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Alberto Figliolia. “La storia di Armando Picchi” al Teatro Gerolamo di Milano
26 Ottobre 2024
 

La prima volta che ho indossato la maglia del Livorno mi sono sentito nudo perché la mia pelle era amaranto.

 

Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi… il rosario di ogni interista che si rispetti, di ogni amante del calcio. Picchi, Armando: da Livorno, prima terzino destro, poi libero (oggi si direbbe centrale). Libero di nome e di fatto. 20 giugno 1935-Sanremo 26 maggio 1971, una vita breve ma intensissima, nel segno di una gloria sportiva imperitura e di uno spessore umano altrettale.

La sua biografia di giocatore recita: Livorno (1954-1959, 99 presenze e 5 reti), S.P.A.L. (1959-1960, 27-1, e un quinto posto epocale nella massima divisione per l’équipe ferrarese), Inter (1960-1967, 205-1), Varese (1967-1969, 46). E Italia (1964-68, 12). Tre scudetti, due Coppe dei Campioni e due Intercontinentali, l’ultimo baluardo in campo con la maglia nerazzurra della Grande Inter.

Calciatore di intelligenza superiore, classe e senso tattico superbo, cresciuto in seno a una famiglia speciale, come ha saputo ben raccontare Nando dalla Chiesa, sociologo e scrittore, nel suo bellissimo volume Capitano, mio capitano (Limina 2005).

Il fratello maggiore Leo, suo mentore, era un farmacista che aveva militato come calciatore professionista nel Livorno e nel Torino del dopo Superga, oltre ad avere giocato in serie A, nei primi anni Quaranta, anche a pallacanestro (nessuno come lui). Come detto, una famiglia assolutamente non banale in una città a sua volta unica, e forse sottovalutata per quel che concerne la propria incantevole bellezza, dall’invincibile spirito marinaio, quello che spira libertà da ogni poro, come era per tanti del nucleo familiare dei Picchi. Armando aveva un nonno anarchico e un altro repubblicano costretto per l’esilio a lasciare la patria.

Spirito mai domo era Picchi sui verdi campi del football, capitano della leggendaria formazione allenata da Helenio Herrera, il Mago, con cui talora confliggeva – ed erano scintille – data la fortissima personalità di entrambi. Ma Picchi era imprescindibile in quella squadra che seppe dominare in Italia, in Europa e nel mondo, emblema tosco-meneghino e del tricolore che rinasceva in fiducia e aspettative dopo la grande rovina della Guerra. Una figura peraltro molto emozionale quella di Armando, stroncato da un tumore alla colonna vertebrale quando aveva già intrapreso nei ranghi della Juventus, arcirivale del Biscione, una più che promettente carriera di allenatore. Indelebile nella memoria l’Armando per le capacità tecniche, il simbolo che era divenuto, per il contorno socio-familiare che lo faceva vieppiù risaltare e rifulgere. “Il calciatore e l’uomo, il capitano e il sognatore, la forza e la poesia. 171 centimetri, 71 chili, il 41 di scarpe. Armando Picchi portò nell’Inter di Herrera e Moratti tutto lo spirito ribelle e combattivo ereditato dalla sua terra e dalla sua famiglia. Quello spirito impastò il cemento di una squadra italiana che vinse tutto al mondo, vanto della Milano Capitale emergente della società industriale.”

Al numero 6 di quel celeberrimo incipit – spettacolare la coppia che creava in mezzo allo schieramento difensivo nerazzurro con l’Aristide cremonese, gran senso dell’anticipo e gran colpitore di testa – dedica uno spettacolo, La storia di Armando Picchi, il Teatro Gerolamo sabato 2 novembre (ore 20) e domenica 3 novembre (ore 16). Il testo è di Alessandro Brucioni e Michele Crestacci, con Michele Crestacci (foto); regia e musiche di Alessandro Brucioni (produzione mo-wan teatro, con il sostegno della Regione Toscana).

Un bella e imperdibile occasione anche per ammirare quel gioiello architettonico e sentimentale che è il Gerolamo, nel pieno centro di Milano, teatro raffinato e, insieme, popolare, una storia antica, una splendida bomboniera dal ricco e originalissimo cartellone.

Lo spettacolo Picchi racconta lo spirito di Livorno e lo spirito di ogni italiano che resiste, combatte, inventa. Attraverso una narrazione comica e intensa viene ricostruito il percorso umano e professionale del calciatore. Dalle prime partite sul mare di Livorno alla indimenticabile finale di Coppa Campioni a Vienna del ’64, dal boom economico alla rivoluzione sessuale del ’68, dal tenero incontro con l’amore alla drammatica vicenda personale che lo condusse alla morte. E sullo sfondo l’Italia che cambia. La TV, usi e costumi, e il calcio che da semplice e romantico sport collettivo si trasforma in un feroce business e in un simbolo sempre più significativo dell’evoluzione sociale e culturale della società odierna. Sullo sfondo Livorno con le sue brezze calde, con le sue ferite, le sue debolezze e le sue appassionate voci, compresa la sua, di Armando Picchi. Un simbolo di serietà, fedeltà e sacrificio. Un allenatore in campo e un punto di riferimento per la squadra nello spogliatoio: IN UNA PAROLA, IL CAPITANO.”

Non poteva dirsi meglio.

Non solo per interisti. Per capire una piccola era, nel solco del neorealismo e delle speranze. Nel segno di un atleta di caratura immensa e, soprattutto, uomo tutto d’un pezzo, interprete di una realtà complessa, in continuo divenire, figlio dei più begli umori popolari, interprete di un mondo in mutamento da governare con raziocino e fantasia.

 

Alberto Figliolia

 

 

La storia di Armando Picchi, Teatro Gerolamo (Piazza Cesare Beccaria 8, Milano). Sabato 2 novembre, ore 20 e domenica 3 novembre, ore 16.

Durata spettacolo: 60 minuti senza intervallo

Informazioni e prenotazioni: tel. Uffici 0236590120/122, biglietteria 0245388221; e-mail biglietteria@teatrogerolamo.it, info@teatrogerolamo.it; sito Internet www.teatrogerolamo.it


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