In questi mesi, spenti i riflettori sulla ammissione dei piccoli di due anni e mezzo nella scuola d’infanzia, il Ministro Fioroni ha infatti deciso che sì, a una serie di condizioni possono entrare, si apre il dibattito sul senso di questa operazione per i bambini.
La questione tocca principalmente i genitori e gli insegnanti perché, in genere, i bambini si adattano, e quanto devono adattarsi, anche quando non sono pronti per essere lasciati in un ambiente diverso dalla famiglia. Non abbiamo per altro dati sulla ricaduta successiva dei bambini che anticipano.
Ci sono paesi che iniziano la scuola d’infanzia a due anni e mezzo e altri che prolungano il nido anche nella scuola d’infanzia. Se si anticipa a due anni e mezzo, gioco forza diventa anticipata anche la primaria a cinque anni e mezzo, introducendo i bambini in un percorso obbligato indipendente dal processo di crescita.
Il Ministro ha scelto una soluzione ponte, fra l’entrata anticipata decisa dalla famiglia e l’esclusione: l’ipotesi delle sezioni ‘primavera’, ovvero si accolgono i bambini di due anni e mezzo a livello sperimentale, con personale adeguato, poi si vedrà. Non ha preso, quindi, una decisione, ma ha optato per una proposta transitoria.
L’orientamento generale sull’anticipo in classe prima non è definito a livello di opinione pubblica, i genitori più informati vengono a chiedere l’iscrizione, altri lo fanno perché il compagno del figlio l’ha fatto, o perché considerano pronto il loro bambino ad affrontare il nuovo percorso. Alla scuola d’infanzia diventa una necessità e una questione di costi per le famiglie: poter iscrivere i bambini a due anni e mezzo fa risparmiare il costo del nido o della persona che accudisce il bambino.
È comunque un discorso di adulti che riguarda poco i bambini. C’è un precocismo anche nella vita quotidiana rispetto al loro inserimento nell’organizzazione familiare, con un vissuto di impegni, forse troppi, e di forzata celerità perdendo di vista i tempi e i ritmi tipici dell’infanzia.
Per contro su altri fronti i bambini non si lasciano crescere, ad esempio nel campo dell’autonomia personale, delle scelte e delle decisioni che riguardano il proprio quotidiano, delle piccole responsabilità che gradualmente possono assumere e così via.
Ciò che conta, una volta entrati nell’istituzione, non è più solo il fatto anagrafico, ma la programmazione di percorsi didattico-educativi mirati, l’organizzazione di spazi, tempi e relazioni adeguati, la quantità e la qualità dei saperi da inserire nei curricoli delle sezioni o classi che avranno un range di un anno e quattro mesi di differenza nell’età dei bambini frequentanti.
Se però le condizioni culturali e sociali della famiglia sono la principale causa del successo scolastico, come dicono ancora le statistiche, non ha importanza che un bambino cominci prima o dopo, ma diventa basilare dare di più a chi ha di meno, non aiuta dare prima a chi è nato prima.
Ma questa è un’altra storia che parla di politiche familiari e sociali di lungo periodo. Se non vogliamo perdere per strada un nucleo considerevole di ragazzi, magari ‘capaci e meritevoli’ occorrerà attrezzarsi e presto.
Fausta Svanella