Dalla Trentacinquesima lettera. M.E.: Le nostre lettere sono nate per passione di parole che interrogano parole, senza che conoscessimo le nostre vite. Ma ti anticipo un breve dettaglio: io non ho una vita da raccontare. Forse ne ho migliaia, e sono quelle degli altri (quanto mi mancano…)
Della Trentaseiesima lettera. A.L.: Pur non avendo una vita da raccontare si possono sempre fare pettegolezzi. Hai presente i feuilleton? - figurarsi cosa sarebbero dal vivo! […] Cosa sto pensando? - penso il contrario: che il linguaggio sia una questione corporea e singolare, legata a vincoli di sangue, di origine, di sacra infanzia – così che il nostro comportamento debba essere di madri, padri, figli delle parole…
M.E., Marco Ercolani, e A.L, Angelo Lumelli, e le loro Cento Lettere (2023), edito da Joker nella collana “I libri dell’Arca”. Un carteggio. Ossia, la parola che si fa incandescente. Perché in un carteggio la parola si dipana nella sua più assoluta intimità. Si fa audace, nel carteggio, la parola, e si fa audace soprattutto se vuole, pretende, che si parli in esclusiva di se stessa.
Chi occupa, infatti, sul palco la scena? Chi scrive o lei, la parola? Marco Ercolani si direbbe qui non avere dubbi, “parole che interrogano parole”. E allora, se le cose stanno in questi termini, è del tutto secondario avere o non avere una vita da raccontare. Le parole sono vita, la vita. E nella parola che si afferma come vita ecco che si è vita. Non è nella quotidianità e/o nella storia di piccole/grandi imprese che ci si fa vita. Ci si fa vita quando la parola si dice e ci attraversa con la sua incandescenza, quando proietta su di noi i suoi molteplici piani e grembi, si fa itinerario di voce e voci. E certo, il linguaggio, come dice Angelo Lumelli, è, è anche, una questione “corporea e singolare”. Come negare il vincolo di sangue con la parola, con il linguaggio? Un vincolo di sangue si direbbe almeno duplice. Il vincolo che ci lega indissolubilmente alla parola considerata come entità/evento autonomo, da un lato, e poi, dall’altro, il vincolo che ci lega a padri e madri, che rende dicibili, e risonanti, linguaggi e anime e corpi atavici.
La parola/linguaggio. La trama che si nutre del nostro essere sospesi/appesi alla parola, del nostro abitarci nella passione della parola. La parola/linguaggio che cerca terreno fertile per irrompere nella sua totalità, per occupare tutta la scena. Occupare tutta la scena. Certo, qui la parola occupa tutta la scena. Ma di questo la parola ha pochi meriti. È gioco facile in questo carteggio occupare tutta la scena perché è esattamente ciò che Marco Ercolani e Angelo Lumelli vogliono che succeda. E allora, la parola/il linguaggio, i vincoli di sangue di cui si è detto, la mente/il corpo… eccoli in pieno dibattito. Ecco i riflettori puntati sulla parola. Perché la parola è la vita e nella parola si è vita, ma anche perché la parola la si vuole scrutare, illuminare, mettere alla prova. Perché è anche così, mettendola alla prova, che se ne può cogliere la natura profonda e, in lei e con lei, arrivare anche a dissentire, a disubbidire, al Tempo e alla Storia. Arrivare a dirsi in modo del tutto unico e singolare, come capita per gli autori di questo carteggio che, uno di fronte all’altro e insieme di fronte alla parola, mantengono sempre la loro precisa identità.
La parola incandescente, dunque, in un carteggio incandescente. Pura linfa che scorre e si vuole che scorra, perché così ci si libera da ciò che accade non accadendo, perché così il mondo dentro e il mondo fuori si sprigionano nella loro essenza, si fanno parlanti nel loro pieno/vuoto limite.
Carteggio necessario, questo di Marco Ercolani e Angelo Lumelli, perché segno di vita e di vite, perché è incontro di io che pur mantenendo la propria specificità sanno uscire dalla propria unità per dialogare, confrontarsi, universalizzarsi.
Silvia Comoglio
Marco Ercolani, Angelo Lumelli, Cento Lettere (2023)
Joker, Novi Ligure (AL), 2023, pp. 48, € 16,00