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Diego Bruni: Il mondo di Tiziano Salari. Tesi Facoltà di Lettere e Filosofia di Torino (2)
Carlo Michelstaedter
Carlo Michelstaedter  
29 Aprile 2007
 

Critica letteraria

 

Gli agganci e i riferimenti filosofici nella produzione letteraria di questo autore sono innumerevoli. Sono già stati riscontrati nelle opere poetiche, in merito ai temi del Nulla, della frantumazione dell’io, della Torre, del labirinto da cui si vuole uscire, ecc. e sono numerosi anche nell’ambito dei lavori, saggi e articoli, di critica letteraria. Infatti attraverso la trattazione dei vari illustri poeti e scrittori dei quali analizza e commenta le opere, Salari fa continui confronti tra letteratura e filosofia, cioè tra le concezioni degli autori analizzati e il pensiero dei filosofi e, in generale, delle correnti filosofiche. Soprattutto, esamina il modo in cui gli scrittori trattati sviluppano tematiche come l’avviarsi della società verso il Nulla, i limiti, il dolore, l’angoscia e la morte individuale, ed evidenzia richiami e possibili analogie con le varie concezioni e correnti di pensiero filosofiche.

 

Uno degli esempi più significativi di questa convergenza tra filosofia e letteratura è fornito dal saggio Sotto il vulcano. Studi su Leopardi e altro. Si tratta di un’opera consistente in un insieme di saggi legati tra di loro, che affrontano i principali nodi da una parte del pensiero di Leopardi, dall’altra della concezione di vari esponenti della poesia e filosofia contemporanea, riconducibili, sotto molti aspetti, alle stesse problematiche. Numerosi sono i temi e gli spunti di riflessione emergenti nel saggio, a cominciare dal rimpianto leopardiano del mondo di “illusioni” in cui vivevano gli antichi e dalla concezione poetica leopardiana del rapporto uomo - natura, trattati come primi argomenti dell’opera. Nella prima parte del saggio viene, anzitutto, analizzato il primo periodo del pensiero poetico di Leopardi, consistente in un confronto tra una vita (quella moderna) fondata sulla consapevolezza della realtà e una (quella degli antichi) immersa nelle illusioni di armonia con la Natura: una Natura vista dagli uomini antichi come qualcosa di vivo, caldo e affascinante. In questo primo periodo della sua concezione il poeta di Recanati esprime anche il rimpianto di una felicità che sarebbe stata possibile rimanendo immersi nella Natura e nelle illusioni da essa indotte (concetto espresso in particolare nella canzone Alla primavera o delle favole antiche). Il secondo capitolo di questa prima parte del lavoro di Salari analizza invece la fase immediatamente successiva del pensiero leopardiano, cioè quella del totale accantonamento di questi ragionamenti di rimpianto delle illusioni e anche il momento dell’accettazione assolutamente disincantata della forza distruttiva della Natura e dell’incombere del Nulla sull’umanità. All’inizio di questo capitolo troviamo infatti un’analisi de La ginestra, che comincia con l’ambientazione in un territorio arido, se non addirittura desertico, e con la descrizione di una ginestra che si trova ai piedi del Vesuvio, e che sembra consapevole, così come il poeta, della propria debolezza rispetto alla immensa potenza della Natura. Una Natura che mette costantemente a repentaglio la vita in tutte le sue forme e che sembra non essere in grado di parlare se non attraverso azioni distruttive.

Si tratta di una tematica che può essere ricondotta al pessimismo leopardiano, e, in particolar modo, alla consapevolezza lucida e disincantata del nulla cui è destinato l’uomo e l’intero cosmo: quindi ad un’espressione del nulla che incombe sulla società.

Il motivo del Nulla e dell’annientamento può essere riscontrato nella sezione dell’opera dedicata al rapporto memoria - oblio, durata della memoria e extratemporalità, eterno incombere dell’oblio, in cui sono condannate a sprofondare sia la memoria individuale che quella collettiva. Oblio inteso, soprattutto nella sua forma estrema, la morte, come un annientamento che può servire a liberarsi di tutti gli affanni e le sofferenze della vita. E, d’altra parte, il filosofo Shopenhauer, riconducibile a Leopardi per la sua concezione profondamente pessimistica, sostiene che l’essere ha un notevole carico di sofferenze, tuttavia ha il terrore della morte, che deriva non dal pensiero dell’aldilà, ma dal sospetto che con la morte l’io scompaia e il mondo resti.

E su questo tema vi è un confluire di numerosi contributi: Shopenhauer, Shakespeare, Campana, Michaelstaedter, ecc.

Successivamente si parla di Rebora, della sua analisi della concezione leopardiana della musica, che deve recuperare il suo valore conoscitivo e le sue implicazioni metafisiche, la capacità di essere un’arte che agisce sui sentimenti più intimi dell’uomo, e che può anche diventare uno stimolo di ascensione e redenzione.

Infine, nelle sezioni conclusive, ritorna la problematica dell’annientamento e del deserto interiore, nella commedia del Belli La luce di Roma, in cui l’ambientazione in una Roma desertica è la stessa descritta da Leopardi all’inizio della Ginestra. Nella parte finale si tratta di due autori, Michelstaedter e Pavese, accomunati dal fatto di aver posto fine alla loro vita con il suicidio, e che incarnano aspetti della personalità leopardiana come la rivolta contro natura e società, la memoria luttuosa, lo sguardo sempre rivolto verso la fine.

 

Appare dunque evidente come Salari, nell’affrontare temi e problematiche come l’incombere del Nulla, l’annientamento e lo svuotamento interiore, realizzi un continuo gioco di “specchi” e di rimandi tra filosofia, letteratura e poesia. Inoltre esprime tali tematiche concentrandosi su vari scrittori ed esponendo le modalità in cui essi giungono a mostrarle. E questo avviene in particolare nel saggio di critica letteraria Il grande nulla. Percorsi tra Otto e Novecento, uno scritto nel quale il poeta e critico si sofferma su importanti scrittori di fine ‘800 e inizio ‘900, e mostra come tutti arrivino ad esprimere, ciascuno con le proprie modalità, stili e caratteristiche, la verità leopardiana del “tutto è nulla”, e a rappresentare come il tempo, la società a loro attuali siano sempre più invivibili. Salari espone i temi di questi autori in una vasta raggiera di citazioni, riferimenti, richiami per contrasto o per analogia, ma allo stesso tempo utilizzando un procedimento “aforistico”, cioè presentando temi e concetti sotto forma di sentenze esposte nel modo più semplice e spoglio possibile. In questo modo illustra come questi autori tendano all’annientamento di tutte le illusioni, e presentino il loro tempo come un “formidabile deserto”, in cui ci si trova circondati da vanità; ognuno lo esprime attraverso il proprio stile e la propria tematica principale: infatti si va dal mondo dei “vinti” descritto da Verga nel celebre romanzo I Malavoglia, in cui tratta delle sventure e avversità affrontate dalla famiglia Malavoglia, all’estrema tragicità e crudezza di Tozzi e del suo mondo rurale; dalla contrapposizione Persuasione - Retorica di Michelstadter, (scrittore che esprime la problematica dell’impoverimento dell’individualità), alla centralità del rapporto uomo-società in Svevo, (autore che intende praticare una poetica analoga al Naturalismo francese e al Verismo italiano); e ancora dalla complessa psicologia di Pascoli, la cui esistenza sembra ridursi tutta alla funzione poetica, al “grande nulla” di Campana, che parla dell’Amore come smarrimento di sé e “cieca ebbrezza dei sensi”.

Anche in questo saggio Salari esplora quelle che possono essere le convergenze tra filosofia e letteratura, e attribuisce alla filosofia la funzione di essere «la sollecitazione più forte al superamento dei generi letterari e all’inquadramento dell’arte in un processo conoscitivo dalle radici unitarie»:24 ritorna, cioè, il concetto di unione della tensione conoscitiva alla potenza espressiva del linguaggio (più precisamente viene analizzato come il rapporto scrittura-conoscenza approdi, secondo Salari, al concetto per cui «tutto è Nulla»: l’incombere del Nulla rappresentato da ciascun autore con la propria modalità specifica. Inoltre il critico risale dall’analisi delle varie tipologie e stili di scrittura per ricostruire i principali nodi della personalità degli autori). Nella trattazione degli scrittori e poeti, i richiami filosofici emergono in modo particolare nel capitolo dedicato a Svevo, con il protagonista del romanzo Una vita, Alfonso Nitti, che sembra essere la personificazione dell’affermazione shopenhaueriana della vita tanto vicina alla sua negazione; e poi nel capitolo riguardante Michelstaedter, soprattutto nell’analisi del rifiuto da parte di questo poeta di qualsiasi estetica salvifica e catartica dell’opera d’arte (riscontrabile prima in Aristotele e poi in Kant), e nel parlare dell’ascendenza e dell’influsso nietzschiani e shopenhaueriani sullo scrittore goriziano: ascendenza riscontrabile nella sua convinzione che non è possibile una via di accomodamento alla realtà, e nel suo giungere ad una leopardiana “strage delle illusioni”.

 

Quindi è stato fin qui mostrato come sia presente nell’opera di Salari questa strettissima correlazione tra linguaggio e produzione letteraria e pensiero filosofico, e, tra gli autori analizzati nel Grande Nulla, nei quali è riscontrabile un esempio di questo interagire, c’è il poeta Dino Campana. Infatti le convergenze letterario-filosofiche sono riconducibili al modo di intendere la vita e la poesia di questo poeta, al quale il saggista e critico verbanese dedica anche un articolo intitolato La notte o della gioia tragica (affrontando proprio questo aspetto). In questo lavoro si parla del concetto di “gioia tragica”, cioè il mondo visto da Campana come un fenomeno gioioso, e al tempo stesso tragico. Campana inoltre esprime l’esigenza di sottrarsi alla ferrea necessità cui è assoggettata la vita dell’individuo. Egli concepisce la poesia come qualcosa di contenuto, di implicito nell’esistenza stessa. In particolare modo è la stessa vita di questo poeta a trascendersi nell’atto di essere vissuta; infatti lui era in fuga da se stesso, dalla sua famiglia, dal suo tempo. La poesia campaniana nasce proprio da questo senso di sentirsi al di fuori di qualsiasi “retorica” esistenziale.

Inoltre Salari evidenzia come nell’opera di Campana siano presenti risvolti psicoanalitici, nel parlare dell’iniziazione alla poesia e alla sessualità. Infatti questa iniziazione è un evento nel quale l’io si sdoppia in io contemplante da una parte e un io che si muove “inconsciamente” nella sua visione dall’altra, una visione in cui si fondono immagini e percezioni. E sempre per quanto concerne l’inconscio, esso è visto come qualcosa di assolutamente fuori dal tempo, qualcosa di eterno, ed è il concetto di eternità, secondo Campana, a fare in modo che la realtà miserabile si esalti in tutta la sua unicità. Secondo Campana non c’è un prima e un dopo nella presenza delle cose, e il tentativo di cercare un senso ad esse è qualcosa che appartiene alla “mostruosa assurda ragione”, a cui questo poeta non ha mai avuto nessuna intenzione di “piegarsi”.

Tutti questi concetti sono presenti nella principale opera del poeta, i Canti Orfici, della quale Salari evidenzia la totale assenza di finta sregolatezza e di invettive contro il tempo e la sorte. Campana si abbandona totalmente alla estraneità del suo vagare in un mondo di sogno; ed è a questo punto che è possibile riscontrare un altro aggancio poesia- filosofia, in questo caso in riferimento a Nietzsche, il quale sostiene che questo abbandono conferisce la più elevata sapienza etica e morale. Inoltre Salari definisce Campana come l’unico poeta italiano che assume una concezione Nietzschiana della vita, che «dice sì alla vita sulle orme di Nietzsche».25 

 

Il saggista e poeta verbanese ha anche realizzato degli articoli per riviste di ambito culturale-letterario; tra queste c’è Tellusfolio, nella quale Salari ha scritto varie recensioni su determinati autori e sulle loro opere, ma ha compiuto anche dei veri e propri “viaggi letterari”. Cioè il critico, scrivendo in Tellusfolio, parla di alcune importanti città, che hanno avuto influssi e rifrazioni sulla letteratura e sull’immaginario di chi pratica la letteratura, e persino di chi ne è particolarmente coinvolto. In particolare, si occupa soprattutto di recensire opere e autori che utilizzano queste famose città come ambientazione. E, nel primo di questi “viaggi” è possibile cogliere, verso la fine, quei riferimenti di ordine filosofico che percorrono tutta l’opera di Salari.

La prima città trattata in questo itinerario di letteratura compiuto dal poeta e critico è Manhattan. Più precisamente la città di Manhattan vista attraverso l’opera del poeta americano Walt Withman, di cui Salari analizza le principali tematiche. Anzitutto il critico evidenzia come lo stile di Withman possa essere definito come una sorta di “enumerazione caotica”, cioè come un pullulare continuo di movimenti, che esplodono in tutta la loro vitalità nello stesso momento in cui vengono sprigionati nell’immenso scenario del mondo e della vita. L’autore americano parla della folla di Manhattan, che suscita in lui un sentimento di grande partecipazione e gioia, e a questo punto Salari fa un parallelo con la folla di Parigi descritta da Baudelaire, che verso di essa prova una sensazione di ripugnanza e angoscia, e, al tempo stesso, di morbosa attrazione. Ma ciò che colpisce maggiormente Salari della poesia withmaniana è il fatto che questo scrittore si consideri «sia poeta della città che poeta della natura»,26 cioè si abbandoni con grande entusiasmo al fermento di New York, concetto totalmente differente dall’ossessione baudelairiana della metropoli che soffoca l’individuo. Addirittura Withman arriva a ritenere che gli stessi uomini siano degli dei, in tutte le loro forme ed espressioni, dal padrone allo schiavo, dal santo al criminale; il poeta si immedesima in tutto e tutti. Nella sua poesia si trovano enunciazioni di abbraccio e approvazione verso ogni forma di vita; cosa che colpisce ancora di più Salari, che mette in evidenza come Withman si muova nelle stesse strade, nelle stesse zone in cui si muove un altro grande scrittore americano, Melville, autore di Moby Dick. Infatti Melville ritiene che il male possieda radicalmente la vita, e descrive nei suoi romanzi New York come un luogo di estrema solitudine (questo in Bartleby lo scrivano), o addirittura come una città squallida, buia, violenta, in cui è destinata ad essere soffocata ogni aspirazione ad un superiore idealismo (Pierre o le ambiguità).

Lo studioso e saggista, inoltre, nota come Withman si discosti profondamente anche dalla lirica europea, caratterizzata dal disgusto per la realtà, invece l’autore statunitense conferisce enorme dignità a tutte le cose comuni, addirittura vengono paragonati la gioia e l’entusiasmo con cui Withman nomina le cose alla gioia di Dio nel nominarle nel primo giorno della creazione. Ed è qui che Salari esprime rimandi, reminescenze filosofiche; infatti Withman ingloba nella sua poesia gli aspetti più sublimi e insieme più deteriori e degradanti della vita, e viene definito dal critico come «una sorta di incarnazione del Dio spinoziano»,27 un Dio che agisce per la pura necessità della sua natura: e tutto sembra risolversi nella celebrazione e nell’amore del poeta per se stesso, paragonato all’amore di Dio per la propria creazione.

 

L’itinerario di Salari, il suo “viaggio” compiuto in Tellusfolio attraverso le città e le correnti letterarie, prosegue nella città russa di Pietroburgo. Il saggista e critico espone vari autori, e varie correnti di letteratura e poesia, che hanno trattato e descritto l’ex capitale della Russia, in diversi modi e esprimendo diverse idee, concezioni e punti di vista. Infatti vengono riportati pareri di diversi scrittori e poeti, e ci sono descrizioni sia estremamente negative che decisamente entusiastiche.

Salari inizia spiegando qual è la prima immagine, la prima sensazione che gli viene in mente quando pensa a Pietroburgo: si tratta della stanza in cui Raskolnikov, protagonista di Delitto e castigo, medita sul delitto da lui commesso. Dopo di che, descrive la città nordica come una Metropoli lercia, maledetta, immersa in un soffocante caldo estivo e in un’atmosfera infernale, che agisce sui nervi tesi del personaggio, e che ha anche il suo influsso sulla fantasia di un assassinio: un omicidio che dovrebbe servire proprio a risarcirlo di tutta quella miseria.

Poi, nell’esporre i punti di vista e i giudizi riguardanti Pietroburgo lo studioso e critico ne riporta uno analogo a quello da lui appena espresso: quello del poeta Mandel’stam, che descrive la città come una sorta di «inferno freddo», immersa in un’atmosfera nebbiosa e, addirittura, mortale, e sulla quale regna la dea degli inferi. Un altro giudizio fortemente negativo qui riportato appartiene al celebre poeta italiano Vittorio Alfieri, al quale la ex capitale russa era apparsa come un luogo estremamente barbaro; lo scrittore rimase profondamente disgustato dal dispotismo della zarina Caterina Seconda, e dalle notti bianche pietroburghesi che non gli permettevano di riposare, tanto che si affrettò a fuggire da quel popolo di «barbari».

 

Come già accennato, vengono illustrati da Salari anche pareri e descrizioni dai toni a dir poco entusiastici. Uno di questi viene espresso dallo scrittore russo Puskin, che nel poemetto Il cavaliere di bronzo innalza un elogio alla bellezza della città e delle sue notti estive, una Pietroburgo monumentale, immersa nelle notti bianche, meravigliosa nei suoi palazzi, argini, moli, e monumenti. Il poema di Puskin, oltre a contenere questo elogio, narra la storia dell’impiegato Evgenij, che, dopo la morte della fidanzata e della madre di essa, avvenuta durante un’inondazione della Neva che ha distrutto la loro casa, passando davanti al monumento di Pietro il Grande gli lancia contro una maledizione per aver fondato la città in condizioni così avverse alla vita delle persone. E appena Evgenij pronuncia queste parole il cavaliere di bronzo comincia ad inseguirlo per le vie della città.

Sono state precedentemente menzionate le notti estive pietroburghesi, le cosiddette notti bianche. Notti delle quali tutti i principali poeti russi hanno subito il fascino, stregati dall’atmosfera notturna tipica delle estati di Pietroburgo, un’atmosfera, magica, irreale, fantastica, associata alla bellezza della città. E questo emerge nell’opera di Dostoevskij intitolata Le notti bianche,breve romanzo giovanile nel quale lo scrittore russo, narrando dell’amore impossibile tra un uomo e una donna che si incontrano e si confidano tra di loro ogni sera (ma poi lei si allontana con un altro uomo), mostra l’altra faccia della Pietroburgo da lui descritta; non si tratta più della sordida metropoli in cui si svolgeva la vicenda di Delitto e castigo, ma di una città immersa in una magica atmosfera, avvolta da un alone poetico.

Inoltre, la sconfinata produzione letteraria incentrata su Pietroburgo parla anche di vari aspetti, di episodi storico-sociali che videro protagonista questa città, ed esprimono un’atmosfera da fine del mondo, o meglio, dello sconvolgimento totale di un vecchio mondo. È il caso di Mandel’stam, che nella poesia il secolo, parla della Rivoluzione del 1917, con Pietroburgo che fu teatro proprio degli episodi più drammatici. Ed è anche il caso del reportage I dieci giorni che sconvolsero il mondo, del giornalista americano John Reed, e del poema di Blok I dodici, che narra le vicende di un drappello di dodici soldati, circondati da persone che non capiscono nulla di quello che sta succedendo. Opere pervase da un’atmosfera di tragedia, di catastrofe, nel descrivere quel disastro immane.

Infine, molti degli autori già menzionati, come Puskin e Dostoijevskij, trattano dell’inizio del declino della città di Pietroburgo, la cui storia raggiunse il suo apice nel ’17 e iniziò il suo tramonto con il passaggio del ruolo di capitale a Mosca. Tutti questi autori e questi scritti sono solo una minima parte dell’immensa quantità di scrittori e di opere poetiche e narrative per i quali la Rivoluzione e la perdita del ruolo di capitale costituiscono la fine di un grande mito.

 

In definitiva, Salari attraverso questi viaggi letterari compiuti parlando di famose città, e della letteratura che attorno ad esse ruota, illustra altri aspetti ancora dei ruoli che la letteratura e la poesia possono rivestire; in questo caso gli esempi di letteratura qui incontrati trattano dei significati che una città può in sé racchiudere, e persino delle sensazioni e immagini che può evocare nell’immaginario di chi della letteratura o si occupa o ne rimane affascinato; e questo può avvenire in senso positivo, se non addirittura celebrativo, oppure in senso decisamente negativo, mostrando disprezzo, o, comunque, sensazioni di profonda angoscia e inquietudine, tanto che si ha quasi l’impressione che si tratti di città diverse, a seconda dei punti di vista di chi le ha vissute, e non di una stessa città, che può racchiudere sia aspetti ripugnanti che aspetti affascinanti, oppure nella quale uno stesso aspetto può risultare per alcuni affascinante, per altri spregevole.

 

Dunque, è stato visto come , nell’ambito della produzione di critica letteraria di Salari, siano presenti degli esempi di funzioni e ruoli che possono essere ricoperti dall’attività poetica, e, più in generale, letteraria. Ma il poeta e saggista, a proposito della poesia ha anche sviluppato determinate concezioni personali ed ha realizzato dei saggi nei quali riflette su ruolo e condizione della poesia nei tempi attuali: un lavoro di Salari che a tale proposito può essere menzionato è Le asine di Saul. Si tratta di un’opera che è fondamentalmente un saggio di critica poetica, articolata in brevi capitoli, nella quale lo scrittore parla di una ricerca che deve essere compiuta, e della necessità di tendere alla vita attraverso la ricerca della poesia e della verità. Fin dall’inizio dell’opera Salari entra subito nel vivo dell’argomento, parlando della solitudine del poeta, di come il soggetto poetico abbia sempre vissuto isolato dal mondo, tutto solo con il suo carico di esperienze ed emozioni, e di come nei tempi moderni la frattura tra mondo e io poetico si sia sempre più accentuata. Inoltre, nell’affrontare questo argomento, l’evolversi della situazione della poesia, Salari arricchisce anche questo saggio di citazioni e riferimenti di carattere filosofico, quindi anche qui continua l’interazione tra le sfere letteraria e filosofica: infatti vengono menzionati Holderlin e Nietzsche, e il fatto di concepire la poesia come qualcosa che tenda al desiderio del ritorno di un senso e di un originario carattere di sacralità dell’essere, esigenze profondamente sentite in un tempo attuale sempre più misero.

Poi si parla di Shopenhauer, di come nella sua principale opera, Il mondo come volontà e rappresentazione, indichi nell’ascetismo e nelle varie forme di rinuncia la via per estinguere la volontà, fonte di ogni male e dolore nel mondo. Ma soprattutto il filosofo polacco parla di un determinato aspetto del rapporto filosofia- poesia, il fatto di tendere ad uno stesso «bisogno metafisico»,28 cui l’arte poetica risponde, come tutte le arti. Cioè il poeta intende illustrare, tramite esempi, cosa sia la vita e cosa sia il mondo; e per Shopenauer il vero poeta è quello che sa esprimere perfettamente quello che tutti gli esseri sentono e sentiranno in situazioni ricorrenti, cioè riesce a cogliere e a  rispecchiare nella sua opera l’intima natura dell’essere umano.

Il motivo per cui Salari cita teorie e concezioni di ordine filosofico è il fatto che proprio dalla filosofia provengano i più importanti contributi saggistici e interpretativi alla lettura dei poeti. Inoltre, diverse tendenze filosofiche (Heidegger con il suo esistenzialismo, l’ermeneutica di Gadamer e Ricoeur, ecc.) si occupano della problematica, posta dallo stesso Salari, riguardante la critica letteraria, che, sostiene il saggista e critico, si va fossilizzando sempre più in canoni e codici estetici e dovrebbe invece tendere all’apertura conoscitiva.

 

Questa convinzione che la critica letteraria e poetica venga fossilizzata in questi codici può emergere dal fatto che, così come nella poesia, anche nella critica letteraria Salari cerchi sempre nuove modalità espressive, come si può notare dal procedimento aforistico utilizzato nel Grande Nulla, e dal continuo gioco di rinvii da un autore all’altro e da un’opera all’altra in cui viene organizzato Sotto il vulcano.

Infine, l’autore parla di quello che lui ritiene essere il vero problema della poesia attuale, cioè quello della necessità di creare nuove emozioni, accrescere nel lettore interesse e vitalità, e allargare i confini della sua sensibilità, invece i lavori poetici sono sempre più svuotati di queste caratteristiche e cristallizzati nella loro canonizzazione.

In definitiva Salari mostra la necessità di riuscire a giungere ad un certo modo di intendere la poesia, cioè renderla e farla percepire come qualcosa di «meno distante dalla vita».29 

Tale tentativo di avvicinare maggiormente la poesia alla vita può già essere riscontrato nelle peculiarità della scrittura poetica dello stesso Salari, per il fatto di evocare nei suoi versi immagini e sensazioni decisamente immediate e spontanee, e per il fatto di esprimere determinati stati d’animo attraverso simbologie come il muro, la calce, lo specchio (Alle sorgenti della Manque), o anche nel servirsi di immagini decisamente più forti, come delle fotografie scabrose, per accentuare un senso di confusione, oltre che di solitudine (le foto guardate dal protagonista di Stazione): insomma Salari rende vari stati d’animo e dubbi servendosi di simboli e particolari tratti da aspetti concreti della vita.

 

Salari ha realizzato altri lavori nei quali esprime delle riflessioni sul ruolo della poesia e della critica letteraria nella società contemporanea, sulla situazione di essa, come viene interpretata nei tempi attuali, e su quello che devono fare il poeta e i suoi critici. L’opera, intitolata Le tentazioni di Marsia, è stata scritta dal saggista in collaborazione con il giovane poeta e critico letterario Mario Fresa. In questo articolo i due scrittori spiegano quali sono le caratteristiche che secondo loro deve avere la poesia, e i principali difetti delle opere dei poeti e dei critici nel tempo attuale. Fresa e Salari sostengono, innanzitutto, che la poesia deve avere un senso, e ciò significa aprirsi alla visione dell’Essere, ad un incontro - scontro con la vita e la verità; contatto questo che porta profondo struggimento e dolore, ma che può spianare la strada alla salvezza finale. Inoltre i due autori ritengono che il senso ultimo della poesia debba provocare tensioni, emozioni forti, persino sconvolgimento sia al poeta che ai suoi lettori. E parlano di come la poesia debba essere, insieme alla ricerca filosofica l’espressione di un «bisogno metafisico» di verità, ma ormai, secondo i due studiosi, sono molto rare le opere che pongono domande sulla nostra situazione esistenziale.

Quindi, si ha la dimostrazione anche in questo caso di come, secondo Salari, poesia e filosofia possano tendere agli stessi interrogativi ed esigenze di carattere esistenziale, come la ricerca della Verità.

Invece Salari e Fresa individuano il principale errore dei poeti, e anche dei critici di poesia, nel fatto di pretendere di dettare regole assolute su come scrivere un verso, e sui significati che esso deve avere: vogliono dettare regole stabilizzanti e teoremi, proponendo una visione univoca della poesia. Invece, sostengono i due critici e poeti, occorre lasciarsi guidare dalla «vertigine» dell’imprevisto, e farsi trascinare al contatto con la profonda verità degli eventi. Il titolo dell’articolo di Fresa e Salari è riferito al personaggio mitologico del vecchio Marsia, che tenta di rubare il segreto della poesia alla dea Atena. E questo rimanda al segreto del poeta, alla sua tentazione di impossessarsi, anche per un solo istante, della luce della Verità. Lo spirito del poeta prima e del lettore poi deve essere condotto alla apertura delle porte della Verità, e questa significa arrivare alla saggezza, anche attraverso il dolore e la sofferenza.

Queste sono le caratteristiche che dovrebbero essere proprie della poesia secondo Salari e Fresa, che sottolineano come, invece, la poesia non riesca a liberarsi di un fardello «letterario», che risulta fittizio e artificioso. Sostengono che la poesia tende troppo spesso ad assumere le caratteristiche di una banale e infantile autobiografia o a rifugiarsi negli espedienti delle regole formali per mascherare la propria fragilità e inconsistenza.

Per quanto riguarda i critici, Fresa e Salari rimproverano ad essi il fatto di mortificare la bellezza dell’opera poetica relegandola nelle antologie, definite dai due autori «cimiteri di macerie poetiche».30 Infatti le antologie raccolgono per ogni poeta un certo numero di brani, che secondo il critico sarebbero i migliori di quell’autore; ma facendo così, secondo i due poeti e saggisti, spogliano la poesia del suo valore conoscitivo, e riducono il lettore a passivo contemplatore di una manciata di poesie. Invece Fresa e Salari ritengono che una lettura poetica seria debba ricondurre il lettore alla scoperta delle opere da cui le poesie sono tratte , ammirarle nella loro interezza, e accantonare la lettura e interpretazione univoca favorita da questi critici e da queste antologie. Infine, sostengono che il poeta deve «aprire gli occhi ai lettori», fare in modo che essi si rendano conto dello stato, della condizione dell’arte nella società e nel secolo in cui viviamo.

 

Tiziano Salari e Mario Fresa hanno realizzato insieme un'altra opera, un altro lavoro incentrato su ruolo e condizioni della attività poetica nel tempo attuale, un saggio intitolato Il grido del vetraio. Dialogo sulla poesia, analizzato e commentato nella rivista Transfinito dal direttore di essa, Giancarlo Calciolari. Si tratta di una conversazione tra i due poeti, un dibattito nel quale vengono affrontate varie tematiche riguardanti l’importanza di quest’arte e le sue principali prerogative: anzitutto si parla di come la grande poesia sia sempre stata accompagnata all’attività di critica letteraria, e proceda per integrazione con essa. Inoltre Calciolari nell’analizzare l’opera dei due scrittori esprime un concetto piuttosto forte, per cui senza la poesia l’uomo avrebbe come unico sbocco possibile il suicidio,e non c’è nessuna verità senza la poesia in ogni cosa che viene fatta (quindi ritorna il concetto di poesia come atto di verità). I due autori predicano un ritorno alla cultura originaria, e alla poesia autentica. Invece, la società attuale è un sistema in cui «si dà valore a cose di nessuna importanza»,31 ci sono sirene che vogliono deturpare la vita, ma alle quali il poeta non abbocca. Il poeta, però, sa anche di essere sfortunato, in quanto la sua parola rimane sempre inascoltata.

Persino in quest’altra opera di riflessione sull’attività poetica possono essere individuati rimandi e giochi di interazione tra campo poetico e filosofico, nel momento in cui si parla, nella immensa quantità di citazioni fatte dai due autori, della possibilità di ritrovare in ogni elemento della vita «l’albero della vita e il giardino della parola»,32 in riferimento all’albero della conoscenza del bene di cui parla Heidegger; in questo caso si parla di un albero e di un giardino (la vita e la parola), che si trovano incuneati nella parola e in tutte le cose della vita, nonostante vengano continuamente ricercati e inseguiti. Si tratta di immagini espressive del concetto per cui la poesia in realtà si può ritrovare in tutte le cose che si fanno, e, se non la si riesce a cogliere, non si può arrivare alla verità, l’incontro con la quale può portare l’uomo alla salvezza, come sostenuto in precedenza dai due poeti e critici. Infatti il poeta deve lasciare spazio all’improvviso manifestarsi della Verità, e riuscire a cogliere il brivido dell’essenza dell’Essere. La parola poetica deve sapere scuotere il lettore nel profondo.

 

Infine, Salari, oltre a esprimere proprie riflessioni riguardo a come si evolve la situazione della poesia, realizza anche recensioni su opere che si occupano della stessa problematica. Infatti, nella rivista Tellusfolio (la stessa per la quale ha realizzato i “viaggi” letterari su Manhattan e Pietroburgo) lo scrittore verbanese recensisce un’opera dello scrittore Giorgio Bonacini, dal titolo Quattro metafore ingenue. Anzitutto Salari evidenzia di questo testo la complessa strutturazione e organizzazione, il fatto che esso sia articolato in varie parti e sotto parti, dopo di che si sofferma sugli interrogativi e sulle riflessioni che dall’opera emergono: in una società così lontana da ogni forma di saggezza come può essa insinuarsi nelle nostre vite? Bonacini risponde: attraverso il sogno, che rappresenta l’apertura per fare entrare la poesia nel mondo del reale, governato dalla logica della Necessità. Lo scrittore descrive anche la poesia come qualcosa sempre più insicuro e separato dalla vita, proprio come il rigagnolo e il ruscelletto nei propri letti.

Salari, inoltre, condivide e apprezza nelle riflessioni di Bonacini il fatto che questo autore si mostri perfettamente consapevole delle difficoltà incontrate dall’attività poetica, difficoltà di introdurre una visione del mondo che possa spezzare la logica ferrea che governa tutte le cose del mondo. L’autore recensito, poi, parla di come tra mondo e poesia esista perennemente «una guerra sospesa»,33 un conflitto nel quale la poesia sembra non volersi arrendere, per quanto sia precaria e incerta la sua sopravvivenza. Salari ritiene l’opera di Bonacini una delle più acute e precise analisi sulla condizioni della poesia, e inserisce egli stesso delle riflessioni personali. Infatti sostiene che nella poesia è racchiuso il senso della vita e del nostro essere al mondo. Ed esprime la speranza ultima che l’uomo si possa riappropriare del senso della propria esistenza.

In ultima analisi, riflettere sulla poesia, per lo scrittore verbanese, significa anche riflettere su come la società contemporanea sia dissociata dai suoi fondamenti e privata di qualsiasi illusione. E questa totale disillusione, insieme agli interrogativi sul senso dell’esistenza umana, costituisce un altro aspetto della convinzione espressa da Salari che la società attuale si stia avviando verso il Nulla, verso lo sfacelo.

 

(2 - segue)


24 vd. Articolo di Roberto Rossi Precerutti su Poesia, 1999.

25 Pg. 1 art. di T. Salari “la notte o della gioia tragica” pubblicato su Le asine di Saul, Anterem Verona, 2002, e poi su Capoverso, Edizioni Orizzonti Meridionali, 2003.

26 vd. Citazione da F. O. Mathiessen a Pg. 3 art. di T. Salari “Gli dei di Manhattan” realizzato per Tellusfolio, 2006.

27 vd. Pg. 7 “Gli dei di Manhattan”

28 vd. Pp. da 14 a 18 T. Salari, Le asine di Saul, Anterem Edizioni, Verona, 2002.

29 vd. Pg. 62 Le asine… Postfazione dell’autore.

30 vd. Pg. 4 articoloLe tentazioni di Marsia” di T. Salari e M. Fresa, realizzato per Tellusfolio, 2006.

31 vd. Pg. 3 recens. di Gian Carlo Calciolari a “Il grido del vetraio” (T. Salari e M. Fresa, Nuova Frontiera, Salerno, 2005), realizzata in Transfinito, 2006.

32 vd. Pg. 2 recensione di Calciolari

33 vd. Pg. 3 recensione di T. Salari su Tellusfolio a Quattro metafore ingenue (Giorgio Bonacini, Manni, Lecce 2005) citazione da penultima sezione del libro.


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