Da Cronache rosse dietro l’angolo ‒ prima parte:
ti chiamavo: “Mare!”
e allora con affettuoso azzurro
inumidivi il mio nome: “Tatò!”.
(Mare! ‒ pag. 14)
Quando tornerò da mamacita
non busserò alla sua lunga veste
e non le chiederò altro pane
dopo che con l’ultima mollica
ho giocato a mangiare una grande nave.
(Rio Bravo ‒ pag. 15)
Ti parlerò di Noemi
e dell’acre carestia
che rese inerti i forni
della Casa del Pane:
nei campi era mancata la festa
ruminata da un sole scortese.
(La moabita ‒ pag. 17)
Sarà la Grande Ascia
la nostra coscienza che cadrà
per spezzare il tavolo
dietro cui è il mondo volpesco
a vendere serpi.
Lasceremo lo spirito ipocrita
accompagnare nella notte
semi d’ombre
e seguiremo l’Uomo
che invita alla Dignità.
(L’ascia ‒ pag. 20)
“Nel segno di Roma” (1970)
Ossee grida di madre
presso il bimbo e il canto;
lei lo solleva
nel cerchio delle braccia
ma il bimbo che è già del cielo
la guarda dai suoi tre anni,
e dice: “Lo dirò a Dio”.
(Lo dirò a Dio ‒ pag. 22)
L’urlo della Storia che s’alza da pozze di sangue
si spingerà come un turbine nella sala del banchetto
e dinanzi al lettuccio del suo Redentore
contando morti di tutte le trincee
laverà con lacrime quei Piedi che ferendosi
attraverso sterpi portavano Vita
e li asciugherà con capelli di Giustizia e Dignità
(L’urlo della Storia ‒ pag. 32)
“Nel segno di Roma” (1970)
Smetta di far sfoggio di sé
il cactus nel deserto.
Smettano queste bocche-astronavi
di masticare l’uomo
con denti-proiettili. Invece
c’impazzi la risata chiara di Pulcinella.
(Salvare il pane ‒ pag. 45)
Da Silenzi nel buio ‒ seconda parte:
Chi adesso raccoglierà la poesia
di Antonio dispersa per ogni dove?
Non ne ero padrone,
l’avevo ricevuta
dalla cima verde d’un abete secco
e avevo consentito, senza sapere
quanto fosse difficile,
ad affidarla viva, intatta,
a chi affollava
le strade malinconiche del quartiere
perché potesse fare
provvista di faville
prendendo da infuocate sillabe.
(Nel vento ‒ pag. 55)
Viene su argentee piste
la sera a farsi pianto
e il pianto grido
e mi trovo nel coro
stringendo una smorfia drammatica
della terra nella sinistra
ma consegno con la destra
una mia lacrima
passaporto immortale.
(La sera ‒ pag. 56)
“Nel segno di Roma” (1970)
Se potessi, attaccherei code
alle lucertole: pace a voi, direi,
e pace a questo mio sogno
subito mozzato con un bastone,
dal tuo bastone intagliato
nel fetore d’una sostanza corrotta.
Poi, ricominciai con le scarpacce
per tornare all’ira delle erbe:
rividi il loro sogno di spuntare,
rividi ch’era negato dal catrame.
(Lucertole ‒ pag. 59)
Attendo un sogno
che tarda a venire;
forse ha perso la via
e ora lotta
con le ronde notturne
o forse è frastornato
dalla gazzarra delle foglie
che gli navigano intorno.
Eppure, lo aspetto.
Di certo verrà
in fondo alla notte
tra spintoni d’alba
e saprò del dolore
con cui ha percorso
i colori del pensiero
cosi vicini alle porte dell’anima
cosi vicini a un grido di giustizia.
(Attendo un sogno ‒ pag. 57)