Era novembre, un pomeriggio
di scuola; era l’era dei doppi turni.
Il cortile dell’edificio in mattoni,
un tappeto di foglie gialle e rosso ruggine,
che crocchiavano ai piedi bambini,
e sopra l’armadietto di un’aula
[al primo piano
– chi sa da quale anima sensibile... –
un piccolo televisore portatile;
era l’era delle immagini in bianco e nero,
ma nel mio ricordo il cielo versava
nell’azzurro, come la tua maglia numero 11,
Gigi da Leggiuno, uomo di lago,
uomo d’isola, quel giorno a Napoli
in volo d’angelo a colpire di testa
un cross a mezz’altezza
dalla fuga sulla destra di Angelo da Lallio
(dura scorza di piana bergamasca).
Le maglie contro erano quelle bianche
della Germania Orientale (o Est o DDR);
era l’era dei blocchi: o di qua o di là,
cortine e muri a dividere
come ora, forse meno di ora.
Ma il tuo tuffo orizzontale sanava
ogni dissidio, ogni discordia:
era il bello che si faceva gioco,
sfera di matematica armonia,
categoria dell’ineffabile donato
a noi sulla terra lontana,
avvinti dalla forza di gravità.
Gli artisti sono esseri senza tempo;
senza tempo come il genio,
e il tuo genio era ribelle e quieto,
Gigi, anzi Giggirriva, detto tutto d’un soffio,
una sillaba d’infinito...
Un bronzo classico in area di rigore,
plastico come una statua di Fidia
come in quella rovesciata – 18 gennaio 1970 –
contro i biancorossi palladiani: un librarsi
da farfalla, una posa da libellula, stasi
e dinamismo fusi nella perfezione del gesto.
Il tuo mancino era un dente di cobra:
ne seppero qualcosa i plavi di Jugoslavia
nella ripetizione della finale europea di Roma,
Anno Domini 1968, quello della contestazione,
del sovvertimento dei valori costituiti,
ma il tuo morso era anche stordimento di bellezza;
per Pasolini tu eri un poeta realista,
pure i tuoi paesaggi interiori erano onde e tramonti.
Poi fu lo scudetto, con Manlio, l’allenatore-filosofo,
e Ricky, Martiradonna, Zignoli,
Cera, Niccolai il Comunardo, Tomasini,
il Domingo dai polmoni senza fine e il tiro squassante,
l’elegante Claudio Olinto de Carvalho detto Nené,
Bobo Gori, Greatti dal nome risorgimentale,
e Brugnera, Poli, Mancin,
Nastasio, Reginato e tu… tu, eroe dell’Isola.
Venne il giorno dell’Azteca, 120’ di gioia
e sofferenza contro la Germania Ovest,
con te Rivera e il vecchio compagno Bonimba,
dall’altra parte Franz dall’esterno di diamante
e il braccio lussato, adesso con te lassù.
Trentacinque gol per la patria, Giggi,
due gambe spezzate e un sorriso sfinito,
malinconico, generoso poiché era un dono
alla nostra innocente allegria, alla speranza
del futuro, all’emozione di crescere
in onestà e purezza.
Per sempre, Giggirriva...
Per sempre nei nostri cuori.
Alberto Figliolia