Un segnale poco rassicurante sul reale intento del nostro Paese a procedere di pari passo con gli altri sulla strada dell’integrazione europea è venuto dal voto che ha dato il via libera definitivo al nuovo Patto di stabilità e crescita, il pacchetto di norme che regola le politiche di bilancio dei 27 stati membri dell’Ue.
La riforma è stata approvata a larga maggioranza dal Parlamento europeo dopo un lungo e tortuoso iter che ha visto contrapposti in particolare i fautori del rigore, a partire dai cosiddetti frugali come la Germania, e coloro che chiedevano meno vincoli per promuovere gli investimenti, un fronte sul quale erano schierati soprattutto i Paesi del Sud, come l’Italia. Il compromesso raggiunto, siglato dallo stesso governo di Giorgia Meloni, non è stato però sostenuto dai partiti che a Roma sono in maggioranza così come dal Pd, che si sono astenuti, mentre il M5s ha votato contro. Secondo la Lega la riforma è un’occasione mancata da parte dell’Ue, che continua a privilegiare un modello economico in cui prevale l’aspetto dell’austerità. I salviniani si appellano perciò a un’altra maggioranza in Europa per poter apportare nei prossimi anni le necessarie modifiche a favore di una maggiore flessibilità e di più investimenti pubblici. Quella di cui parlano i leghisti è ovviamente una maggioranza composta dai soli partiti di centrodestra, però in realtà sono state proprio le forze conservatrici europee a spingere per mantenere in piedi i paletti del rigore, a partire dai popolari del Ppe, di cui fa parte Forza Italia, fino alla stragrande maggioranza dei conservatori dell’Ecr, il partito europeo guidato da Giorgia Meloni. Se i sovranisti (il gruppo della Lega) hanno votato contro, non tutti lo hanno fatto per le stesse ragioni, anzi i nazionalisti austriaci e tedeschi avrebbero voluto una riforma con ancor maggiore austerity. L’astensione di FdI, Lega e FI è anche una sconfessione del lavoro fatto in Europa dal loro stesso governo.
“Ci sono “alcune cose positive e altre meno, comunque l’Italia ha ottenuto un accordo sostenibile per lei”, aveva detto il ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti commentando il via libera dei 27 governi Ue all’accordo sulle nuove regole di bilancio. Le stesse contraddizioni valgono per l’opposizione italiana: a parte i gruppi della sinistra e dei verdi, compatti salvo rare eccezioni nel dire no insieme al Movimento 5 stelle, il Pd di fatto ha voltato le spalle al grosso del suo gruppo, quello dei socialisti e democratici, che ha dato il suo assenso alla riforma, e anche al commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, ex premier e leader del partito, che è stato uno dei protagonisti principali della riforma. E persino i liberali italiani si sono spaccati tra favorevoli, astenuti e contrari. In definitiva solo 4 eurodeputati italiani (due popolari e altrettanti liberali) hanno sostenuto a titolo personale la riforma del Patto nel suo punto più delicato, il ‘braccio preventivo’, che impone i famosi vincoli sul deficit e il debito pubblico.
L’impressione è che tutti, da destra a sinistra, abbiano cercato di sfuggire a possibili polemiche e evitato di venire additati come i responsabili dei probabili futuri tagli al bilancio. Come spiegato da diversi esperti, la stagione delle vacche grasse volge al termine: la sospensione delle regole di bilancio Ue dopo il Covid e nel pieno della crisi energetica ha permesso ai governi che si sono succeduti di allargare i cordoni delle casse pubbliche, ma adesso i nodi al pettine andranno sciolti e comporteranno tagli ingenti alle spese. L’Università Cattolica ha stimato che, a prescindere dalla riforma Ue, il governo potrebbe essere costretto a risparmi di 30 miliardi già il prossimo anno, a meno di non voler far scoppiare il debito pubblico e tornare alla drammatica estate del 2011, quando il nostro Paese fu a un passo dal default. Ma è ora che tutti, Italia compresa, si assumano le proprie responsabilità.
Guido Monti