Testi tratti da
Così l’anima invoca un soffio di poesia
Io l’ho amata ogni mattina
nell’eternità celeste questa terra
travestita a festa e silenzio.
L’ho amata di felicità sull’isola
come fossi io stessa stesa
sull’acqua nel canto libero
di chi crede ancora che amarsi
è tutto questo coprirsi di baci.
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Benedirò con ogni benedizione
le betulle di mio padre
i cristallini riflessi sulla pioggia soleggiata
la speranza in continua trasformazione
tra il bianco latte del tronco e la libertà.
Benedirò le voci che passano nelle nuvole
per ricordare che non potrai tornare indietro
nemmeno nei legni intagliati, saperti
a piedi uniti e con le spalle appoggiate.
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Così hai imparato la misura dello spazio
hai aperto la cerniera del vento come fa
l’abisso
baciato la pupilla
osando il perdono di te stesso
davanti a tutte le finestre che danno sul retro
lì
hai sentito la magnificenza
nello stesso momento in cui metti
a confronto le lettere maiuscole e minuscole.
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Hai mai pensato di svegliarti presto
passeggiare l’occhio fresco
e la guancia nella neve nuova
frugare a lungo con il naso
gli invisibili segreti
voci profetiche sospese
intorno ai lampioni, alla fontana
padrona della piazza.
La luce fa così quando scuote il fuoco
di dicembre e si sparge sopra i tetti,
sugli specchi impolverati, sul monte.
Un rito silenzioso e astuto
testimone di chi scrive da lontano
e aspetta il giorno crescere
lievito o anima.
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L’assenza ha una forma quieta
dischiusa, indecifrabile, bianchissima
un tumulto di cellule nella gravità delle spalle
fino a riaprire un rumore spezzettato
fermato nell’ansietà del chiarore tra due costole
nello stesso istante piegate alla redenzione
mansueta. Sembra possibile la partecipazione
la prima appartenenza fuori da queste cose
in cui metto le mani, un bicchiere, un rosario,
un libro, tante voci e mai la tua.
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Mille volte i canti delle magnolie
ritornano nell’imbrunire
al mio respiro.
Non temono l’intreccio dei venti
né linee curve nel seno delle nuvole.
Indugiano solo quando l’eco disperata le insegue.