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Fabiano Alborghetti trova Daniele De Angelis 
Cercando l'oro 10
08 Aprile 2007
 

Eravamo approdati a Marzo in Friuli, terra di Vincenzo Della Mea. Spostiamo ora lontano – anche se di lontano in poesia non c’è nulla – per trovare Daniele De Angelis, originario di Ascoli Piceno.

Ancora una volta, grazie per l’ospitalità a TELLUSfolio e all'Editrice Labos che cura la rivista-annuario TELLUS diretta da Claudio Di Scalzo (e tutte le informazioni le trovare nel sito e vi consiglio caldamente l’acquisto perché i numeri annuali editi sono – oltre che massicci per contenuto – anche straordinariamente ben composti). (fa)

 

 

Daniele De Angelis nasce ad Ascoli Piceno nel 1981 e attualmente frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia di Perugia.

Nel 2001 ha fondato assieme ad alcuni amici l’associazione culturale Biblioteca di Babele e la relativa rivista.

Nel 2004 insieme a Davide Nota ha fondato il foglio quadrimestrale di poesia e realtà La Gru (www.lagru.splinder.com), rivista che spero possa ripartire presto perché immediatamente si è distinta e imposta come un canale di comunicazione vivace e attento con interventi critici di alto spessore e una offerta di testi poetici ponderati. Una nota a margine: la rivista non ha chiuso per mancanze della redazione, bensì per ingerenze politiche (uno dei redattori non piaceva ad un politico locale che ha mosso mari e monti – e tagliato i fondi - sino a decretare la morte de La Gru). Commenti a parte per queste vicende italiche, è ammirevole come il desiderio di poesia, di comunicazione, di coinvolgimento e condivisione abbia però la meglio: De Angelis – insieme ad Andrea Tosti – attiva il sito ENNE (www.figlidienneenne.it) che offre una straordinaria novità, in parte simile a quella già generata da Vincenzo della Mea con il suo PoEcast (www.poecast.it): ENNE è un portale di audiocultura dove le poesie si ascoltano. Attualmente vi sono contenuti una ventina di autori che leggono i proprio testi ascoltabili per voce madre di chi il testo ha prodotto.

Le poesie di De Angelis si distinguono in premi letterari ma parte ancora più interessante, si diffondono (su invito) grazie all’uso del Web: innumerevoli i testi disponibili e che si impongono all’attenzione del lettore e della critica. Io stesso ho scoperto De Angelis, oltre che parlando con suoi conterranei di cui ci occuperemo in seguito (Stefano Sanchini e Loris Ferri) proprio su segnalazione di Davide Nota (anch’egli una puntata a venire di Cercando l’oro, cosi come lo sarà Simone Lago).

Suoi testi – oltre che disponibili in rete, come detto – sono stati inclusi nell’antologia L’arcano fascino dell’amore tradito, tributo a Dario Bellezza (Perrone Editore, 2006) e nell’antologia/e-book scaricabile in pdf dal sito della rivista La Gru dal titolo SCORIE CONTEMPORANEE con testi poetici di Daniele De Angelis, Loris Ferri, Simone Lago, Emiliano Michelini, Davide Nota, Stefano Sanchini e Matteo Zattoni. Reca una lettera in prefazione di Flavio Santi e un saggio introduttivo di Gianluca Pulsoni

È una notizia arrivata in corso di scrittura di quest’articolo: il primo libro di Daniele De Angelis è stato pubblicato. Il titolo è Diario di un altro, l’editore è Otium (www.otiumedizioni.com).

 

Come ben sottolineato anche da Gianni D’Elia, la voce di Daniele De Angelis è forte, viva e sapendo quanto è pesato nei giudizi, è una affermazione che va accolta appieno a sollecitare la curiosità sui testi che seguiranno.

La prima raccolta inedita su cui ho avuto il piacere di posare gli occhi aveva per titolo Diario di periferia di Olindo Cervi. Con questo prima silloge, si riprende quella che è in parte la tradizione del romanzo in versi (La camera da letto di Bertolucci – ad esempio) tanto quanto la capacità di proiettarsi fuori dalla vigente “poesia della stanza” per rapportarsi con tutto l’esterno possibile, in questo caso la periferia, scandagliata, sezionata, ingollata e metabolizzata.

A tratti appare l’inserzione modulata del dialetto che ancor più rafforza il dettato senza però diventare manieristico e c’è una fermezza in queste composizioni che danno ragione alla scommessa verso “le nuove generazioni”: c’è sia la forma del novecento sia il senso pienissimo e conscio del tempo che siamo.

Il tema della periferia viene preso, compiutamente svolto senza cadere in pietismi o immagini di facile presa. Non c’è fiction televisiva o ricostruzione ma il micro-universo della verità, delle frazioni minime dell’accadere la vita nelle perdite, nel riscatto che il perdente (sia uomo o ambiente) attesta proseguendo con forza la propria vitalità.

Il lavoro compiuto che prenderà il titolo definitivo di Diario di un altro è distillato con sicurezza, la voce è ferma a dominare il dettato con pacatezza, disincanto. I versi sono tenuti in una ghiera studiata eppure apparentemente casuale ma sopra ogni cosa, è la voce adottata dal De Angelis che già avevo trovato compiuta negli inediti precedenti e che qui attesta senza possibilità di replica. Eccone alcuni estratti (e non avendo ancora ricevuto l’edito, proporrò i testi senza indicare se sono riferiti all’edito oppure sono parte di raccolte inedite precedenti o che verranno) e, qui, un link dove è disponibile la prefazione scritta da Francesco Marotta al libro di Daniele De Angelis.

 

 

 

*

Il televisore è un taglio

un’amputazione testarda, quando netta

decapita e annulla un collo-

il capo suda il suo sangue- la gora

dalla bocca. Scomposta testa, deformata spostata

osserva il corpo appiattito, memorie segate,

nell’ultima volta per capelli

ripigliate; dopo che nelle ginocchia

un uomo ha sgolato tutta la pietà appresa

ad una mano, un muscolo antico e ircino

- al gesto. Sta lì in quella calura d’interiora

come una testa di toro

poggiata su un piatto, col muso naso largo,

fermata dall’atto

d’anima e di storia bruciate

da millenni d’anomico sole nel cielo.

 

 

*

Ancora fiato d’afa ed è già fine agosto.

Conficcati nell’auto, si va verso il mare serale

notturno di svaghi e passeggiate.

Dalla strada sconcerta all’improvviso, un greppo in fiamme

un bruciare d’ansia e un fumo che dice dell’estate

la tregua non data neppure alla notte; degl’alberi

lo sfigurare. Blu e bianche le sirene

un girare negli occhi, quei pompieri in cima e ai piedi

del crinale, invasi da cenere che sfida nell’asma

narici raggrinciate; e la campagna aggravia.

Ma è un tempo d’incerta misura

che s’arresta alla necessità e fa più nuda l’aria

e innamora il sangue e al colpo di reni il corpo spinge

in un abbraccio, in un sorriso furioso

che da lingua e dai denti, dalle labbra vuole

questa disperazione, sputare.

 

 

*

Nel fossato le plastiche e le carte

un supertele e l’acqua della pioggia

è un filamento; gromma annegata.

 

Quando il tempo passato

dall’ultima volta  è troppo,

dopo esserci vissuti anni

ed essersene andati, come giunte comunali

o studenti universitari,

la città le ossa mostra

già rinsaldate, coperte d’altra pelle

d’altri muscoli.

 

E sono in strada

in un parcheggio

come un perverso vicino

a vedere in una finestra altra gente:

di me non sanno niente

del mio esserci vissuto; neppure una traccia:

imbiancate le mura, ristuccati

i buchi, nuove sedie

fornelli nuovi, gl’infissi giuntati.

 

Come ad un appuntamento

fallito, finito in buca

mi fisso le scarpe

e le mani nelle tasche, umide

sulle chiavi strette.

 

 

*

Il natale è d’inverno

e le teste di famiglie

e famiglie illuminate

da sfilacciate luci.

 

Le bancozze ordinate,

coi mercanti cha moccicano il freddo

con gl’occhi che ti sputano e t’invitano.

 

La mano che si stende

sulle maglie e altri ciaffi

oggetti sparsi, sotto sterminate

tende; compara valuta

ma i polpastrelli sembrano sordi

recisi i nervi

staccati. Mi ritrovo

con il tatto di un altro,

il cuore più lento

la testa, già sopra le luci.

 

 

*

I

 

Hai pisciato sul pavimento credendolo

un cesso, e quando arrivo sei a terra e Fabrizio

ti getta le braccia sotto le braccia e stringe,

ti mette in piedi, che ci scherzi, ci sorridi

e a malapena riconosci che c’è notte.

 

Mentre lo straccio si fa scuro torni sotto

le lenzuola - revattene a dermì - mi ridi,

come in un sonno senza fondo che fatica

il mattino, il risveglio; e sfondando il cuscino

posso solo dirti ancora, come preghiera.

 

 

II

 

- Tié la faccia sdrecita - avrei voglia di dirti

ma resto zitto, mentre davanti allo specchio

ti faccio la barba. La pelle come sabbia

cambia forma al tocco delle lame, si piega

sprofonda, e ho paura a calcare, di farti male

ferirti; eppure fiducioso distendi il mento

o ti confondi, fissando, con il riflesso.

 

III

 

- I’ vade a stramazz’ - ci dice dopo pranzo

con la mano sulla guancia - puo’ me pertete

su? - per dire bar; con gli occhi cerca conferma,

un sì che arriva dopo la frutta, ogni giorno

a rincuorarlo che la siesta non stordisca

il pomeriggio tutto, e che la cinta serve

e si stringe ancora come al collo d’un sacco

nel ficcarci dentro, anche l’aria per domani.

 

Pure se il viaggio è un caldo che inforca i polmoni

e la gola, quello che marchia è la portiera

sbattuta con forza, il finestrino sbalzato

quasi in frantumi, e i saluti, che non t’abituano.

 

IV

 

Mi sono svegliato e il cielo era ancora bianco

un’alba ancora fredda, come le ciabatte

ai piedi del letto.

 

                             Un accento che il silenzio

non conosce, puntellava gli angoli in casa,

portandomi al buio, fino alla porta a vetri

per sostare, mentre traboccavi la tazza

di cereali latte caffé, e sframmicavi

dentro, biscotti -a fare una pappa, una malta.

 

Seduto, ti c’abbarbicavi con le labbra

al bordo sottile, e rinserravi le mani

prima del mattino, riprendendoti il tempo.

 

 

 

 

 

 

La crepa

 

Brucio giornali vecchi quotidiani secchi

sotto le fascine e fanno un fumo nero

d’inchiostro che macchia le dita, oppure blu

chimica tintura di foto in prima pagina;

subito assottigliati, sfaldati, svolazzano.

 

Il ciocco sfocato suda l’acqua rimasta

tra gli anelli rappresa, poi il fumo s’infiamma.

 

Dalla parete scende fino al pavimento

di piastrelle spaccate, una crepa nera

come un segno impreciso di matita, ruvida

dove sbreccia l’intonaco in fragili scaglie.

 

Dice il contadino del casolare accanto

- che la casa s’ crolla a fa’ passà ‘n anne

che lu spacche è prefunne, ce se po’ ‘nzaccà

nu curtielle ‘ndiere; nisciù l’è ‘ccommodata

in tutte stu tiembe, manghe nu laveritte

e l’acqua quande piov ‘ngima la collina

la terra resmove e chesta se ne cala. -

 

Il caffè dalla moca sbocca sopr’al ferro

smaltato dei fornelli, sbatte e forma pozze;

scivolano i libri dalla borsa gettata

di fretta sul tavolo, come sporta bucata.

 

Odore d’acquazzone viene alle finestre;

come un ematoma le nuvole addensate

sopra le colline, le piante innervosite.

 

Dal tetto un principiare di necessità

le chiazze dei coppi spazzati via dal vento

erasi, come dure squame dal coltello…

 

rassettare i ricordi, pur stando in affitto.

 

 

Neon

 

Su una sedia a rotelle s’è messo a dormire;

il braccio puntato con forza alla barella

gli regge la testa (senz’ombra il pavimento).

 

La porta scorrevole di legno chiaro, enorme

quadrato, dispone a compulsare targhe

alle braccia conserte sul petto, al passeggio

decerebrato, come muscione sul vino.

 

Ha l’ago nel braccio quand’esce, di una flebo

trasparente, e la nausea che l’ammutolisce

(il vomito sul panno assorbente, teso

sotto al mento, gettato nel secchio tra garze

macchiate di sangue, lacci e flaconi vuoti).

 

Lo straccio della donna delle pulizie

scia percorsi, come bava di lumache;

- che ci ha? sta meglio ora? ‘na volta ce l’ho ‘vuto

pur’io, poi nu dottore m’ha segnato ‘na cura… -

infiniti acciacchi presi e sofferti in anni

e anni di lavoro, solo per simpatia

con malati sempre nuovi, a questa stessa ora.

 

Il contagocce spinge a essere pazienti;

risalgono parole, e poi, frasi peste.

 

Un rosso slavato sul volto, sangue stinto

rimescola un sorriso tirato nel freddo

dell’alba, che fa piegare le spalle, incurvare

la schiena, come fossero nude, senza giacca;

e si spezza il dettato

                                 nient’altro che il fiato.


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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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