È trascorso già un anno dal 7 ottobre 2023, quando avvenne la strage compiuta ai danni dell’inerme popolazione israeliana da parte dei fanatici palestinesi di Hamas, che ha segnato l’inizio di una guerra apparentemente senza fine in Terra Santa. Alla loro sanguinosa provocazione ha replicato senza indugi il governo di Israele guidato da Netanyahu e appoggiato dalla destra religiosa ebraica, che lavora per impedire la pace e soffocare i diritti dei palestinesi. Nell’altro campo le tre H (Hamas, Hezbollah e gli Houti, sostenuti dal regime iraniano) alimentano l’estremismo, non riconoscendo il diritto di Israele ad esistere, e soffocano le proprie popolazioni tenendole in ostaggio della loro strategia di guerra e della loro ideologia autocratica. Pertanto non ha senso schierarsi da una parte o dall’altra in questo conflitto, accettando la logica della polarizzazione che da sempre caratterizza la questione israelo-palestinese. Bisognerebbe avere la forza e la capacità di schierarsi con quella parte delle popolazioni nella regione, da una parte e dall’altra, che si batte per la libertà e i diritti, per la democrazia e per la pace.
Purtroppo il 7 ottobre 2023 non è un giorno tanto diverso dal 24 febbraio 2022, perché anche l’invasione russa dell’Ucraina ha costituito una svolta drammatica per l’Europa, che non potrà più ignorare il rischio corso dalla sua libertà e dal suo sistema democratico. Allo stesso modo il massacro perpetrato un anno fa da Hamas rappresenta un punto di non ritorno per Israele nel tentativo di garantire la propria sicurezza. In entrambi i conflitti, pur in modi e situazioni diversi, è in gioco la costruzione di nuovi equilibri regionali, e in tutt’e due i casi sono è la guerra a imporsi come strumento dirimente, perché il ramoscello di ulivo che stringeva in una mano Arafat alla fine degli anni ottanta e la ’casa comune’ perseguita da Gorbaciov nello stesso periodo sono ormai un pallido ricordo che ha ceduto il passo alle armi in un caso e, oltre agli armamenti, al sogno imperiale nell’altro.
Le responsabilità del drammatico fallimento delle speranze di pace ricadono in gran parte sugli impotenti stati europei, che non hanno voluto coalizzarsi in un’Unione europea forte e coesa per poter influenzare il corso degli avvenimenti internazionali nella direzione della pace. Gli stati europei perpetuano sempre gli stessi errori, restando divisi e inconcludenti, incapaci di reagire ad una ritorno tanto brutale della guerra come strumento di imposizione di una nazione sull’altra. Per questo sono colpevoli di non fornire alcun contributo utile alla pace, e le vittime innocenti di tutte queste guerre pesano anche sulle coscienze dei nostri governi e delle nostre classi politiche. Può ancora arrivare, sebbene sia molto difficile, una tregua in Medioriente, però sappiamo che non basterà a fermare la violenza e l’ingiustizia e che servirebbe invece un’Europa diversa e compatta, che potrebbe fare la differenza guadagnando in fretta l’autorevolezza e la capacità – che oggi non ha – di spostare l’asse della politica internazionale verso la democrazia e la pace. Se gli europei vogliono davvero aiutarle ad affermarsi, occorre che imparino in fretta a federarsi per poter contare insieme qualcosa nel mondo e non restare tagliati fuori.
Giuseppe Enrico Brivio - segretario della sezione “Ezio Vedovelli” Valtellina-Valchiavenna del Movimento federalista europeo
Guido Monti - responsabile del Comitato provinciale per l’Europa di Sondrio