Amo le curve, le sinuosità, il mondo è rotondo, il mondo è un seno. (Niki de Saint Phalle)
Monumentale e minuziosa. Surreale e provocatoria. Un’inventiva spinta ai limiti e pur assolutamente dentro alla realtà, dissacrante, impegnata, anche crudele, e, al tempo stesso, con un quid di commovente. Intellettuale dissidente e ribelle, ma mai nichilista. Mediatica, ma libera da vincoli, condizionamenti e catene. Geniale, sempre.
Vedere le sculture e le opere di Niki de Saint Phalle, superba e sublime assemblatrice e ricompositrice, è sempre un’esperienza oltre, un’immersione nella fantasia del mondo, in un universo senza confini, dove i sensi sono ultrasollecitati e scattano nella mente associazioni di idee inusitate.
IL MUDEC di Milano propone una straordinaria retrospettiva – la prima in un museo civico del Bel Paese – dedicata alla multiforme e versatile artefice: non solo scultrice, ma anche pittrice, autrice di pellicole sperimentali, performer originale e innovativa. Impossibile catalogare Niki de Saint Phalle, per quanto ascrivibile e iscrivibile nella sfera del Nouveau Réalisme, in quanto formatasi in un’era di vertiginosi ed epocali mutamenti sia nel campo dell’arte sia nell’ambito prettamente sociale.
“Le sue opere monumentali, tra cui parchi e sculture pubbliche, si intrecciano con una riflessione più personale e a volte struggente. Da un lato, è vista come una celebrità indipendente e orgogliosa della sua arte; dall’altro, la sua fragilità fisica e le numerose disuguaglianze e discriminazioni sociali a cui ha assistito nel corso della vita ne fanno emergere la sua umanità e sensibilità nei confronti dei più fragili”, è stato ben scritto.
Era bellissima Niki (Neuilly-sur-Seine, 1930 - La Jolla, 2002), una creatura affascinante, segnata anche da esperienze traumatiche dalla faticosa rielaborazione per riemergerne più luminosa e indomita che mai. La sua arte si fa catarsi, viatico, messaggio estetico ed esistenziale.
Niki de Saint Phalle è oggi considerata come una delle artiste più importanti del XX secolo – spiega la curatrice della mostra Lucia Pesapane. – Ha saputo, come pochi artisti prima, utilizzare lo schermo ed i media per promuovere la sua arte e il suo impegno sociale nei confronti delle minorità e dei più fragili, malati, bambini e animali. Questa responsabilità si è tradotta in un’arte gioiosa, inclusiva, in grado di veicolare attraverso opere comprensibili e amate da tutte le generazioni un discorso attento alle diversità, non-eurocentrico e non-gerarchico. L’artista fa breccia perché la sua opera parla di libertà e di diritti e ci dimostra che ribellarsi è sano, necessario, indispensabile. La sua arte ci offre un rimedio possibile contro l’ingiustizia, un conforto, è un accesso alla bellezza.
Otto sono le sezioni di una mostra ricchissima che lascia totalmente appagati in un profluvio di sensazioni e sentimenti. Di certo l’ispirazione e i lavori dell’artista franco-americana, regina dell’avanguardia le cui radici non trascurano il passato e le cui proiezioni ed esiti vanno al di là di mere barriere temporali di moda o gusto, non possono lasciare in alcun modo indifferenti. Scuote indubitabilmente e indelebilmente Niki nelle 110 opere che costellano l’intelligente percorso della mostra, fra quelle di grandi dimensioni (una decina) e lavori su carta, video, persino vestiti – era stata modella in una visione “molto pop dell’arte, intesa come percorso verso l’affermazione del femminile.”
Nella prima sezione, Fuoco a volontà, si trovano i celeberrimi Tirs (Spari)... “Tra il 1961 ed il 1962 Niki de Saint Phalle effettua circa venti Spari di fronte a un pubblico di amici, colleghi o invitati. Servendosi di una carabina l’artista sparava facendo esplodere sacchetti di pittura sulla tela, liberando, in questo processo creativo e catartico, le proprie emozioni. Gli Spari si collocano a metà tra performance, arte corporale, scultura e pittura. La loro precocità nella storia della performance e il gesto scandaloso dello sparo rivelano una profonda sensibilità critica nei confronti della violenza che caratterizzava la società occidentale degli inizi degli anni Sessanta, della politica francese in Algeria e della Guerra Fredda in particolare. Il gesto violento dello sparo può essere interpretato come un manifesto femminista ante litteram, attraverso cui esprimere i propri sentimenti di rabbia e di frustrazione nei confronti di un sistema che esclude le donne dal potere, nei confronti della famiglia, contro la violenza subita, contro la rigida educazione ricevuta e contro le difficoltà di emancipazione per una giovane donna e artista negli anni Sessanta”, e fra gli Spari alcuni “della serie delle Cattedrali e degli Altari, dove l’anticlericalismo dell’artista è palese, ma dove emerge fortissimo anche il fascino che su di lei hanno le cattedrali in quanto opere collettive, realizzate grazie allo sforzo condiviso di migliaia di persone. Per Saint Phalle l’arte è spesso un gesto di creazione collettivo.”
Iconoclasta e, insieme, architetto di novelle edificazioni, con stratificazioni enciclopediche e accostamenti simbolici nella congerie di elementi che richiederebbero ore e ore (potrebbero non bastare...) di analisi e studio.
Seconda sezione, Prostitute, streghe, spose, madri, dee: verso una nuova società matriarcale. “Nel 1960 divorzia, affida i figli al marito e si trasferisce a vivere con l’artista e compagno di vita Jean Tinguely in Impasse Ronsin a Parigi (luogo mitico dell’avanguardia artistica parigina), dove dividerà con lui l’atelier. Tra il 1963 ed il 1965 crea degli assemblaggi di oggetti in plastica e tessuto che riproducono le fattezze di donne partorienti, di spose cadaveri e di corpi femminili mutilati di gambe o braccia. Sono opere che costituiscono la denuncia dell’artista della situazione della donna agli inizi degli anni Sessanta, obbligata a ricoprire i ruoli tradizionali di moglie e madre all’interno dello spazio domestico. Spose, Parti, Streghe, Prostitute sono tante categorie quante sono le gabbie costruite da una società patriarcale nel corso dei secoli.”
Niki de Saint Phalle è una delle prime artiste a mettere al centro della sua arte i ruoli imposti alle donne e a distruggerli uno ad uno. I suoi assemblaggi colpiscono ancora oggi per la violenza e la radicalità del loro intento critico. Di fianco a queste opere di denuncia, l’artista crea donne forti, possenti, più grandi degli uomini per poterli superare, non più odalische passive, ma nuove dee che rivendicano pari poteri e opportunità (Lucia Pesapane). Vedi La Mariée à cheval, The Lady Sings the Blues, un omaggio alla Gran Signora del jazz Billie Holiday, nota per la superiore valentia musicale, ma anche per la difesa dei diritti civili degli afroamericani.
Terza sezione, Nana Power. “Niki de Saint Phalle avvia una personale revisione del canone artistico schierandosi in favore di ciò che era emarginato o taciuto nella cultura e nell’arte occidentale. Dopo anni di rabbia, frustrazione e angoscia, arriva finalmente un periodo di gioia. Siamo alla fine degli anni Sessanta e Settanta, gli anni delle Nanas. Nanna era la divinità guardiana del fiume Eufrate nell’antica città sumera di Ur, e Nana era anche la governante che si prendeva cura di lei a New York. Realizzate inizialmente in tessuto e cartapesta, poi in resina colorata, le Nanas sono la versione pop della Grande Madre dei miti arcaici – spiega la curatrice – moderne Veneri di Willendorf dal corpo abbondante che si espande in una gravidanza cosmica.” Sorprendenti Matres Matutae, felici ed enormi, con case-corpi che aprono la porta per inedite dimensioni di sogno e di vita. “Nel corso degli anni Saint Phalle crea un’armata di guerriere, muse femministe, donne incinte [...] Policrome, gioiose e potenti, sexy, rotonde e sportive, libere dagli stereotipi imposti dalla moda, le Nanas veicolano un’immagine del corpo il cui messaggio sociale oggi potremmo incasellare nel termine di body positivity.”
E non mancano le Nanas nere (e quelle danzanti), frutto della sua visione antidiscriminazioni e del suo passato americano – infanzia trascorsa a New York – quando ancora la segregazione razziale era un problema (quasi) insormontabile. L’opera NO! (della serie Remembering), è un chiaro riferimento alle Black Panthers. “Le Nanas nere incarnano il suo modo di difendere la diversità, dando voce ai più svantaggiati e trascurati dalla società [...] La sua pratica artistica anticipa di decenni le iniziative contro-egemoniche attuali, che mirano a ridare voce a coloro che sono stati ridotti in silenzio o dimenticati dalla Storia.”
E come dimenticare il Giardino dei Tarocchi, che si cita nella quarta sezione, spettacolo puro, una creazione che suscita uno stupore senza pari? “Niki de Saint Phalle inizia a costruire il Giardino dei Tarocchi nel 1978 a Garavicchio, frazione di Capalbio, su un terreno offerto […] Il parco di Capalbio rappresenta le 22 carte degli arcani maggiori del tarocco attraverso 22 sculture colorate, alcune delle quali monumentali e penetrabili, coperte di mosaici e di ceramiche variopinte. Ogni scultura è un’interpretazione unica di una carta del tarocco. L’intero giardino è un luogo magico e surreale, in cui il visitatore penetra letteralmente in un mondo fatto di draghi, principesse, oracoli, profeti, aggirandosi come in un labirinto, ritrovando alla fine la via d’uscita, e ritrovando forse anche se stesso. In mostra in questa sezione numerose maquette e litografie delle sculture, l’opera La Stella, eccezionalmente prestata dalla Collezione Fondazione Giardino dei Tarocchi in dialogo con altre opere come La Temperanza, La Morte, provenienti da collezioni private.”
La parola ancora alla curatrice: Incarna il sincretismo linguistico e culturale dell’artista, mostra l’influenza delle culture mediterranee e di quella indiana, della tradizione etrusca, dei parchi manieristi toscani e laziali. Il Giardino dei Tarocchi è la sua cattedrale, il suo Parc Güell, la dimostrazione che anche una donna può sognare e realizzare in grande.
Niki era peraltro un’artista collaborativa, non chiusa in uno sterile od orgoglioso isolamento creativo, non prigioniera di un’isola narcisistica. L’arte era per la sua concezione, come detto, condivisione, fenomeno collettivo. E il flusso storico non le era certo estraneo, date le disparate influenze e influssi ricevuti (Art Brut, Jackson Pollock, pittori primitivi toscani, culture mesoamericane e native, il Doganiere Rousseau e millanta) rielaborati in uno stile poi inconfondibile. E non va trascurata del resto la parte pubblica delle sue intuizioni che trovano riscontro in... “aree di gioco per bambini, scivoli dalle curve arrotondate e Grandi Giganti Gentili dentro cui nascondersi, fontane musicali e danzanti o angeli protettori sospesi sui soffitti delle stazioni per accompagnare i viaggiatori durante i loro cammini. Nascono così il Cyclop a Milly la Fôret (1969-1994), il Golem a Gerusalemme (1972), la Fontana Stravinsky a Parigi (1983), l’Arca di Noè a Gerusalemme (1990-1994) e il già citato Giardino dei Tarocchi a Capalbio (1978-1998).
Quinta sezione, Impegno, giustizia, cura. Risalta l’impegno di Niki, che, difendendo i malati, tratta di quella che veniva definita La peste del secolo, alias l’AIDS, che le sottrasse amici e assistenti. Niki scrive il libro AIDS: You Can’t Catch It Holding Hands. “Si legge in questa opera la volontà di sostenere e far parlare il dolore di comunità emarginate e abbandonate dalla società e dallo Stato.”
Troneggiano qui due Obelischi, fantasmagoriche sculture di grandi preservativi colorati (con un richiamo ai lingam indiani, pietre che sono simbolo di fecondità), un invito a proteggersi continuando ad amarsi. Lontani da pregiudizi, ignoranza e stigma sociale.
Sesta sezione, Daddy & Mon Secret. Il dolore si squaderna nel film Daddy, “in cui rivela la violenza subita dal padre all’età di dodici anni, uccidendolo simbolicamente con diciassette colpi di fucile. È una pellicola piena di rabbia, vendetta, sofferenza e di cinismo, firmata dall’artista negli anni Settanta, che in mostra fa da contrappunto a un’altra opera, questa volta intrisa di perdono, scritta vent’anni dopo, negli anni Novanta: è il libro Mon Secret.”
La scrittura mi ha permesso di aprire gli occhi, di prendere della distanza, di perdonare e di andare avanti.
Settima sezione, Oggetti d’incontro, l’invito al dialogo. “L’artista era affascinata da tutte le culture mondiali. Il suo approccio relazionale ha fatto sì che la sua arte risultasse come un polilogo, ovvero un confronto ricco e complesso, esito della fusione di culture, fantasie e mitologie diverse. Mi sento legata a tutte le culture. Mi hanno nutrito, le ho osservate, ho amato così tante cose diverse, che si tratti di arte messicana, amerindiana, italiana o orientale. Mi sono interrogata su di loro, ho visto e amato tutte queste meraviglie. Sono una parte di me stessa. Mi sento unita agli altri esseri umani e alle altre culture. I miti del mondo mediterraneo (l’Egitto, il Marocco, l’Italia e la Spagna) si intrecciano a simboli indiani o a quelli meso-americani che ha modo di conoscere durante gli anni vissuti a San Diego: sono questi i molteplici strati che compongono le opere e le sculture dell’artista e che ripercorrono una storia universale e plurale dell’umanità, senza più distinzioni tra Est e Ovest, centro e periferia, senza più dualismi, categorie o schemi binari.”
Un meticciato che avvolge fecondo, rispettando individui, civiltà e mondi, anche o, soprattutto, compresi quelli perduti o devastati da guerre, genocidi e colonialismo culturale.
Ottava sezione, La regina del deserto californiano. “Dopo il trasferimento a San Diego nel 1993 per motivi di salute, Niki de Saint Phalle immagina un parco di sculture in onore di un’altra divinità femminile: Queen Califia’s Magical Circle. Inaugurato qualche mese dopo la morte dell’artista nel 2002, è dedicato alla dea Califia, che la leggenda racconta essere stata la fondatrice della California. Celebrando la potenza di una divinità femminile dalla pelle nera, Niki de Saint Phalle continua nella sua volontà di riscrivere una storia che reintegri coloro che ne sono stati esclusi. Attorno alla dea Califia posizionata al centro del parco, si snoda un muro a forma di serpente che circonda otto totem, rappresentanti gli animali simbolo della cosmogonia mesoamericana. Tre di questi sono in mostra in questa sezione. Il parco ha avuto il merito di colmare la scarsa rappresentazione dei popoli nativi americani nella cultura dominante statunitense. Dopo il viaggio esoterico nel Giardino dei Tarocchi, l’artista sente il bisogno si avvicinarsi a un altro tipo di spiritualità, più legata ai culti della Madre Terra e alle tradizioni dei nativi americani che abitano la bassa California. Queen Califia’s Magical Circle è anche un omaggio alla ricchezza e al pluralismo culturale di una città frontaliera come San Diego.”
Infine, in mostra, anche alcuni Teschi, un tema che simboleggia il modo e le scelte di Niki nell’affrontare l’incalzare dell’età e del tempo. Come sempre l’artista affronta le difficoltà cercando di apportare gioia e consolazione attraverso l’arte. Ed ecco che i suoi teschi brillano, luccicano, scintillano. Come i popoli mesoamericani, l’artista considera la morte come un momento da festeggiare piuttosto che da temere, perché La Mort n’existe pas, Life is eternal, come scrive su una delle ultime opere che ci lascia (Lucia Pesapane).
Chiudiamo con le vetrine... Non ho alcun problema a portare degli stivali col tacco o un fiore nei capelli se ne ho voglia. Credo che i nostri vestiti debbano essere una rivendicazione. I miei lo sono. Riflettono quello che sento. “Camaleontica nel vestire, chic e glamour, fotografata dai grandi Arnold Newman, Robert Doisneau, Henri Clarke, Niki de Saint Phalle anticipava la moda. Se negli anni Sessanta prediligeva tute aderenti e stivali firmati spesso Yves Saint Laurent e Marc Bohan, nei Settanta indossò le gonne di Thea Porter, regina inglese del gipsy chic. Dopo la parentesi bohémienne arrivarono gli sberluccichii di lamé e le spalline anni Ottanta, alternati a caftani e chimoni orientali. E poi i cappelli, di ogni forma e colore.”
Impagabile Niki.
Contemporaneamente si svolge negli spazi da cattedrale dell’Hangar Bicocca una mostra dedicata a Jean Tinguely, compagno di Niki de Saint Phalle. “La città è legata a questi due artisti fin dagli anni Sessanta, quando ospitò la prima esposizione di quello che sarebbe diventato il gruppo dei Nouveaux Réalistes in cui Niki de Saint Phalle si distinse come l’unica donna (tra nomi come Yves Klein, César Baldaccini, Daniel Spoerri, Jacques Villeglé, Christo, Gerard Deschamps, Edoardo Puglisi, Mimmo Rotella, Arman).”
La storia d’amore con Jean Tinguely fu intensa, passionale, esplosiva. Uno lo Yin et l’altro lo Yang, Venere e Vulcano, furono i Bonny e Clyde dell’arte, così descrive il loro rapporto artistico-esistenziale Lucia Pesapane, curatrice anche della mostra di Tinguely. La dualità e la complementarità tra i due si esprime attraverso l’accostamento di materiali diversi, di colori opposti, di forme asimmetriche, ma che riescono a creare una polifonia sorprendente.
Dulcis in fundo, approfittando della mostra, 24 ORE Cultura ha non soltanto pubblicato il catalogo Niki de Saint Phalle, ma ha anche ridato vita a Il mio segreto, il libro da lei scritto, che da tempo era fuori catalogo e introvabile sul mercato. Entrambi i volumi sono disponibili nel bookshop della mostra, oltre che nelle librerie e online.
Alberto Figliolia
Niki de Saint Phalle, mostra prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura e Institutional Partner Fondazione Deloitte, in collaborazione con la Niki Charitable Art Foundation. Fino al 16 febbraio 2025. MUDEC, via Tortona 56, Milano.
Info e prenotazioni: tel. 02 54917 (lun-ven 10-17); siti Internet http://www.mudec.it e https://ticket24ore.it.
Orari: lun 14:30‐19:30; mar, mer, ven, dom 9:30-19:30; gio, sab 9:30-22:30.
Aperture straordinarie: sabato 7 dicembre (Sant’Ambrogio) 9:30-22:30); domenica 8 dicembre (Festa dell’Immacolata Concezione) 9:30-19:30; martedì 24 dicembre (Vigilia di Natale) 9:30-14; mercoledì 25 dicembre (Natale) 14:30-19:30; giovedì 26 dicembre (Santo Stefano) 9:30-22:30; martedì 31 dicembre (San Silvestro) 9:30-14; mercoledì 1 gennaio (Capodanno) 14:30-19:30; lunedì 6 gennaio (Epifania) 9:30-19:30.
Biglietti: intero € 16 | ridotto € 14. Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura.