Si chiamava Neraneve e odiava le mele. Un giorno un gigante con le gambe di argilla e le mani ferrate la prese e gliene spinse una a forza dentro la gola.
«Puah» fece Neraneve rimanendo poi senza respiro.
La mela il gigante con le gambe d’argilla e le mani ferrate l’aveva rubata dentro un recinto dove c’erano anche aranci, peri e banani, ma lui aveva colto la mela perché il ramo gli stata più comodo. L’aveva colta per Neraneve perché ne era innamorato e voleva farla felice.
Quando vide che non respirava più, si arrabbiò moltissimo e cominciò a sbatterla contro ogni cosa, finché la mela non imbocco l’esofago e raggiunse lo stomaco e Neraneve riprese a respirare, ma si sentiva gonfia.
Dopo diciotto mesi partorì un melo e il gigante lo piantò in un pezzo di terra che diceva fosse suo, ma non stava scritto in nessun posto.
Vennero i gendarmi, sradicarono il melo e mandarono a gambe all’aria il gigante, che nel ricadere perse entrambi gli arti inferiori, frantumati nell’urto.
Saltellando sulle mani ferrate arrivò a prendere per il collo Neraneve e la strangolò.
«Brutta troia, guarda che m’hai combinato» disse, e la seppellì.
Dopo altri diciotto mesi dalle spoglie di Neraneve germogliò una pianticella che poteva sembrare un melo, e il gigante segato a metà per non correre rischi se la mangiò in un boccone.
E dopo diciotto mesi partorì un albero carico di mele, che nel passare per il suo intestino fino all’ano lo sdrucì completamente.
«Porca vacca, nemmeno da morta mi lascia in pace» disse, e si mangiò una mela.
La mela prodotta dal suo corpo era avvelenata e il mezzo gigante entrò in agonia.
«Neraneve, se ti prendo ti scuoio» e appena morto cominciò a correre sulle gambe che gli crebbero nell’aldilà, e oggi, dopo diciotto millenni, ancora va in cerca di Neraneve per dirle che voleva solo darle una mela e per chiederle di sposarlo.
Qualcuno di voi fra vivi e morti ha visto per caso Neraneve?
Maria Lanciotti