato, Giulia Marasso, Luis Polliotti, Marco Gallo, Roberto Carelli artisti o vincitori di borse di studio assegnate a giovani ricercatori, Luciano Ferrero, Dino Bona, Anna Corino, Pieraldo Rovetta, Giuseppina Isnardi, Graziella Negro, Maria Pelazza, Giovanni Tranchero come aiutanti, Stefanino Morra, Roberto e Italo Bisio, Remo Sacco come artigiani.
Nel futuro la “Casa delle Memorie” opererà lungo tre direzioni. La prima come percorso emozionale per riscoprire fatiche, sacrifici, speranze, gioie, dolori, pazienza, fantasie, povertà, paure e desideri che hanno scandito vita, affetti e lavoro di quella che viene oggi chiamata “La Langa perduta”. La seconda come luogo di incontri per studiosi, studenti universitari, interessati all’esperienza del passato come fonte di conoscenza, anche attraverso la sala proiezioni dedicata a Nuto Revelli. La terza per la produzione di video di cultura e civiltà piemontese nell’aula laboratorio il cui allestimento è stato curato dall’Informatica System di Vicoforte Mondovì e finanziato con il contributo erogato dal Gal Langhe e Roero leader di Bossolasco.
Al fine di evitare un uso improprio della propria sede museo, con visite che abbiano come protagonisti scolaresche annoiate e impreparate, portate in visita loro malgrado, l’Associazione Arvangia ha predisposto un apposito regolamento di visita e un documento di autorizzazione all’ingresso che deve essere richiesto ai responsabili del servizio di coordinamento e di apertura ai seguenti recapiti: info@casamemorie.it, cell.338-1761673.
Vorrei concludere ringraziando tutti quelli che hanno creduto in questo progetto, che lo hanno sostenuto e aiutato a crescere, anche e soprattutto i soci arvangia come Bruna Bello e Franca Gerbi di Asti che insieme a tante altre persone lo hanno sponsorizzato. Potrebbe essere la prima bandiera di un “museo diffuso” che si stratifica a macchia di leopardo, fino a comprendere edifici scolastici, cascinali, agriturismi, ciabot, terrazzamenti. L’associazione che rappresento ha catalizzato tanti diversi tipi di memorie in questi anni e può collaborare a far nascere altre case (dei giochi, delle scarpe, dei barattoli, degli orologi, delle masche, degli emigranti), scrigni preziosi dei nostri ricordi, delle povertà che ci appartengono. Come altri edifici pieni di cose inutili che mi auguro potranno affiancarla in futuro, la Casa dell’Arvangia ha in realtà molte porte d’ingresso, perché si allarga, spazia oltre le mura che la racchiudono. La memoria, quella che nasce dalla malora, non ha, per sua natura, un mercato ma possiede la semplicità e l’esattezza delle grandi opere d’arte con cui, cogliendo anche la più sottile venatura del legno o la più piccola traccia di ruggine, si può dare voce al paesaggio. Ed è proprio sull’intero paesaggio del mio mondo contadino, graffiato senza colpa dalla superstizione e dall’ignoranza dei miei antenati che ho sognato di mettere la scritta “Il museo è qui”.
Donato Bosca