Fu il Mondiale delle nuvole vaganti in un cielo profondo, il sole a liquefare i pensieri e il respiro mozzato da un'altitudine antica. Fra i colori e le figure monumentali di Diego María de la Conceptión Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez e le suggestioni e il sentimento dell’arcaica, divina e inspiegabile potenza della Natura di Frida Khalo.
1970. Fu il Mondiale dei gatti magici: uno dal mancino proibito e uno che volava fra i pali: Roberto Rivelino (Rivellino il cognome italiano dagli antenati molisani), l’inventore del gesto tecnico denominato “elastico”, e Félix.
Félix, come il gatto, soltanto un accento in più. Félix Miéli Venerando, per amore della massima precisione, l'estremo difensore di quel Brasile delle meraviglie, cinque numeri 10 in attacco, dieci assi nei ruoli di movimento + quello che veniva indicato come il punto debole del team verdeoro, alias Félix, il custode della porta, un ruolo quasi mistico.
Eppure non era affatto scarso quel portiere. Faceva il suo onesto dovere e anche qualcosa di più (non tutti devono fare la parata del secolo come Gordon Banks o Dino Zoff). Certo giocava in una squadra spettacolare, di più… stellare, che non avrebbe mai potuto perdere con alcuno. E infatti non perse mai; le vinse tutte in quella edizione che avrebbe definitivamente assegnato la Rimet all’équipe fra Italia e Brasile capace di vincere la finalissima.
Come l’universo sa, fu il Brasile a trionfare: 4-1, anche se i primi 45’ si erano chiusi sull’1-1 dopo il volo fra gli astri di Pelé a beffare Tarcisio la roccia Burgnich, vanamente proteso verso quell’irraggiungibile etere, e Ricky Albertosi e il pareggio di un altro Roberto, il monatto mantovano Boninsegna, mancino di pregio (e grinta), a “scippare” il tiro nientedimeno che al gemello Giggirriva (erano stati compagni anche nel Cagliari).
E però che samba sapevano ballare i carioca! Che delizie estetiche! Che inventiva nei dribbling e nel repertorio delle finte! Che prodezze balistiche! Che visioni! Palleggio e fraseggio finissimi. Un gioco “slow” che incantava. Per creare bellezza non è necessario correre sempre forsennatamente. Soprattutto a 2000 metri di altezza sotto una volta azzurrissima solcata talvolta da caravelle di vapore in forma di cumuli. La palla può essere vezzeggiata e nascosta agli avversari, carezzata e lanciata nel posto giusto, nel momento giusto, all’uomo giusto.
Vero che i nostri avevano nelle gambe i 120’ massacranti, già leggendari, commoventi dell’Azteca contro i tedeschi; vero è che per 84’ regalammo ai brasiliani l’assenza di Rivera. Perché poi Sandrino Mazzola e Giannino Rivera non potessero giocare insieme nei 90’ regolamentari non si è mai capito.
Dieci giocatori di movimento – Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Piazza, Brito, Jairzinho, Gérson, Tostão, Pelé, Rivelino + Félix. Cinque numeri 10 avanti, vocati al bello, a far gioco, a creare, imprevedibili, fantasiosi – futebol bailado – e pur terribilmente concreti, e gli altri fra difesa e centrocampo con altrettante stimmate, se non di classe, di sicura forza + Félix.
Difatti nemmeno Félix stonava. Dritto dritto nella leggenda anche lui: incipit di un "rosario" indimenticabile; figurina dell'infanzia; (piccola) icona di un calcio che ha contribuito a farci credere in una vita piena e degna e donato il sogno di un'esistenza artistica dove si aprivano porte e possibilità d’ogni genere.
Fu il Mondiale delle nuvole vaganti in un cielo profondo, il sole a liquefare i pensieri e il respiro mozzato da un'altitudine antica. Fra i colori e le figure monumentali di Diego María de la Conceptión Juan Nepomuceno Estanislao de la Rivera y Barrientos Acosta y Rodríguez e le suggestioni e il sentimento dell’arcaica, divina e inspiegabile potenza della Natura di Frida Khalo + Félix, ça va sans dire.
Alberto Figliolia