Di infedeltà, grandi o piccole (parlo soprattutto di quelle coniugali) è piena la storia, quella dei secoli passati e quella odierna. Talora di queste vicende è fatta addirittura la grande storia. In questo, si potrebbe dire, nulla è sostanzialmente cambiato. Forse l’unica cosa nuova in questo campo è il gossip di cui si nutre tutta una certa stampa, impensabile nei secoli passati.
Qualcosa però di nuovo è avvenuto in queste ultime settimane, ed è l’intervento pubblico di Veronica Lario (foto), seconda moglie di Berlusconi, oltretutto tramite un giornale, La Repubblica, del campo avverso. Non un semplice sfogo, ma un discorso ragionato e letterariamente ben condotto, e tale da far supporre un seguito, ma che costituisce comunque una rottura clamorosa del costume nazionale, e qualcuno aggiunge malignamente, “cattolico”, secondo il quale queste cose devono essere tenute al coperto. Il seguito, almeno fin ora, non c’è stato. Tutto è tornato sotto il manto della rispettabilità pubblica. Partita vinta, ancora una volta, del maschio italiano, così ben rappresentato da Silvio.
Rimane un interrogativo: le donne italiane li preferiscono così i loro uomini? Ed è pensabile una solidarietà tra di loro e con Veronica su questo punto? Per la verità un esempio di solidarietà di genere c’è stato tra le donne col Movimento femminista che ha lasciato i suoi segni, ma è durato lo spazio di una stagione.
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La scodella in frantumi. Gli albori del movimento dei lavoratori in Valtellina e in Valchiavenna. (dall’Unità d’Italia al Fascismo).
Questa è l’intitolazione del libro di Pierluigi Zenoni, che racconta la storia delle organizzazioni e delle lotte operaie tra 800 e 900. Il libro esce per i tipi della benemerita “Officina del libro” e riporta anche una impegnatissima prefazione dell’editore Massimo Mandelli. Io lo chiamerei il libro che mancava, e spero che sia soltanto un inizio.
Una vicenda raccontata nel libro e che mi tocca più da vicino è quella riguardante la filanda Mottana di Madonna di Tirano. Sono abbastanza vecchio per aver conosciuto e familiarizzato con più di una delle donne che vi avevano lavorato. Dai loro racconti veniva fuori un quadro di assoluto sfruttamento. Una nota quantomeno curiosa: per dare il ritmo veniva recitato in modo incalzante il rosario, immagine plastica dell’uso della religione a fini, per dir poco, impropri. Un tema sul quale ho giocato gran parte della mia vita con tutte le immaginabili conseguenze sulla stessa. Una particolare familiarità mi ha unito a una di quelle filandiere, Caterina Manusardi Cargasacchi. Ammalata e costretta a letto, andavo regolarmente a portarle la comunione, ed era bello ascoltarla raccontare. Univa insieme il richiamo a Marx e a Lenin e le pratiche devozionali. Aveva avuto una parte importante nelle proteste e nelle agitazioni che avevano contrassegnato quell’ambiente di giovani lavoratrici. Il fascismo sopravvenuto aveva posto il silenziatore su quelle vicende. Di più, era riuscito a cancellarne la memoria dalla testa della gente. Di qui lo stacco, il vuoto venutosi a creare nel corpo vivo di una storia che è pur sempre storia nostra. Quello stacco, quel vuoto che rimangono in gran parte da recuperare non solo a livello storiografico, ma anche nel nostro vissuto. L’opera di Pierluigi Zenoni ubbidisce a questo bisogno.
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A proposito del discorso sulle foibe occorre, senza sminuirne l’orrore e la giusta condanna, contestualizzare il tutto, se non si vuole che il ricordo sia ed appaia strumentale. Quella guerra chi l’ha dichiarata? Fummo noi, fu l’Italia fascista, fummo noi a dar vita a quel regno di Croazia affidato a un Aosta, riluttante, poco credibile Aosta. Di quali protezioni godette un Ante Pavelic? Ricordo una intervista di Curzio Malaparte allo stesso, dove racconta di un cesto a lato della sua scrivania pieno degli occhi dei nemici da lui trucidati. Questa dell’avocolazione – si chiama così – era una pratica barbarica che riemergeva dal buio dei secoli. La lotta partigiana, con Tito, venne di conseguenza, con le sue glorie e anche i suoi eccessi, tipo, appunto le foibe. Non senza aggiungere che l’impresa italiana fece da apripista all’intervento e all’invasione nazista.
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Due spettri, due fantasmi, due revenant, che sembravano cose del passato, tornano a volteggiare sinistramente sopra le nostre teste: il clericalismo e l’anticlericalismo. Due fratelli gemelli, anzi siamesi. Non si può evocare o immaginare l’uno senza l’altro. Tra gli anticlericali possiamo annoverare coloro, mettiamo certi radicali, che trattano la Chiesa, antistoricamente, come un corpo estraneo, mentre la nostra storia, anche quella più intima, non è immaginabile senza di essa. A loro volta, e all’opposto, ma simmetricamente, i clericali pensano e vivono la Chiesa come una corporazione a sé stante e sovrastante, anziché come una provvida compagnia offerta all’uomo nel suo cammino, altrimenti solitario, attraverso la storia.
Addio al “basta con le crociate” di Giovanni ventesimo terzo, addio alla “cattedra dei non credenti” di Martini. Il clamore mediatico copre e nasconde la voce e la presenza dei tanti che pensano la Chiesa come una realtà vivente nella storia, che affianca l’evolversi della società, con accenti all’occorrenza critici, ma sempre solidali.
Camillo de Piaz
(da Tirano & dintorni, marzo 2007)