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Gianfranco Cercone. “Inside out 2” di Kelsey Mann
05 Agosto 2024
 

Un celebre episodio di un film di Woody Allen degli anni Settanta, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere, raccontava un rapporto sessuale visto dall’interno della psiche dell’uomo. La psiche era raffigurata come una navicella spaziale in cui i tecnici ingaggiavano un gioco di squadra il cui obiettivo era il successo: che insomma quel rapporto andasse a buon fine. Allo scopo dovevano contrastare i tentativi di sabotaggio della coscienza morale che insufflava nell’uomo sensi di colpa. La psiche era insomma un ingranaggio costruito alla buona secondo le teorie di Freud. Ma l’ironia dell’episodio prendeva appunto di mira la schematicità di quella semplificazione (il titolo del film era quello di un manuale divulgativo), e allo stesso tempo alcuni tratti dell’immaginario americano: lo spirito incrollabilmente positivo, la fiducia nella squadra, un diffuso maschilismo.

Questo episodio comico da antologia può tornare alla memoria assistendo alla seconda puntata di un cartone animato di grande successo, prodotto dalla Walt Disney e dalla Pixar, intitolato Inside out 2.

Qui è un episodio della vita di una adolescente - la sua partecipazione a un ritiro sportivo di hockey sul ghiaccio - a essere visto dal punto di vista della sua psiche. La psiche è raffigurata come una specie di laboratorio scientifico, provvisto di schermi sul mondo esterno, la cui squadra è composta da alcune emozioni personificate in pupazzi. Il suo obiettivo è il benessere, ma anche il successo sportivo, della ragazza. Anche qui si assiste a un tentativo di sabotaggio: un gruppo di emozioni, guidate dall’Ansia, prende il sopravvento alla guida della psiche su un altro gruppo di emozioni guidate dalla Gioia, fino a quando le due squadre troveranno una formula per riconciliarsi tra loro.

Malgrado varie analogie con l’episodio di Woody Allen, manca in Inside out 2, a mio parere, un suo ingrediente fondamentale: l’ironia.

I pupazzi sono disegnati con l’umorismo un po’ di maniera che è caratteristico dei disegni animati di Disney. Ma l’idea che le emozioni siano componenti nettamente distinte l’una dall’altra, come colori primari; che intervengano nella vita a scaglioni secondo le fasce di età; che la psiche sia simile a un ingranaggio di alta ingegneria, è un’idea che viene proposta con apparente serietà. Si potrà allora obiettare che in tale razionalistica scomposizione della psiche evapora il mistero della personalità individuale, quel mistero di cui cerca di dare conto per esempio la poesia, e che rende ognuno di noi almeno in parte inafferrabile e imprevedibile.

Quel laboratorio della psiche reso ancora più macchinoso dall’introduzione delle regioni dell’inconscio e dei flussi dei ricordi, risulta alla lunga troppo farraginoso e troppo astratto per dare conto della concreta esperienza della vita interiore.

Va detto, tuttavia, che i momenti migliori e anzi riusciti del film sono quelli che raccontano in modo diretto la vita di relazione dell’adolescente protagonista. Si tratta di un personaggio tipico, costruito apposta perché tante giovani spettatrici possano riconoscervisi.

Il senso di inadeguatezza che interviene con la pubertà, l’ansia di farsi accettare dal gruppo, le meschinità e le ipocrisie che tale ansia può indurre, e poi la presa di coscienza dei propri comportamenti sbagliati, il senso di colpa, un umile tentativo di riparazione, sono disegnati con tale limpidezza e credibilità da rendere tanto più vana la complicata macchina psicologistica che ne è il fondamento teorico.

È un film che comunque non manca di originalità e di audacia perché era una difficile impresa cercare di rendere plastico in un cartone animato, un manuale di psicologia.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 20 luglio 2024
»»
QUI la scheda audio)


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