«Pronto? Buon onomastico don Lino». A parlare al telefono dal fondo del corridoio della “Casa Conforto” di Sondrio, era don Sergio Marcianò (foto). Telefonava i suoi auguri a don Varischetti, allora prevosto di Tirano, città che da poco aveva lasciato per assumere l’insegnamento alle magistrali e il posto di organista e maestro di cappella della collegiata di Sondrio. La “Casa Conforto” dove abitava era un pensione particolare, riservata a preti (allora ce ne erano quattro) e a signore anziane. La casa aveva una cappella dove andavo a servir messa al prete che si alzava più tardi, il vecchio e caro don Antonio Zubiani. Don Sergio aveva allora quarant’anni ed aveva con sé la mamma malata. Aveva già fatto la sua pratica pastorale a Lovero e a Tirano ed erano ormai lontani i tempi del conservatorio, delle specializzazioni e delle prime composizioni. Non aveva più bisogno di inerpicarsi in moto quotidianamente fino a Baruffini per trovare un organo “in ordine” su cui esercitarsi, come fece con straordinaria costanza e impegno per anni. Degli organi antichi apprezzava soprattutto gli intagli delle splendide casse, ma per la sua musica ci voleva uno strumento adatto, con molti registri e ampie possibilità espressive. Lo ottenne a Sondrio con l’ampliamento e la revisione del grande “Mascioni” (il gemello dell’organo di Villa, paese di sua madre) come omaggio per l’arrivo del nuovo arciprete mons. Fogliani. Poi la mamma morì; la portò a Villa, dove allora viveva la sorella e dove era già pronto il posto vicino al marito, nella tomba disegnata dall’amico e collega delle magistrali prof. Livio Benetti.
Qualche tempo dopo il trasferimento alla Basilica di san Vittore di Varese e alla cattedra di Organo e composizione organistica presso il Conservatorio “A. Vivaldi” di Alessandria, l’intensa attività concertistica in Italia e soprattutto all’estero, la pubblicazione delle sue composizioni raccolte in dischi e in CD, il ritorno a Sondrio, i riconoscimenti (per la sua opera fu fatto commendatore dal Capo dello Stato senza passare per i precedenti gradi dell’Ordine e le insegne gli furono offerte in Santuario al termine di un concerto che per l’occasione aveva voluto offrire alla città). Poi la fine, si direbbe sulla breccia, all’uscita da una serata conviviale con il coro della collegiata dove forse ha prestato più a lungo la sua opera. Don Sergio è morto a un passo da don Ugo Pedrini, compagno di seminario e di ministero a Tirano, al quale aveva chiesto le parole dell’inno ufficiale che aveva accettato di musicare con entusiasmo per il Cinquecentenario della nostra Madonna, da sempre la sua. Ha avuto solenni funerali, officiati dal Vescovo, e dall’amico arciprete don Valerio con un’attenzione liturgica che gli sarebbe piaciuta, con la partecipazione di tanti confratelli e delle rappresentanze ufficiali dei comuni di Tirano, Villa e Sondrio. E c’erano tanti, tantissimi, amici ed estimatori a dargli l’ultimo saluto con una eccezionale testimonianza d’affetto e di apprezzamento per l’uomo, per il prete e per l’artista. Gentile, aristocratico nel tratto, nello spirito e nelle scelte musicali era generoso nell’amicizia. Esigente, anzitutto con se stesso, sapeva essere severo, di una severità che vedeva come un dovere, come il necessario contrasto all’accondiscendenza che non aiuta a crescere e a fare bene le cose.
A Tirano, dove hanno vissuto i suoi da quando era un bambino, era molto legato ed aveva molte amicizie. Alle attività della banda che suo padre aveva diretto (e per la quale aveva composto una marcia), a quelle del coro fondato dal suo amico William Marconi e a tutte le iniziative musicali tiranesi prestava particolare attenzione (senza rinunciare peraltro a dire all’occorrenza quel che pensava). Per la sua opera e per il suo grande legame con la città il Consiglio comunale lo aveva nominato all’unanimità “cittadino onorario”, un riconoscimento che aveva gradito. Don Sergio e la sua opera saranno certamente ricordati con adeguate manifestazioni, ma ciò che più gli stava a cuore in questi ultimi anni era la storia della musica in provincia di Sondrio. Aveva impostato la ricerca di base e indicato le linee. La Provincia aveva fatto suo e finanziato un progetto che permise la raccolta di una significativa base documentaria attraverso la Società Storica Valtellinese di cui don Sergio era socio e il Museo Etnografico Tiranese presso il quale conducemmo la ricerca con sua guida chiara e illuminata. Avevamo anche previsto di utilizzare un sito web sulla rete civica provinciale in cui pubblicare i risultati e attraverso cui stimolare i ricercatori offrendo loro un riferimento agile e concreto. È una iniziativa che merita di essere ripresa. Penso all’accorata telefonata che don Sergio mi fece alla morte di quel grande ricercatore di notizie sulla vita musicale provinciale che fu l’amico Giancarlo Bianchi, per anni maestro della nostra banda cittadina e alle domande incalzanti: «Dove andrà ora tutto quel materiale raccolto con tanta cura e fatica? chi lo valorizzerà?». È un problema che ora si pone anche per il suo archivio che costituisce una pagina importante della storia musicale organistica italiana del XX secolo.
Bruno Ciapponi Landi
(da Tirano & dintorni, marzo 2007)