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Giorgio Bussa. Leonardo: dall’infanzia alla Gioconda
04 Febbraio 2024
 

Il primo decennio del ‘500 è un periodo magico della pittura italiana; in esso viene dipinto, con la consueta lentezza di Leonardo, il ritratto di monna Lisa, conosciuta dal nome del marito come la Gioconda. Quando si presentò nello studio, lei aveva 23 anni, essendo nata nel 1479; il pittore ne aveva 50, per quei tempi un inizio di vecchiaia. Col tempo i suoi interessi si erano ampliati, spostandosi verso le investigazioni; ma la pittura rimaneva essenziale, anche perché le vie dell’arte figurativa gli consentivano di ristabilire un legame misterioso col passato. Un filo parte dalla sua infanzia e percorre la sua vita di artista, ispirando le opere più grandi, anche e soprattutto la Gioconda.

Si sa che Leonardo era un figlio naturale, allevato dalla madre nel primo periodo dell’infanzia, e poi affidato al padre, notaio di Vinci, quando la donna, una contadina, si sposò con uno del luogo, da cui ebbe altri figli. Un’esperienza molto importante era vissuta dal bambino fuori di casa, quando vedeva che sua madre allevava al suo posto altri bambini, da lui visti come estranei. Queste impressioni infantili furono le prime a comparire con La vergine delle rocce del primo periodo milanese, che ebbe una seconda versione dieci anni dopo, a conferma che esse persistevano nella sua mente. Da uno sfondo di rocce, che alludono alla forza e all’indistruttibilità della scena in primo piano, filtrano luci incerte simili a ricordi confusi. Il quadro rappresenta una scena sacra se si guarda ai personaggi presenti; in realtà il sacro, evocato per la sua suggestione, diventa una metafora dell’importanza, che ha l’infanzia nella vita di Leonardo. La Madonna tiene la mano sinistra a una certa distanza sopra la testa del figlio, come se abbia capito che non deve avvicinarsi troppo, mentre appoggia la destra sulle spalle di Giovanni, che copre parzialmente col lembo del mantello. Anche l’angelo, interpretando il suo atteggiamento, indica l’altro bambino, il futuro Battista, con il dito della mano tesa, concentrando l’interesse su di lui; il significato di questo gesto è così scoperto che non viene ripetuto nella seconda versione dell’opera. Tra i due bambini Gesù si trova quasi in disparte, seduto per terra, visibilmente più in basso, guardando l’altro, che per lui è un estraneo, come incredulo. Tra tutti solo Giovanni dimostra di riconoscere l’importanza e la superiorità di Gesù, e lo prega con le mani giunte; Gesù ricambia benedicendolo. Forse certi ricordi dei fratellastri, che vivevano in una casa e in un ambiente visibilmente umili, ritornano in questi particolari.

Col finire del secolo finì anche il periodo milanese di Leonardo; il lungo passato, che si trovava alle spalle, e il ritorno nella città della sua giovinezza favorivano i ricordi. La partenza da Milano era avvenuta in circostanze drammatiche; la città era caduta in mano ai francesi, e il Moro aveva perduto il potere. Anche Firenze, dove era arrivato col nuovo secolo, non era più la stessa dopo la morte del Magnifico, e nell’Italia intera si era rotto l’equilibrio politico dei decenni precedenti, durante i quali era fiorita l’arte del Rinascimento. In questo clima c’erano le condizioni per ritrovare con la sua arte un altro più lontano periodo delle sue esperienze infantili, quando la madre lo portò nella casa paterna, ma non aveva ancora altri figli. Nella nuova casa il bambino trovò la nonna e una matrigna, essendosi il notaio sposato con una borghese venuta da Firenze. Le impressioni rimaste nella mente diventano confuse e inestricabili; e il frutto di questo secondo ritorno all’infanzia fu un cartone dipinto con l’arrivo del nuovo secolo. Nel cartone compaiono sant’Anna e la Madonna, madre e figlia; con loro c’è Gesù, in braccio alla madre, mentre Giovanni sembra trascurato dalle due donne, tanto che non compare nel quadro successivo, dipinto anch’esso in seconda versione dieci anni dopo.

Il segreto del cartone è nel contrasto tra la posizione delle due donne, che sembrano far parte di uno stesso blocco, e la evidente diversità dei loro atteggiamenti. La Madonna è seduta quasi dritta sulle gambe della madre, intervallate con le sue; il busto è girato a sinistra verso il bambino, di cui si occupa con sorriso radioso, leggermente china verso di lui. La madre ha il viso vicino a quello della figlia; la guarda, assumendo rispetto ad essa un diverso orientamento. Con questi effetti, in basso si crea una certa confusione sull’appartenenza delle gambe all’una o all’altra delle due, e in alto i loro busti sembrano quasi fondersi, coperti in parte da una stessa veste indistinta. Sant’Anna guarda la figlia di profilo, e solleva il dito di una mano come per ricordare o intimare qualcosa; e il suo volto sembra non avere il sorriso di una madre e di una nonna, piuttosto un senso di invidia e di ostilità. In questo cartone si rifletteva l’infanzia di Leonardo, dove le donne erano tre, scomponibili in gruppi di due: la madre e la matrigna in successione, la matrigna e la nonna insieme. Le donne del cartone devono perciò comportarsi come nei sogni, dove un personaggio può rappresentare una persona per certi particolari e un’altra per altri. Nelle immagini strane e contraddittorie, dei busti e delle gambe che si confondono e del sorriso strano e forzato di sant’Anna, il genio di Leonardo ha condensato la sua esperienza di bambino, che si sentiva al centro di problemi e disarmonie, vivendo con tre donne, che lo amavano in modo sensibilmente diverso, per ragioni difficili da capire.

Dopo il cartone, che molti fiorentini, racconta Vasari, andarono a vedere con entusiasmo, il ritratto di Monna Lisa appare come il termine di un ciclo. In fondo alla strada di ritorno al passato, all’inizio dell’infanzia, c’era un periodo felice irripetibile di rapporto esclusivo con la madre. Da esso derivarono il senso della bellezza presente nei suoi quadri, e un ottimismo di fondo che lo accompagnò nella vita, anche nella sua opera di investigatore scientifico e nei suoi scritti, e gli consentì di compensare i drammi interiori, anch’essi legati all’infanzia. In fondo a questa strada c’era un sorriso che apparteneva solo alla madre, e non si poteva ritrovare nel viso di una Madonna immaginata, ma aveva bisogno di un contatto col reale. La fortuna, l’antica dea bendata, venne in aiuto del grande pittore; essa si presentò un giorno nel suo studio sotto le apparenze di monna Lisa, di cui il marito aveva chiesto il ritratto.

Il problema sulla natura di questa donna è una questione essenziale. Non è verosimile che una donna, di cui nessuno avrebbe saputo che visse a Firenze cinquecento anni fa, avesse nella vita di tutti i giorni il sorriso più misterioso dell’intera storia dell’arte. Bisogna supporre che il sorriso della donna affiorasse spontaneamente sul suo volto, soltanto quando era indotto dalle condizioni irripetibili che si creavano nello studio durante il ritratto. Monna Lisa, per la somiglianza fisica o per altri particolari difficili da capire, risvegliava involontariamente in Leonardo, una seduta dopo l’altra, la sensazione nascosta del sorriso della madre. A sua volta questa donna, nello studio con uno degli uomini più grandi e misteriosi di tutti i tempi, non poteva non accorgersi che il suo interesse, di natura anch’essa misteriosa, si stava concentrando su di lei. È questo che rendeva il suo sorriso così unico e ricco di fascino; un sorriso che, nella rappresentazione forse più ancora che nella realtà, diventa ambiguo, e in certi momenti sembra anche scomparire agli occhi di un osservatore, perché rievocava un antico sorriso, che a volte era venuto meno, nella fase dell’abbandono e dell’allevamento di altri figli. Tradurre in forme e colori questi processi interiori dell’uno e dell’altra impegnava le grandissime capacità tecniche dell’artista, che certamente si erano arricchite quando, tornando da Milano, si era fermato a Venezia per prendere contatto con l’arte della scuola veneta, con le sue tecniche della velatura e della resa dei colori.

Monna Lisa è una figura, più che ritratta, incombente con la sua presenza, sul primo piano davanti a noi. È in relazione col panorama brumoso alle sue spalle, e il suo volto dal sorriso enigmatico è inquadrato in una zona di confine, tra profili incerti di monti e un cielo di una indefinibile sfumatura di giallo. È seduta su una sedia, che si vede appena molto in basso, e si trova in una loggia isolata, che in parte bisogna immaginare, perché occupata e nascosta da lei. Il suo spazio è delimitato da un parapetto decorato con colonne, visibile ai lati, simile a un muretto, che la protegge dalla sensazione del vuoto sottostante. Seduta nel suo ambiente, monna Lisa è al centro di un movimento riguardante il panorama, che sembra allontanarsi alla sua destra, e ritornare verso di noi dall’altra parte.

Seguendo il suo profilo, si vede un corso d’acqua a curve, simile a una strada, che si perde fra due rilievi e poi forma un laghetto, tra un picco roccioso e la testa della donna. I capelli sono ricoperti da un velo, ma si allargano, come per ampliare la metà del viso, vista di lato. Dall’altra parte, lungo la linea degli occhi della donna, che stanno sullo stesso piano visivo dell’osservatore, c’è un altro picco roccioso, vagamente simile nella sua cresta a una formazione nuvolosa, e ai suoi piedi si vede un’altra zona con acqua. Il laghetto di destra per la sua altezza è visto in orizzontale, e il confronto con l’altro rende visibile plasticamente il dislivello fra le due parti del panorama ai lati della donna: una asimmetria che si ripete nei due lati del volto, uno dei quali è ridotto oltre i limiti di quanto richieda l’inquadratura, e più sotto nei due omeri, uno dei quali rientra più di quanto sia giustificato dalla posizione della donna. A destra i capelli di monna Lisa scendono compatti in linea verticale, come la parete di roccia lungo la quale cade l’acqua sovrastante. Ai suoi piedi si forma un nuovo ruscello, che supera un ponte e procede anch’esso a curve, riportando il nostro sguardo sul primo piano. Il panorama, che si allontana e si avvicina, avendo al centro la donna incombente in primo piano, è un’espressione della vita affettiva del pittore, a cui la madre, sempre al centro di essa, suscita sensazioni opposte di repulsione e attrazione.

La mano destra della donna è poggiata sulla sinistra e in parte sulla manica color senape, le cui pieghe, dai riflessi cromatici al naturale, sembrano seguire l’inclinazione data loro dalle dita. L’altra manica lascia il polso scoperto, e le sue pieghe diventano fitte, perché il braccio, scendendo dall’omero tirato all’indietro, deve allungarsi visibilmente. Una straordinaria ombreggiatura dà rilievo e plasticità alla mano poggiata, mentre l’altra si chiude sull’estremità del bracciolo della sedia. C’è qui il punto di equilibrio, in cui arriva e da cui parte la torsione del busto, avvertibile soprattutto sotto la scollatura, dove l’abito scuro, coi numerosi ricami sopra le pieghe verticali, disegna una linea incurvata verso l’alto. Monna Lisa, per guardare verso il pittore, gira leggermente il busto e il braccio destro rispetto alla sedia, il collo e il viso rispetto al busto e gli occhi rispetto al viso. Apparirebbe alta anche se fosse in piedi, e non seduta su una sedia piuttosto bassa. Il suo viso, in cui si trova il punto di fuga e passa la linea dell’orizzonte, è fermo rispetto al busto e al movimento del panorama, ma il sorriso lo anima dall’interno, eliminando il senso della staticità. È il sorriso che Leonardo trova nel volto della donna diventata sua modella, ed è il sorriso che cerca di ritrovare dentro di sé, nascosto e dimenticato da cinquant’anni. Il passato era destinato a condizionare troppo la sua vita sentimentale, artistica e di investigatore, ma a cinquant’anni il viso e la presenza di monna Lisa rappresentavano la sicurezza cui aggrapparsi, un bisogno da cui non si sarebbe più liberato. Per questo non consegnò il ritratto, secondo gli accordi, e anni dopo, quando lasciò l’Italia, lo portò e lo tenne con sé in Francia fino alla fine dei suoi giorni.

 

Giorgio Bussa


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