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Giuseppina Rando. L’amore imperfetto 
“Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout
17 Settembre 2024
 

Elizabeth Strout

Mi chiamo Lucy Barton

Traduzione di Susanna Basso

Einaudi, 2016, pp. 168, € 17,50

 

È un romanzo/diario con risvolti profondamente psicologici e realistici. Sentimenti ed emozioni affiorano non tanto dalla narrazione frammentata, ma dai “silenzi” intercalati tra una pausa e l’altra durante i quali si percepisce un quid essenziale, ma sfuggente: il non detto e la solitudine che porta con sé.

Quel non detto che scava il vuoto, annichilisce e fa smarrire. Parole sussurrate, emozioni e sentimenti mai espressi da una madre e una figlia che si rivedono dopo tanti anni. Dove?

In una stanza d’ospedale... Qui la figlia Lucy (la voce narrante) si trova per una banale operazione di appendicite, guaribile di solito in pochi giorni, ma generante un’infezione che gli stessi medici non riescono a capire e curare tanto da protrarre la degenza per oltre nove settimane.

Ovviamente Lucy vive giorni difficili, le due figlie piccole le mancano tanto e il marito che ha in odio gli ospedali, va a trovarla di rado; egli così pensa di chiamare la madre di lei la quale subito affronta incredibili difficoltà di viaggio pur di rivederla.

Per cinque giorni e cinque notti madre e figlia parlano, ma “non dicono” ciò che sostanzialmente le ha allontanate per tanto tempo.

Il romanzo affascina il lettore che s’interroga sulla forza distruttrice della povertà e della miseria sociale iniziata durante l’infanzia della narratrice vissuta in un garage, mangiando tozzi di pane duro, con un freddo onnipresente e la compagnia dei libri (presi in prestito a scuola) per sentirsi meno sola e annientare soprattutto la povertà affettiva dei suoi genitori.

Povertà mai accettata così come non è accettata la sua famiglia strana che non vede da tempo, né i fratelli complicati, né il padre, a cui si è avvicinata soltanto alla fine della sua esistenza.

Un romanzo particolarmente delicato dove i sentimenti e le emozioni dell’io narrante s’intrecciano con quelli della madre all’apparenza fredda e distaccata.

Una madre imperfetta? Una figlia imperfetta? Ma… esiste la perfezione?

Non si può, tuttavia, non evidenziare che è proprio “la madre imperfetta” a rispondere subito all’invito di andare dalla figlia sofferente e cercare di colmare il vuoto che il silenzio aveva negli anni creato tra loro. Lo riempie a modo suo: racconta, su richiesta della figlia, dei matrimoni falliti delle sue conoscenti d’infanzia, storie che turbano Lucy riportandola a quella che è stata la sua storia, l’unica che sia veramente in grado di scrivere iniziando dall'esperienza vissuta in ospedale, il conforto e la gioia di avere finalmente accanto sua madre, nonostante la mancata chiarificazione sui rispettivi atteggiamenti.

Facendo dei salti temporali in avanti e indietro, nella sua vita precedente e successiva al ricovero, Lucy ci racconta quindi la sua infelice infanzia, la tormentata relazione con i genitori e i fratelli, la fuga da quelle persone e da quella vita, i suoi studi al college, la realizzazione del sogno di diventare “scrittrice”, il benessere economico tanto cercato e alla fine raggiunto. Benessere economico che le ha procurato, inevitabilmente, tanti sensi di colpa.

Il libro si legge rapidamente favorito da una scrittura essenziale, mai banale: ogni frase offre lo spunto a numerose riflessioni. Non ultima quella sul valore della comunicazione e del dialogo di cui oggi si fa un gran discutere.

Si ricorda, a proposito, ciò che scrive lo studioso e psichiatra Eugenio Borgna nel saggio Parlarsi: la vera comunicazione… è uscire da se stessi e immedesimarsi nella vita interiore di un altro da noi…

L’entrare in empatia con l’altro, implicando l’uscita da se stessi e l’immedesimarsi, resta l’unica via da percorrere per allontanarsi dalla solitudine esistenziale o dal doloroso isolamento sociale.

Madre e figlia con lievi sfumature, per cinque giorni e cinque notti, parlano delle storie degli altri per non parlare di se stesse… cercano entrambe la via per uscire dal proprio io e potersi incontrare.

Si incontrano infine in quella stanza d’ospedale nel momento in cui trovano il coraggio di volersi bene e dirlo: …mia madre era la madre che avevo sempre avuto, per quanto diversa potesse sembrare con quella voce quieta, inderogabile, e la faccia più tenera del solito...

E poi… sull’amore imperfetto… abbiamo tutti un'unica storia da raccontare

Esaustivo ed incisivo il commento della giornalista Annalena Benini che scrive: “Elizabeth Strout è riuscita a dipingere con le parole il momento del riconoscimento, il momento raro in cui dentro una famiglia si fa giorno”.

 

Giuseppina Rando

 

 

Elizabeth Strout è nata nel Maine ma da molti anni vive New York. In Italia ha pubblicato per Fazi editore, tre romanzi, Amy e Isabelle, Resta con me, I ragazzi Burgess e la raccolta di racconti Olive Kitteridge (Premio Plitzer 2009, Premio Bancarella 2010 e Premio Mondello 2012) da cui è stata tratta una serie tv. Per Einaudi ha pubblicato: Tutto è possibile (2017 e 2018), Olive, ancora lei (2020 e 2021), Oh William (2022 e 2023) e Lucy davanti al mare (2024).


 
 
 
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