Solo all’Avana puoi trovare una donna di fuoco, una donna che ti fruga l’anima in cerca del tuo cazzo e tu puoi raccontarle qualsiasi cosa della tua vita, di quel che fai, dei tuoi progetti. A lei non interessa niente. A lei interessa solo il tuo cazzo. E se capita di incontrare una donna così finisce che per un po’ di tempo non riesci a pensare ad altro che alla sua fica. Sì, perché questa donna si prende ogni spiraglio della tua vita, ti risucchia ogni istante e tu non ce la fai a fare altro che scopare. Allora finisce che non suoni, che non scrivi, che non dai più esami. Finisce male, ecco come finisce. Io lo so perché l’ho incontrata una donna di fuoco, una volta. Si chiamava Maria ed è stata colpa di Juliana, che Dio se la porti.
“Un giorno di questi vengo a sentirti suonare” mi fa Juliana una sera che ero a casa sua per prendere appunti sul nuovo romanzo che sto scrivendo, quello sui ricordi della sua vita, che se non ci fosse lei non saprei davvero come fare, non saprei che scrivere.
“Puoi venire sabato” le rispondo “suoniamo alla Casa della Cultura”.
Lei accetta con entusiasmo.
“Bene. Porto anche Maria” conclude.
Maria fa la jinetera con lei, quando cala la sera battono il Malecón a caccia di stranieri. Maria è una che dire che è puttana non rende bene l’idea per quanto è puttana. Maria è una donna di fuoco, una di quelle che dicevo prima, non c’è espressione migliore.
L’Esperanza è il complesso dove suono. C’è Paco che canta, Manuel che suona la tromba, Pablo la chitarra, io la batteria e Armando timbales e maracas. Facciamo musica tradizionale e rock, secondo il caso. Dipende da chi ci chiama a suonare. Alla Casa della Cultura di Luyanò c’è poco da fare: son e salsa, come da programma. Noi suoniamo e la gente balla. Finisce che nessuno si accorge di quel che facciamo e tutti pensano solo a bere e cercare donne da portarsi a letto. Non c’è una gran soddisfazione a suonare in un posto così. Stasera però c’è Juliana seduta in prima fila e almeno lei è venuta per me. È seduta in prima fila insieme alla sua amica Maria. Non è affatto male Maria. Alta, un bel culo sodo, una vera mulatta cubana. Penso che potrei anche provarci dopo lo spettacolo, non sarebbe una cattiva idea. Intanto suoniamo e la gente balla, come da copione. Quando ci fermiamo per far posto a un altro gruppo mi avvicino al tavolo di Juliana. La saluto. Lei mi presenta Maria. Io mi siedo e ordino una bottiglia di rum, una di cola e tre bicchieri. Beviamo insieme.
“Siete molto bravi” dice Maria.
“Grazie. Ma non è questa la musica che preferisco. Qui non si può fare di meglio. Vogliono salsa e salsa dobbiamo dare” rispondo.
“Tu sai ballare, Alejandro?” mi chiede all’improvviso.
“Quando suono preferisco il rock, ma per il ballo…”.
Era quello che voleva. Mi trascina in pista e ci mettiamo a ballare seguendo la musica del nuovo gruppo che si sta esibendo.
“Sei un ottimo ballerino” mi dice.
“Mi arrangio” rispondo.
Mi ha insegnato mia madre a ballare e ricordo quanto ha faticato perché io proprio non ne volevo sapere. Adesso devo solo ringraziarla. Grazie al ballo ho rimorchiato abbastanza in discoteca e ancora adesso qualche botta la piazzo. Speriamo in bene stasera, penso.
Maria si muove sensuale e si struscia al mio corpo a tempo di musica. Io non resto indifferente. Quando il mio membro viene a contatto con le sue natiche la fantasia corre via lontano. Torniamo a sedere e beviamo ancora qualche cubalibre. Juliana sorride.
“Sembrate due ottimi ballerini” dice.
“È in gamba il tuo amico” risponde Maria.
“Non darle retta. È lei la vera ballerina” dico io.
Torno sul palco con il gruppo per terminare l’esibizione. Adesso qualche pezzo di rock ce lo lasciano fare. Pochi però. La gente ascolta ma si vede chiaro che vogliono vederci finire per tornare a ballare. Mi è passata la voglia di suonare, stasera. Un po’ per questo cazzo di pubblico, un po’ per Maria. Adesso ho soltanto voglia di scopare.
“Ti accompagno?” le chiedo.
Lei accetta. Juliana ci saluta mentre ce ne andiamo, anche lei ha trovato compagnia e poi sulla mia moto c’è posto soltanto per due. Maria si stringe forte al mio petto e partiamo.
“Vuoi proprio portarmi a casa?” sussurra mentre il vento caldo della notte soffia sui nostri volti.
“Certo che no” rispondo.
“Allora fermati vicino al porto”.
La zona del porto industriale confina con la campagna ed è un posto poco frequentato. Spengo la moto e scendiamo. Maria mi prende per mano e indica uno spiazzo riparato tra i cespugli e una vecchia ceiba.
“È tutta la sera che ne ho voglia” dice.
Mi toglie i vestiti e comincia a leccarmi per tutto il corpo. Poi si spoglia anche lei. Afferra il membro, lo porta alla bocca e comincia a succhiare con avidità. Lui risponde subito bene. Mentre ballavamo era stato sufficiente che lei si strusciasse un po’ per provocare l’erezione. Adesso devo solo controllarmi per evitare brutte figure, con una come Maria sarebbe imperdonabile. Passiamo la notte a fare l’amore sull’erba bagnata di quella campagna ai confini del porto, tra i canti dei grilli e le luci soffuse dei terminal. Parliamo poco. A Maria piace fare l’amore, più che parlare. Finisco stremato e mi addormento sotto le stelle, ho solo il tempo di pensare che era un po’ che non passavo una notte così.
Per un paio di settimane Maria continua a cercarmi, mi chiede di fare l’amore nei posti più strani. È incontenibile.
“Maria è puttana dentro” dice Juliana.
“Le interessa soltanto il tuo cazzo” insiste.
Per due settimane ho soltanto scopato. Niente studio, niente prove, niente capitoli del nuovo romanzo. Niente di niente. Solo scopare. Avevo finito la riserva di pasticche energetiche e non sapevo come fare per trovarne ancora. Un bel giorno Maria è scomparsa nel nulla. Non mi ha più cercato.
“Lei è fatta così” ha detto Juliana “dopo un po’ gli uomini la annoiano”.
Per fortuna, ho pensato.
Altrimenti chi lo finiva il romanzo.
Alejandro Torreguitart Ruiz