Determinati rapporti di causa e di effetto legano fra loro determinate cose in maniera tale che queste ultime risultino così connesse, dipendenti, relative. In casi di questo genere le cose di cui si fa questione vengono dette correlate (gli elementi correlati sono quelli che stanno fra loro in delle relazioni di reciprocità). Remo Bodei in questo suo Geometria delle passioni (Feltrinelli, seconda edizione 2003) pone in rilievo appunto una correlazione di questo genere fra quelli che sono stati due oggetti tipici della speculazione filosofica d’ogni tempo: la ragione e le passioni. Attraverso uno studio che egli svolge «in forma di ellisse di volta in volta disegnata secondo coppie di “fuochi”» Bodei, tenendo sempre ferme come «nuclei generatori più interni» le due passioni paradigmatiche di paura e speranza, disegna una “geometria” degli affetti umani che va storicamente a coprire cento anni della storia dell’uomo: dal XVII secolo di Spinoza alla morte di Robespierre (XVIII secolo). All’interno del tracciato bodeiano appaiono, così, e si rendono chiari quei “fuochi” raffigurabili dalle coppie: Spinoza/Hobbes, Pascal/Descartes e Rivoluzione francese/Giacobinismo. Tutto il discorso del filosofo cagliaritano risulta in questo modo costantemente denso di riferimenti e di “finestre” (di altri piccoli “fuochi”) sugli argomenti via via più salienti confezionando, alla fine, un libro che risulta molto godibile e pieno di spunti per un’ulteriore riflessione.
Un libro, come si diceva all’inizio, all’interno del quale (e Bodei ce lo annuncia esplicitamente fin dalle prime pagine dell’Introduzione) “ragione” e “passioni” sono… termini pre-giudicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni correlate e non ovvie, che si definiscono a vicenda (per contrasto o per differenza) solo all’interno di determinati orizzonti concettuali e di specifici parametri valutativi. Per mezzo della disamina che egli porta a termine, Bodei ora evidenzia appunto e principalmente tali “orizzonti concettuali” non trascurando di fornire al suo lettore tutti gli strumenti necessari per assumere quei “parametri valutativi” di volta in volta occorrenti per giudicare in riferimento all’argomento che egli ha di fronte.
Ma il discorso, alla fine, diventa anche e soprattutto “politico” andando a realizzare un’ulteriore e definitiva ellisse che va dalla menzione dell’uso della paura in Hobbes (sez. 1, cap. 3) quale «origine della ragione e dello Stato» al racconto della morte di Robespierre fatto da Michelet (sez. 3, cap. 1) ovvero al racconto di quella che fu la fine della «grande speranza».
Lo Stato moderno, generato dalla passione-paura, giunge al suo epilogo con il Termidoro; la paura, però, intanto era divenuta “speranza” di un avvenire migliore.
Da quel momento in poi avverrà quella «scoperta della positività delle passioni» che caratterizzerà così i nostri giorni con l’avvento della psicologia analitica oltre che dello Stato-Nazione, delle ideologie, dei totalitarismi ed infine della globalizzazione.
Gianfranco Cordì