La parola è briciola;
ciò che avanza sulla tavola
dei festini del silenzio.
(S. D. Donati)
Leggo AMÉN, l’ultimo libro di Sergio Daniele Donati, poeta milanese, dal titolo inconsueto che sembra richiamare vari significati e simbolismi che si intersecano con il contenuto delle sue poesie. La parola “Amen”, di origine ebraica e poi adottata in molte tradizioni religiose, significa “così sia” o “in verità”. Questo termine viene spesso usato per concludere preghiere, indicando un’accettazione e una conferma di ciò che è stato detto. Nel contesto delle poesie di Donati, Amen potrebbe rappresentare un punto di arrivo, una conclusione che è allo stesso tempo un nuovo inizio. Una delle poesie, intitolata proprio “Ámén”, parla di una ricostruzione che inizia dal magma, un simbolo di distruzione e rinascita. Il termine evoca immagini di purezza ritrovata, di ritorno a uno stato originario, dove “nulla è più impuro della purezza”. Questo titolo, quindi, non è solo una parola conclusiva, ma anche un invito a riflettere sul ciclo della vita, della morte e della rinascita, temi che pervadono tutta la sua opera. “Amen” è dunque un atto di fede e accettazione delle cose come sono, un’apertura verso ciò che la vita potrebbe essere.
In queste pagine la fragilità dell’io si manifesta come elemento fondamentale, così come la certezza di essere uno strumento mosso da una volontà superiore. La silloge si apre con immagini potenti che evocano il silenzio e l’introspezione. La prima poesia, “Inciampi e balbuzie”, introduce subito una riflessione sul linguaggio: Parlai d’inciampo e balbuzie/ molto prima che il cuore/ s’infiammasse dell’inutilità/ della parola./ Per la prima volta -/ conobbi allora/ quanto è spaventevole/ il silenzio che precede ogni creazione. Donati ci invita ad ascoltare, ad esplorare le nostre balbuzie e i nostri silenzi, ricordandoci la bellezza della fragilità umana: è infatti attraverso i nostri fallimenti che ci trasformiamo e ci rinnoviamo, come è possibile leggere ancora nella poesia “L’ora del ritiro”, con la bellissima metafora del petalo che si rigenera e simboleggia la continua evoluzione personale e spirituale dell’autore.
Più volte Donati ritorna sul tema del linguaggio e del silenzio; in “Resina” ad esempio scrive: parole che non mi appartengono/ e che hanno scelto la mia ugola/ sgraziata per essere cantate. Qui evidenzia nuovamente la propria vulnerabilità, ma anche la consapevolezza che le parole non nascono da sé ma sono eco di una parola “superiore” letta, ascoltata, meditata, pregata, assimilata. Infine, la poesia che dà il titolo alla raccolta, “Ámén”, chiude il cerchio con una riflessione sulla sacralità del silenzio e del ritorno alle origini. Qui la voce poetica si ritira in uno spazio di gestazione, dove tutto è possibile e nulla è impuro, offrendo al lettore un momento di pace e contemplazione.
Da questi brevi passaggi è possibile scorgere come Donati con immagini vivide e toccanti indaga la condizione umana in relazione alla trascendenza, esplorando temi come il passaggio, la soglia, l’ancestralità, i transiti, tutti elementi che trasformano un’esperienza soggettiva in un momento di profonda connessione universale.
Maria Pina Ciancio
PUGNALE DI LUCE
È l’eterna lotta
a dare vita al bello,
il pugnale di luce
che lacera
l’abbraccio della penombra,
l’ascia che taglia
la comodità del sogno
e alza le palpebre
e fa recitare
formule di ritorno nel corpo
a un’anima randagia.
Là, risiede ancor muto
il canto che verrà cantato
nel giorno dell’evanescenza.
Sergio Daniele Donati, AMÉN
Prefazione di Anna Rita Merico
Postfazione di Gabriella Fantato
Libreria Editrice, 2024, pp. 118, € 15,00