Un particolare procedimento per eseguire, attraverso un racconto, il ritratto di un personaggio, è mettere quel personaggio a confronto con le situazioni più svariate - ora comuni, ora bizzarre, ora perfino fantastiche - e osservare come reagisce a tali provocazioni. Emergeranno così tante sue emozioni, tante sfaccettature della sua psicologia. Un buon ritratto dovrà darci un’impressione di unitarietà attraverso la molteplicità degli aspetti così suscitati: come una persona reale resta in fondo sempre la stessa malgrado le modificazioni che subisce nei diversi contesti in cui si trova ad agire, e attraverso il passaggio del tempo.
Mi sembra questo il progetto che realizza l’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope.
Il personaggio ritratto, al centro del racconto, e anzi tema del racconto stesso, è una donna il cui nome infatti dà il titolo al film. Ma Parthenope è anche l’antico nome greco della città di Napoli. E la protagonista, partorita nel mare, nelle acque di Posillipo, ha forse alcune caratteristiche di quella città, come fosse quasi una sua personificazione.
Tali caratteristiche si rivelano gradualmente per tutto il corso del racconto. Se la più evidente è la bellezza fisica, quella su cui più si appunta la descrizione è una speciale grazia interiore, che però comprendere numerose contraddizioni.
Parthenope è solare ma allo stesso tempo ospita zone d’ombra insondabili; è sensuale, ma anche a volte pudica; è attratta dalla religione cristiana, ma è più forte in lei una sensibilità pagana; in certi momenti appare fredda, scostante, ma è poi capace di slanci imprevedibili di generosità; è ambiziosa ma anche umile.
Questi tratti contraddittori non sono contrapposti l’uno all’altro come per un gioco intellettuale, ma risultano concretizzati in tutta semplicità nell’evidenza fisica del personaggio, nei movimenti del corpo, nelle espressioni del viso. (L’attrice che la interpreta con totale aderenza è Celeste Della Porta).
Forse la sua contraddizione principale è apparire allo stesso tempo realistica e idealizzata, se appunto la grazia, alla fine, ci resta impressa come il suo connotato principale.
Certo, gli episodi che attraversa, slegati per lo più l’uno dall’altro, che non compongono un racconto tradizionale (come accadeva anche in certi film di Fellini, per esempio Amarcord e Casanova) potranno risultare a volte gratuitamente stravaganti o sforzatamente provocatori (penso alla scena in cui la ragazza si accoppia in chiesa con un cardinale, vestita di paramenti sacri.)
Ma in effetti quegli episodi, nel loro complesso, costituiscono come un gigantesco, forse sovrabbondante, laboratorio, una serie di test fantasiosi, per “spremere” dal personaggio le sue emozioni più intime.
A maggior ragione si potrà rimproverare al film lo stile sentenzioso, un po’ fastidiosamente aforistico, dei dialoghi. Ma si sa che l’aspetto migliore del cinema di Sorrentino è qui come altrove nelle immagini piuttosto che nelle parole.
E in Parthenope tra le immagini più belle c’è quella conclusiva. La protagonista, in età matura, adesso interpretata da Stefania Sandrelli, vede passare nella notte un pullman carico dell’allegria dei tifosi del Napoli, che festeggiano la vittoria dello scudetto. Riflessa nel suo volto quella rapida apparizione notturna sembra alludere al passaggio della sua vita, alla sua brevità, alla precarietà dei momenti felici, ma anche, nel cuore del personaggio, al raggiungimento di una rassegnazione serena.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 2 novembre 2024
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