Come madre di un giovane omosessuale, appartengo all’associazione di volontariato AGEDO (Associazione genitori di omosessuali), che è tra i sostenitori di questo convegno insieme alle associazioni 31 ottobre, Genitori Democratici, Semaforo blu, Rete Scuole e Centro Culturale Protestante.
Noi genitori di omosessuali sappiamo bene come la scuola italiana non pensi ai nostri figli come a dei soggetti da educare secondo la propria identità, e non si preoccupi mai dei nostri problemi che, forse, considera fatti privati.
In realtà i problemi degli adolescenti omosessuali e delle loro famiglie hanno una chiara dimensione pubblica, non solo perché i nostri figli non sono un’esigua minoranza e costituiscono il 5-10% della popolazione scolastica, bensì perché un clima scolastico disagevole e disagiato per un adolescente omosessuale si ripercuote sulla famiglia e su tutte quelle persone che lo frequentano: i compagni e le compagne, i docenti, gli educatori, il gruppo dei pari; tutti quelli che si trovano in relazione con una persona che non si sente prevista in questo mondo, che non trova con chi interagire alla pari, con chi confidarsi senza temere lo scherno e il giudizio morale.
Questi nostri figli, adolescenti spesso in crisi per la loro difficile situazione di accettazione personale, trovano nella scuola, tra compagni e insegnanti, nuove difficoltà e sofferenze causate dallo stigma sociale, da azioni di bullismo poco conosciute e non contrastate; vivono nel silenzio più assoluto: c’è una negazione da parte del mondo scolastico, dell’esistenza stessa del problema o, quanto meno, dell’idea che un problema così scottante sia di sua competenza.
Credo che quanto ora vi leggerò, scritto da uno studente sedicenne veronese in forma di lettera – un po’ sgrammaticata – possa aiutarvi ad intuire, almeno parzialmente, lo stato d’animo di un giovane omosessuale, la sua angoscia, la paura di non essere capito in famiglia e nella società. Venne recapitata , su un foglietto, alla sede del movimento gay di Verona.
«Verona 3 di giugno 1999
L’altro giorno mentre stavo con la mia compagnia, un ragazzo ha detto che, mentre stava ascoltando la radio dei comunisti ha sentito una trasmissione di froci, i quali parlavano di un ragazzo che si è ucciso perché lo avevano scoperto a scuola, che stava con un altro. Quando ho sentito quello che diceva questo ragazzo, mi è venuto un colpo al cuore, perché questo ragazzo che è morto si chiamava Luca, una volta ci hanno trovati insieme nella doccia della palestra.
Io però ho dovuto dire che era stato lui, sennò i compagni di scuola andavano a dirlo ai proff e mi sputtanavano anche con la mia famiglia così mio padre mi portava dal psicologo e mi metteva in collegio come ha fatto il papà di Luca prima che si ammazzasse.
Volevo dirvi che anche a me come a Luca piacciono i ragazzi invece che le ragazze, e quella volta in palestra ero molto contento […]. Ci siamo capiti subito perché lui guardava sempre me e io lui. Poi una volta durante la ricreazione io sono andato nei bagni della palestra dove non ci va mai nessuno fuori dell’orario di lezione e l’ho aspettato là fino alla fine della ricreazione, poi lui è arrivato.
Quando me lo sono visto davanti mi batteva il cuore per l’emozione e mi tremavano le gambe […]. ci siamo rivisti ancora altre volte e una anche a casa mia, quando i miei sono andati via. Fino a quando non ci hanno scoperto in palestra! Dopo quella volta non l’ho più visto perché suo padre lo ha ritirato da scuola e siccome lui era di un paese della bassa, non mi ricordo bene quale non sono mai andato a trovarlo.
Quando ho saputo che si è ucciso ho pensato di farlo anche io ma dopo non ci sono riuscito […] volevo dirlo anche al mio parroco, ma non l’ho fatto perché lui una volta in chiesa ha parlato molto male della gente come noi e tutti gli battevano le mani […]. Io stavo ancora peggio […]. Ho preferito dirle a voi queste cose perché dicono in giro che i ragazzi del vostro gruppo difendono la gente come me e voi.
Io so chi siete voi […]. una volta sono rimasto a guardarvi […].
Prima o poi spero di venirvi a trovare che ho visto il vostro indirizzo […]. Se usate questa lettera per favore non parlate del nome della mia scuola e del mio che però voglio dirvi.
(seguono nome e cognome)
P.S. Spero che Luca dall’alto dei cieli mi perdoni e sappia che lo penso sempre e che gli voglio bene e se sapessi dov’è la sua tomba andrei a mettergli i fiori».
Non vorrei aggiungere molto dopo questa testimonianza.
Avrete notato come un ragazzo di sedici anni, abbandonato in piena adolescenza a se stesso, senza reti sociali, senza strumenti di accettazione, senza modelli positivi e pubblici, viva la sua identità nel silenzio, nella paura e si viva nella negazione dell’affettività e del diritto a pronunciarla, del tutto privo della spensieratezza che vorremmo fosse prerogativa di ogni adolescente.
Noi riteniamo che la scuola, come luogo di sapere e di conoscenza, dovrebbe approfondire i suoi saperi sui problemi dei giovani, e quindi anche di questi giovani; come luogo di educazione, dovrebbe schierarsi dalla parte di chi ancora non ha diritti. Ma si trovano mille scuse: l’omosessualità è una questione personale; oppure è una malattia, oppure è una libera scelta. Perché dunque importunare la scuola?
È certo, però, che l’omosessualità non è una patologia e non è neppure una scelta (sarebbe davvero una scelta molto scomoda): è un dato di fatto che non si può negare col silenzio.
Riteniamo che la condizione personale degli studenti, di ogni studente, dovrebbe essere la base di partenza per agire in qualità di educatori… eppure sappiamo che le scuole non affrontano la fatica di offrire sostegno educativo a questi adolescenti …si ha paura che gli altri siano sconvolti o corrotti da questo esempio.
Immaginate cosa significhi trascorrere l’adolescenza sentendo utilizzare la propria identità come il peggior insulto possibile tra i banchi di scuola, nei corridoi, nei bagni. E osservare che i tuoi insegnanti, i bidelli non reagiscono, le considerano “ragazzate”.
Se queste stesse azioni ed espressioni vengono rivolte, però, a minoranze etniche o appartenenti a confessioni religiose minoritarie, allora vengono prese seriamente in considerazione.
Certamente i docenti non possono essere riempiti di nuove competenze ad ogni nuova emergenza; si tratta, qui, di una scelta di sensibilità che comporta, quanto meno, la censura e l’utilizzo di testi scolastici che promuovano la discussione e una seria ricerca su questi argomenti. Ad esempio, perché in molti testi di scuola non si dice che molti omosessuali sono stati sterminati nei campi di concentramento? Perché si tace sempre sulla sessualità di persone geniali come Michelangelo, Tasso, Leopardi, Saffo?
Perché i nostri figli non possono trovare dei modelli, in queste persone, che permettano loro di crescere sentendosi persone previste e positive in questo universo?
E ancora, come è possibile che i nostri ragazzi cerchino il suicidio, a volte senza riuscirci (per fortuna) e che vi sia un alto tasso di dispersione scolastica a carico di questi adolescenti e che quasi nessun docente, nessun preside si interessi alla questione?
Noi genitori, purtroppo, veniamo molto spesso a conoscenza della loro omosessualità dopo il periodo della scuola: ormai hanno trascorso l’intera adolescenza nel silenzio e nel disprezzo.
Ma se noi riconosciamo la nostra mancanza, per non essere riusciti a capire prima, perché le scuole restano ferme e insensibili ad ogni nostra sollecitazione?
Ogni input esterno ed interno resta impermeabile alla questione che poniamo noi oggi: se si parla di educazione sessuale, si cita solo la relazione tra uomo e donna; se si parla di multiculturalismo, si trattano solo le culture etniche; se si parla di diritti delle minoranze, si parla solo delle minoranze straniere e religiose; se si tratta di prevenzione al suicidio, si parla solo di anoressia… Sembra si voglia escludere la questione delle famiglie con figli omosessuali da ogni programma. Perché?
Vorrei ora rendervi partecipi del nostro sgomento con una semplice cifra: secondo l’Istat in Italia gli adolescenti tra i 14 e i 19 anni sono 3.500.00 circa. Ebbene il 5-10% sono omosessuali, cioè fino a trecentocinquantamila.
Immaginate ora tutti questi ragazzi e queste ragazze condannati a non esistere. E diteci cosa provate.
Se la scuola davvero vuole essere laica e plurale, se vuole – cioè – insegnare a “parlare” a chi non ha mai avuto il diritto di farlo, dovrebbe iniziare ad ascoltare i suoi ragazzi, oppure chi cerca di dare loro una voce per farli uscire dal silenzio.
Marialuisa Muscarà Bellavia
Agedo Onlus – Genitori di Omosessuali
(da newsletter Ecumenici Leonhard Ragaz, 24 febbraio 2007)