Conosco Giuseppe Rinaldi in occasione del primo Congresso provinciale dell’Anpi a cui prendo parte, nel 2011. So che, nel tempo, è stato eletto nel comitato direttivo dell’associazione, poi vice presidente ed infine, dopo la scomparsa di Angelo Ponti nel 1988, presidente. Dopo tanti anni, è intenzionato a lasciare l’incarico. Comprendo il suo stato d’animo. Giuseppe vuole rinnovare l’Anpi accogliendo non partigiani, in base ad una modifica approvata dallo Statuto del Congresso nazionale. Chiede un ricambio ma nessuno dei non partigiani si sente all’altezza. Lo convinciamo a sacrificarsi ancora per altri cinque anni. Ho subito l’impressione di aver a che fare con una persona seria. In seguito, conoscendolo meglio, comprendo quanto sia sobrio ed essenziale nel rappresentare l’associazione in provincia, e fuori. È sempre presente alle tante celebrazioni che si tengono in valle. Parla in modo semplice e chiaro, non indulge alla retorica. Sa di rappresentare un sistema di valori da trasmettere. Alle riunioni del direttivo provinciale si presenta con le sue idee, che non cambia tanto facilmente, anche perché prima le ha ben meditate. È anche, soprattutto, una persona onesta, leale e schiva.
Noi tutti, all’Anpi, stimiamo ed ammiriamo il caro Ivan, suo nome di battaglia del periodo trascorso da partigiano combattendo contro i fascisti ed i miliciens francesi approdati nell’alta valle. La sua vita in parte la conosco, ma l’approfondisco con la lettura del bellissimo libro Ribelli in Valgrosina, da lui scritto, ricco di pagine di storia vissute, presentato da Antonio Pruneri, allora sindaco di Grosio e dalla giovane Pamela Braghetti. Giuseppe li ringrazia e rivolge inoltre un particolare ringraziamento all’amico Severino Bongiolatti per il suo fattivo contributo alla pubblicazione. Nell’introduzione al libro, scrive: “Siamo saliti in montagna volontariamente per combattere contro l’invasore tedesco, non per fuggire”. Ma procediamo con ordine.
Dalla caserma degli alpini di Tirano dove si trova rispondendo alla chiamata della sua classe 1923, viene spedito a Merano, da dove, assieme ai suoi compagni, dovrebbe raggiungere il fronte russo. Ma l’ordine di partenza tarda, non arriva. Arrivano invece, stremati, i reduci della tragica ritirata di Russia, Tra i reduci, Teresio Olivelli. I soldati valtellinesi ascoltano i particolari, scioccanti, della ritirata del Don. Ormai nutrono sentimenti di rancore verso chi li ha inviati a combattere nella steppa in condizioni di assoluta impreparazione. Il 25 luglio ‘43 Mussolini viene defenestrato, l’8 settembre Badoglio firma l’armistizio con gli Alleati, il 13 ottobre l’Italia dichiara guerra alla Germania. Giuseppe, con molti altri, decide di prendere la via della montagna e di combattere da partigiano. Il 2 novembre ’44 entra a far parte del 3° battaglione della Divisione Alpina “Giustizia e Libertà”. Organizza subito utili collegamenti telefonici e di telescriventi. Fa parte del gruppo d’assalto della “Tredici”. Partecipa poi alla dura battaglia di Grosio del 18 aprile ‘45 nel corso della quale i partigiani, all’altezza dell’AEM, riescono a centrare in pieno un camion carico di esplosivo dei miliciens di Darnard, che subiscono la perdita di 10-12 uomini e, per lo più, ripiegano verso Tirano. Altri tentano di raggiungere il centro di Grosio ma vengono bloccati dalla Brigata “Sondrio” comandata da Bruno Scilironi. Purtroppo nello scontro all’AEM perdono la vita due comandanti partigiani, Emilio Pini e Guglielmo Valmadre. Pochi giorni dopo, il 28 aprile, prende parte all’ultima battaglia, quella di Tirano. Lo scontro dura tutto il giorno. I tedeschi fuggono in Svizzera. I fascisti ed i miliciens, dopo lunghe sparatorie, si arrendono e si consegnano ai patrioti. Tra questi perdono la vita Ermanno Balgera e Nello Braccaioli.
Sergio Caivano