Se dovessi fare un primo parziale bilancio di quella che è stata fino ad ora la politica scolastica del Ministro Giuseppe Fioroni (foto), questo non potrebbe che essere, in linea di massima, abbastanza positivo; anche se ci aspettiamo da lui un impegno che rappresenti una decisiva svolta verso una politica scolastica finalmente indirizzata a ridare serietà e rigore agli studi.
Innanzitutto apprezziamo la sua riforma degli esami di maturità che potrebbero riportare questa prova, purché i docenti vi credano, ad avere quel ruolo formativo che aveva del tutto perso con la formula morattiana della commissione senza membri esterni.
Inoltre risulta abbastanza incoraggiante la sua intenzione, almeno sembra, di non andare dietro le sirene demagogiche di coloro che pensano ad un biennio unico come ricetta per dare a tutti gli studenti di quattordici-quindici anni le stesse basi culturali per un futuro più consapevole e ricco di opportunità: come se bastasse, per camminare alla stessa maniera, che tutti si entrasse nello stesso negozio di scarpe!
Più di un indizio, invece, ci fa credere che egli sia davvero intenzionato a dare finalmente vera dignità all’istruzione-formazione professionale: primo fra tutti il suo impegno a diminuire l’orario scolastico degli istituti professionali spaventosamente penalizzati, oggi, dallo scarso uso dei laboratori a vantaggio di una frammentazione delle discipline che non ha eguali nel mondo.
Eppure in questi giorni mi sarei aspettato, da parte sua, una maggiore sensibilità. Pensavo, infatti, che non avrebbe fatto male ad andare a visitare almeno una delle scuole in cui si sono svolti episodi d’inaudita violenza, dei quali hanno parlato e continuano a farlo tutti gli organi d’informazione.
Il personale della scuola ha bisogno anche di questo: di sentire cioè che le istituzioni hanno la forza di schierarsi, di fare scelte ben precise e forti a favore di una categoria che, insieme a tante pecche, ha anche moltissimi meriti.
Se abbandoniamo e lasciamo i docenti ulteriormente soli, se non stiamo loro vicini come è giusto farlo quando è necessario, c’è il rischio di una deriva di qualunquismo i cui effetti, per decenni, nessuna riforma della scuola sarà in grado di recuperare.
Signor Ministro, Lei sa che dietro la crescente fuga dei docenti dalla scuola, fuga che avrebbe proporzioni spaventose se la legge lo consentisse, e dietro il crescente numero di malattie legate alla loro professione, c’è uno stress e un senso di frustrazione che non ha eguali in nessun’altra categoria.
Se dovessero riaccadere fatti come quelli di questi giorni, e ricapiteranno, faccia di tutto per essere loro più vicino; lo faccia almeno in nome del loro straordinario lavoro che li ha visti far fronte per esempio, nella più totale latitanza delle istituzioni e dei pedagogisti, che arrivano in Italia quasi sempre “dopo”, al repentino e progressivo massiccio inserimento nelle aule scolastiche, di decine di migliaia di bambini e ragazzi immigrati, nei confronti dei quali gli insegnanti si sono spesso dovuti inventare anche ruoli che sarebbero invece spettati ad altri. È peraltro curioso come gli “esperti,” per esempio dell’alfabetizzazione degli allievi stranieri o del disagio giovanile, siano stati inviati a fare i corsi di aggiornamento nelle scuole quando il fenomeno e l’emergenza erano già stati affrontati da anni, ed è altrettanto curioso notare come, nella stragrande maggioranza dei casi, tra i formatori non comparivano quei docenti che per primi avevano saputo trovare le risorse necessarie per far fronte alla nuova realtà scolastica italiana.
Quando qualcuno di questi docenti (o presidi) sarà preso a botte per non esser venuto meno al proprio dovere professionale, vada a trovarlo, si faccia magari fotografare accanto ad uno di loro. Potrà sembrare demagogia, e forse lo è, ma a questo sono ridotti i migliori tra docenti e presidi: ad aspettarsi almeno un po’ di demagogia.
Valerio Vagnoli
(da Notizie radicali, 7 marzo 2007)