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"Dico" bene o male? Bene! 
Riconoscere i diritti delle coppie di fatto non danneggia la famiglia
Ermanno Genre
Ermanno Genre 
23 Marzo 2007
 

Il compito delle chiese non è quello di dettare legge sulle questioni che regolano la vita sociale e per le quali occorre rispettare la laicità dello Stato che invece è di tutti


I Dico continuano a tenere alta la tensione politica ed ecclesiale in tutto il paese. Il fatto che il governo Prodi abbia ritenuto prudente lasciare questa materia fuori dalle priorità di governo – è ora questione parlamentare – non ha spostato di molto l’indice della temperatura che resta incandescente: e ogni giorno qualcuno soffia sulla brace! I Dico hanno assunto uno status symbol, in positivo e in negativo, di uno scontro fra civiltà tutto interno al cattolicesimo e alla società italiana, e se ora il nuovo presidente della Cei invita a evitare «scontri insensati», dopo che il suo predecessore ha imbastito i presupposti per questo scontro frontale, riesce difficile dare peso alle sue parole. Se non bastasse, la Pontificia Accademia per la vita incita i cattolici alla mobilitazione per la tutela della vita con il richiamo a una «coraggiosa obiezione di coscienza» rivolta in modo particolare a «medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari, ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella tutela della vita umana individuale, laddove le norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo». Sarà difficile, per la spregiudicatezza di questo programma, seguire la via indicata da mons. Bagnasco.

È in questo clima incandescente che si è inserita l’esortazione apostolica del papa, Sacramentum caritatis, dedicata all’eucaristia. Che cosa c’entra l’eucaristia con i Dico? Apparentemente niente. In un paragrafo (83) in cui si parla di «coerenza eucaristica», è richiesta coerenza «nei confronti di coloro che, per la posizione sociale o politica che occupano, devono prendere decisioni a proposito di valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la libertà di educazione dei figli e la promozione del bene comune in tutte le sue forme. Tali valori non sono negoziabili. Pertanto i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana. Ciò ha peraltro un nesso obiettivo con l’Eucaristia (I Cor. 11, 27-29)». Penso sia difficile trovare nei testi di sacramentaria cattolica quel «nesso» che al papa appare così evidente. A me ciò che appare evidente è l’uso poco corretto delle Scritture per sostenere la non negoziabilità della posizione vaticana.

Fortunatamente, in mezzo a posizioni intransigenti e che rendono impossibile il dialogo, si sono sentite anche parole chiare e lucide da parte del mondo cattolico italiano, con le quali ci si sente in piena sintonia, perché ispirate a un cristianesimo che riflette e si interroga, che rispetta la laicità dello Stato, che dialoga senza rinunciare in nulla alla propria fede cristiana cattolica. Una parola esplicita, in controtendenza alle dichiarazioni vaticane, è giunta, nei giorni scorsi, da Betlemme, dal cardinale Martini. Parlando a un gruppo di pellegrini milanesi guidati dall’arcivescovo di Milano Tettamanzi, il cardinale ha affermato tondo tondo che il compito della chiesa è quello di «farsi comprendere ascoltando anzitutto la gente, le loro necessità, problemi, sofferenze, lasciando che rimbalzino nel cuore e poi risuonino in ciò che diciamo, così che le nostre parole non cadano come dall’alto, da una teoria, ma siano prese da quel che la gente sente e vive, la verità dell’esperienza, e portino la luce del Vangelo».

Il compito della chiesa e dei suoi ministri non è quello di dettare legge nelle questioni che regolano la vita di tutti in una società plurale, per cultura e religione, ma di fornire argomentazioni, riflessioni sugli elementi fondamentali concernenti l’etica e la bioetica, equipaggiare culturalmente e teologicamente le coscienze delle persone, rendendole capaci di decisioni autonome.

I Dico non intendono distruggere la famiglia, rispettandola pienamente riconoscono altre relazioni fra le persone, non contemplate dall’art. 29 della Costituzione (che definisce la famiglia) e inserite nel programma di governo. Quando Lutero e i riformatori hanno contratto matrimonio, correggendo il contro-natura imposto a sacerdoti e vescovi (largamente concubini) dal Diritto canonico, essi hanno restituito libertà alla persona e onore al matrimonio cristiano. L’istituto famigliare però, è bene ricordarlo, non è una prerogativa dei cristiani: esso è condiviso da credenti e non credenti. È questione che concerne il diritto civile: la chiesa viene dopo. E la visione cristiana della famiglia e del matrimonio non è puro fatto di natura, esso si situa nell’orizzonte di una vocazione, nella direzione di una parola che suscita il confronto con l’evangelo di Gesù Cristo e non con i non possumus ecclesiastici. In Italia (ma non è così negli altri paesi europei in cui vi sono forme diverse di Pacs) la questione dei Dico – come dei grandi e complessi problemi di bioetica – viene letta unilateralmente attraverso le lenti del Vaticano e della Cei, oscurando tutti gli altri punti di vista di cattolici, protestanti, ebrei, di credenti e non credenti. E tutto ciò con la complicità dei mass-media che non sanno che cosa significhi «informazione» in una società laica democratica e pluralista.

Gli evangelici italiani non hanno tutti la stessa opinione sulle coppie di fatto, perciò è bene che se ne discuta nelle nostre comunità, nel rispetto di punti di vista diversi. Ma, appunto, un confronto che sopporta la diversità in campo etico, non mette in questione l’unità della chiesa e non impedisce il riconoscimento legislativo delle coppie di fatto. Riconoscere questi diritti non è un attacco alla famiglia né al matrimonio fra un uomo e una donna: permette però alle coppie di fatto, che vivono relazioni d’amore e di solidarietà diverse da quelle matrimoniali, di essere riconosciute nella loro piena dignità di persone.

 

Ermanno Genre
docente di teologia sistematica della Facoltà valdese di teologia

(da Riforma, 23 marzo 2007)


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