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Giuseppina Rando. La pietas di Antigone
06 Febbraio 2024
 

La pietà per ogni essere vivente

è la prima valida garanzia

per il buon comportamento dell'uomo.

Arthur Schopenhauer

 

 

In uno dei suoi Racconti romani, intitolato L’incosciente, Alberto Moravia scriveva: Non c’è coraggio e non c’è paura. Ci sono soltanto coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio. Non così per Dacia Maraini, che contesta le affermazioni acritiche del suo amico richiamando la figura di Antigone, donna coraggiosa e fiera, originale creatura di Sofocle, grande poeta tragico greco. È l’Antigone evocata in I giorni di Antigone1 ove la scrittrice ricorda fatti che, tristemente, continuano a balzare sulla cronaca dell’Italia e del mondo.

Torna così attuale Antigone che, con la sua tragica fine, ripropone al lettore moderno una serie di richiami e di riflessioni morali, religiosi, politici.

Passano i millenni… ma nulla di nuovo sembra ci sia sotto il sole: ... sei sempre quello della pietra e della fionda / uomo del mio tempo… (Salvatore Quasimodo).

Il dramma sofocleo è da leggersi pertanto, anche ai nostri giorni, come scontro fra due opposte volontà e due diverse concezioni della vita e del mondo.

Contro le leggi arroganti di un Signore della guerra, Antigone reagì senza violenza con il meraviglioso gesto di ricomporre e seppellire il corpo di un morto. Non c’è niente di ideologico nella pietà di Antigone. Eppure il Signore della guerra lo interpreta come qualcosa di tanto profondamente eversivo da mettere in dubbio la legittimità del sovrano. A volte è così: le azioni più semplici e umili minano le certezze su cui si basa l’autorità, la consuetudine di una legge cittadina.

Sempre pronta a difendere i diritti del più debole, nella libertà di chi accetta le idee contrarie, Dacia Maraini continua a raccontare in mille modi ciò che vede intorno a sé. Sfilano, uno dopo l’altro in questo libro, i soprusi internazionali come lo sfruttamento dei bambini a Manila, il traffico delle schiave nel mercato internazionale della prostituzione, le prevaricazioni della fabbrica d’armi Lockheed a danno dei pacifisti americani, le scelte di Bush dopo l’11 settembre, la guerra in Iraq, il conflitto tra Israele e la Palestina, le stragi di Bosnia, la fame d’Africa, il dibattito sul nucleare, sulla pena di morte, sulla tortura; non mancano le questioni tutte italiane come quelle della sanità, della scuola, la scarsa tutela della natura, i problemi dell’immigrazione.

La scrittrice si sofferma più volte sulla condizione delle donne e sui loro diritti troppo spesso negati; ci parla in particolare di Safiya, la giovane donna nigeriana che rischiò la pena di morte per aver subito e denunciato una violenza sessuale, e di Amina, che fu lapidata dai suoi stessi concittadini; ci fa sentire la voce accorata di una giovane africana che racconta: Le donne spesso sono costrette ad assistere alla morte violenta dei mariti, dei figli, e vengono stuprate di fronte ai parenti, e alla gente del villaggio… eppure non chiedono vendetta. Vogliamo la pace, contro qualsiasi logica di ritorsione… Siamo in piena anarchia, dove ognuno è contro tutti e vince sempre il più forte … tuttavia sono proprio le donne che permettono la sopravvivenza dei villaggi … sono loro che garantiscono l’approvvigionamento della legna per cucinare … sono loro che trasportano l’acqua dai fiumi ai villaggi, loro che coltivano il miglio, il mais, le banane…

Un diario giornalistico che dello stile giornalistico ha poco perché ciò che la Maraini riferisce, narra oppure osserva, è dettato dalla pietas umana di Antigone, donna d’eccellente sensibilità.

Purtroppo le parole – si legge nell’Introduzione – non hanno la perfezione e la forza assoluta di un gesto come quello di Antigone. Le parole sono sempre lì a cercare compromessi con la tradizione, con la prassi linguistica, con le idee. Le parole non sono mai totali e definitive come le azioni concrete e fisiche. Le parole appartengono a quella relatività carnosa e fragile che esprime la vita del pensiero. Io conosco solo le parole per dissentire e affermare ciò che mi ferisce e mi angustia nella vita del nostro Paese.

Di fronte alla profanazione delle tombe la scrittrice – come chi ha rispetto per i morti, per tutti i morti – alza la sua voce ed evoca la giovane donna greca che, pur sapendo di rischiare la condanna a morte, si arma di badile e vanga per dare sepoltura al fratello morto, lasciato insepolto sulla via. Agli stupidi profanatori di tombe, che certamente credono di onorare una qualche perversa ideologia mettendosi contro le leggi della decenza e degli affetti, la scrittrice dice: State attenti perché finirete come Creonte, l’uomo che credeva di potere imporre l’animosità con un editto, ponendosi arrogantemente al di sopra dei piccoli e acri sentimenti della gente… state attenti perché l’odio ideologico vi si rivolterà contro… e finirete per rimanere soli e ciechi nella vostra ottusa volontà distruttiva.

Altra incisiva evocazione dell’eroina della pietà avviene di fronte alle immagini che a Natale di qualche anno fa oscurarono per settimane tutte le altre, in TV e sui giornali: quelle orribili e spietate dei cadaveri scomposti, sfigurati e gonfi d’acqua di cui lo tsunami aveva disseminato spiagge, litorali, villaggi e campagne dell’Indonesia: Se Antigone fosse viva sarebbe lì fra quei corpi a coprirli uno a uno, per poi seppellirli fraternamente. Ma la spregiudicatezza mediatica tende a spogliarci dello spirito caritatevole… i morti non possono coprirsi, perciò dobbiamo farlo noi e sulle loro nudità non dovremmo soffermarci, anche se con lo sguardo inorridito. La pietà vuole che la palpebra cali pudica di fronte alla testimonianze dell’uomo ridotto ad oggetto in balia di una natura scatenata.

Con una scrittura chiara, semplice, essenziale, asciutta, ma sempre venata da sentimenti di rispetto, la Maraini – fiduciosa in un cambiamento possibile – s’impegna, con questa raccolta, nel compito supremamente umano di fare memoria e di riflettere anche sui temi ecologici e sul dolore degli animali legato all’indifferenza degli uomini.

L’evocazione di Antigone, quindi, al di là del mito che da due millenni attraversa la storia della civiltà occidentale, vuole essere non soltanto il richiamo al diritto privato – che sotto certi aspetti potrebbe essere superiore al diritto pubblico – ma anche l’affermazione di un altro diritto, quello di vivere secondo libertà di coscienza e di sentirsi, in quanto esseri umani, esseri naturali e viventi, parte integrante di un meraviglioso e pervasivo senso vitale.

Sono questi, purtroppo, diritti umani ampiamente violati in tante parti del mondo.

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International recentemente ha dichiarato:

La Dichiarazione universale dei diritti umani venne adottata 75 anni fa, sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, per riconoscere universalmente diritti e libertà fondamentali a tutte le persone. Nel caos delle dinamiche dei poteri globali, i diritti umani non possono finire persi nella mischia. Devono guidare il mondo in una navigazione sempre più volatile e in un ambiente pericoloso. Non dobbiamo attendere che il mondo bruci un’altra volta.

Una voce, come tante altre, inascoltata o soffocata dall’indifferenza.

 

Giuseppina Rando

 

 

1 Dacia Maraini, I giorni di Antigone. Quaderno di cinque anni, Rizzoli, Milano, 2006.


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