Il disegno di un prato coperto di erba e di fiori su cui volano tante farfalle di tutti i colori, che Margit Koretzová fece a Terezin, è conservato nel Museo Ebraico di Praga insieme ad altri trentadue di Margit: nata nell’aprile del 1933 a Plzen nella Repubblica Ceca, a gennaio ‘42 fu portata nel campo di concentramento di Terezin, a ottobre ’44 trasferita ad Auschwitz insieme al fratello e alla mamma - il padre era lì da settembre - e tutti immediatamente mandati alle camere a gas. La silloge di Silvia Comoglio, Margit e un prato con fiori e farfalle dipinto a Terezin, non è solo il ricordo in poesia della bambina, ma è completata da una estesa ricerca con cui la Comoglio ha ricostruito la vicenda di Margit e della sua famiglia.
I versi della Comoglio sono attraversati da uno stupore che si fa strazio che non grida, ma suona come un lamento, come una nenia dolorosa raccolta nel susseguirsi delle anafore, delle ripetizioni, capaci di trasformare il lamento in una ninnananna che accompagna e chiede amore: - me, / - amate me / sillaba spezzata / - nell’ombra / - di un fiore contro fiore […] - me- / - grammo, / di fiore, / orlato agl’occhi / réfolo che tuona - / - dentro la sua eco.
Quei fiori e farfalle hanno colori accesi: le gradazioni di rosso - sangue e amore -, il verde che si incupisce - come la speranza -, lo sfondo rosa aranciato che evoca un’alba - o un tramonto? - sono un messaggio non verbale più forte di ogni parola. C’è ricordo e nostalgia di vita, quella conosciuta nel prima di Terezin, c’è sogno e desiderio di libertà, di volare fuori, e il volo è affidato alle farfalle: - c’è un prato, invaso, ora dal cuore / - un dire muto di farfalla / - che è densa notte di pianto / - lùcido a vetro. L’esergo evoca la luce, ormai non più augurio per la vita terrena, ma per un Altrove più luminoso e consolatorio: “Come l’aurora irromperà la tua luce” (Isaia 58.8). Ora è l’ombra che prevale sulla luce, insieme al pianto: (…l’ombra, tra le mani, tutta - / sin-ghiozzata. La disposizione stessa del verso nello spazio bianco, le pause richieste dalla punteggiatura, trasformano in singhiozzo una lettura del testo ad alta voce.
Il vento è parola che ritorna, perché aiuti il volo, l’uscita dall’abisso che fa raggelare le rose: - ma): chi lo seda - / allora il cuore, / dove la rosa - / è rosa che raggela? Versi struggenti, chiaramente simbolici di un’infanzia spezzata.
Il Tempo diventa un susseguirsi duro di giorni che non apre alla speranza: il Tempo che lacera il suo giorno fino all’estremo margine di vita, lì dove la Terra non offre conforto: la Terra che sempre qui si sporge / gelandosi supina.
La parola ali è parola magica che appartiene alla dimensione del sogno - come il canto dell’allodola che penetra la pietra: perché sia, la pietra, / allodola che canta. Sono le ali delle farfalle, quelle che ha messo Margit nel disegno, quelle che possono volare oltre la porta chiusa: – quante – quante ali! /- hai messo, Margit, nel prato, /- il prato, davanti alla porta / - perché sia, la porta, / - fiorita di ali, e non - / raggeli la rosa.
Che l’ala dunque si muova nel vento e faccia respirare la rosa/bambina: - se mi ami - soffia / sulle ali, le ali di farfalla, / quélla di Terezin. Ognuno si faccia vento per salvare Margit.
Una silloge che valica il Tempo, che si estende a tante altre Margit della Storia, anche la più recente, anche quella attuale; versi ricchi di simboli, che nella traduzione di Giorgio Mobili si distendono, per esigenze linguistiche, acquistando respiro, come se ci fosse passato dentro un refolo di vento: pray, Lord, / that the rose may not / freeze, / that the wing / be / breath for the rose.
Marisa Cecchetti
Silvia Comoglio, Margit
e un prato con fiori e farfalle dipinto a Terezin
Testo inglese a fronte. Trad. di Giorgio Mobili
Book Editore, 2024, pp. 88, € 18,00