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Gianfranco Cercone. “Past lives” di Celine Song
28 Febbraio 2024
 

L’immagine iniziale del film Past lives (“Vite passate”) di Celine Song, mostra tre personaggi, un uomo e una donna coreani, e un uomo americano, seduti in un bar. I due coreani si parlano e si osservano con una tale intensità da far supporre a un osservatore esterno che esista fra loro un legame sentimentale profondo, mentre l’americano sembra osservarli come in disparte, escluso da quel legame.

Scopriremo che in effetti la donna coreana è sposata all’americano; e che l’uomo coreano è un suo amore, platonico, che risale all’infanzia e che lei non è mai riuscita davvero a dimenticare.

Aver posto in apertura del film proprio questa immagine, che non coincide con l’inizio della storia, sembra voler rivelare subito le relazioni intime tra i personaggi principali e dichiarare il tema del film che, con un’espressione convenzionale, si potrebbe definire “l’eterno triangolo” - la moglie, il marito e l’amante; un tema che nel film di Celine Song è declinato in modo originale.

Se quel tema, tanto ricorrente nel teatro prima ancora che nel cinema, sembra a volte mettere in guardia, magari senza volerlo, sull’insufficienza del matrimonio ad appagare le esigenze sentimentali e sessuali dei coniugi; discute, almeno implicitamente, il valore della monogamia, il film ne dà invece una versione che vorrebbe essere pacificata, senza alcuna polemica nei confronti dell’istituto del matrimonio, anzi perfino conservatrice.

Tutto il racconto, a partire dalla prima immagine, dimostra che fra l’uomo e la donna coreani sussiste un’attrazione che non si è mai spenta. Si separarono da bambini non per loro scelta, ma perchè i genitori di lei decisero di trasferirsi in Canada; e lei, prima di sposarsi con l’americano aveva offerto al suo connazionale un’occasione per incontrarla di nuovo, che lui però, distolto dal lavoro o da un amore provvisorio, non aveva colto; il legame con il marito è sereno, affettuoso, sostenuto dalla comprensione reciproca - entrambi sono scrittori - ma non è forse animato dalla passione. Ciononostante la conclusione, la morale, di cui il racconto vorrebbe convincere lo spettatore, è che è giusto che la moglie resti con il marito e abbandoni l’amante.

Il film è intessuto di un’ideologia, di specie religiosa, non cattolica, semmai buddhista, che induce all’accettazione del proprio destino. Gli eventi che hanno separato i due innamorati non sarebbero allora casuali, o il frutto di errori individuali, ma comporrebbero la trama del destino. L’affinità tra i due amanti sarebbe il segno che in vite passate si erano già incontrati e forse amati: in vite passate appunto, e dunque non in questa. La loro separazione sarebbe ora una prova di suprema saggezza.

Tale dimostrazione non convincerà forse lo spettatore, almeno occidentale, che potrà riconoscervi una rassegnazione mortuaria.

Dovrà comunque ammettere che il racconto della storia d’amore è condotto sempre con delicatezza, non deborda mai nel sentimentalismo; che l’idealismo religioso che sembra stranamente accomunare i due personaggi maschili conferisce loro una particolare grazia; che tutto il racconto è reso vivo da un pathos autentico, in cui vibra quell’angoscia che si accompagna sempre ai desideri repressi e irrealizzati.

Il film, già presentato al Sundance Film Festival, è candidato a due premi Oscar fra cui quello per il Miglior Film.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 24 febbraio 2024
»»
QUI la scheda audio)


 
 
 
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