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Giorgio Bussa. Sesto canto dell’Odissea. Psicanalisi e poesia
Jean Alfred Marioton,
Jean Alfred Marioton, 'Ulisse e Nausicaa', 1888 (Parigi, Museo d'Orsay) 
06 Dicembre 2023
 

Nel sesto canto dell’Odissea il racconto si svolge nell’arco di una giornata, che è unica nel ritorno e nelle avventure di Ulisse. Il canto si apre quando è ancora buio nell’isola dei Feaci; Ulisse dorme nascosto dal frascame, sfinito dopo un naufragio, e Atena arriva per lui, scendendo dall’Olimpo. E ha il suo epilogo con la preghiera dell’eroe alla dea, di cui ha intuito il soccorso, quando giunge al tramonto a un bosco a lei sacro: vicino ci sono la città e la reggia, dove il problema del suo ritorno troverà soluzione. Protagonista della giornata è Nausica, figlia del re Alcinoo. Un sogno, ispirato da Atena, la induce ad andare con le compagne a lavare le vesti al fiume, vicino al mare. Il mutamento nelle condizioni di Ulisse, che avviene già nel luogo del naufragio, è dovuto alla presenza e alle parole di Nausica. Sull’incontro e sui sentimenti, che l’arrivo di uno straniero fuori dal comune suscita nel suo animo, si concentra l’interesse della poesia. Con lei il mito entra nella normalità della vita, lasciando le ninfe e le maghe. Dietro di lei c’è l’isola dei Feaci, dove il nonno ha portato il suo popolo per sfuggire alla oppressione dei Ciclopi, e poi ha costruito le case e diviso le terre, creando le condizioni per una vita, che scorre più felice o meno dura che altrove: un’isola ideale per il tempo, in cui gli uomini conquistavano il Mediterraneo.

Dopo il prologo, il sogno di Nausica, dove Atena prende le sembianze di una compagna, è l’episodio da cui si sviluppa il racconto. Nel mito poetico esso è un piano, realizzato dalla dea coi suoi poteri magici, per soccorrere Ulisse nel luogo del naufragio; ma nell’analisi il sogno, costruito da un’arte irripetibile, acquista un secondo volto, apparendo il prodotto della vita emotiva di Nausica. La compagna, una coetanea a lei molto cara, la rimprovera, perché lascia che si ammucchino in casa le vesti da lavare al fiume; le nozze si avvicinano, e le vesti bisogna indossarle e anche regalarle, come segno dell’importanza della famiglia. Il desiderio di nozze è all’origine del sogno, e d’un tratto si riaccende: già all’alba bisogna andare al fiume, la compagna verrà con lei; le vesti sono da lavare al più presto, dato che la sognatrice non sarà a lungo ragazza. I pretendenti, giovani delle famiglie altolocate della città, dove lei stessa ha la stirpe, già la chiedono in sposa.

I pretendenti sono essenziali, ma arrivano in ritardo nel discorso della compagna. Con essi si affaccia nel sogno una stranezza, che alla figlia del re venga ricordato che ha stirpe nella loro stessa città. La loro immagine scompare presto, e questo è facile da ottenere, perché il discorso della compagna si può spostare sulla carrozza, e sui vari capi di tessuto da sistemare dentro di essa, cosa più facile che occuparsi della scelta. La carrozza è necessaria perché il fiume è lontano, e il fiume e il mare lasciano intravedere una giornata diversa dalle altre. Il palazzo di Nausica non è simile alle case dei Feaci, con le sue porte d’oro e il suo giardino meraviglioso, ma può diventare una prigione dorata, da cui bisogna uscire ogni tanto.

Finito il sogno, in cui il mito antico e la psicanalisi si incontrano, la dea risale all’Olimpo, il monte degli dei, dove il tempo scorre senza mutamenti, in una luce sempre uguale; nei versi stessi si insinua il dubbio che esista soltanto nei racconti. Nausica si risveglia, quando le luci dell’alba filtrano nella sua stanza; svegliandosi, rimane stupita e ammirata dal sogno. Il consiglio della compagna deve essere ascoltato, ma forse ha dei risvolti, che rimangono nascosti. Quando esce dalla stanza per cercare i genitori, si apre uno squarcio sulla vita, che riprende nel palazzo del re e nel cortile, e di riflesso nella città dei Feaci; un divario incolmabile con l’Olimpo degli dei. Il padre sta uscendo per una riunione coi maggiorenti della città. Dà ordini perché sia preparato il carro: i servi e le ancelle aggiogano e preparano la carrozza, la madre arriva con cibo e vivande, e lei porta i panni dalla casa. I lavori pratici di tutti, organizzati secondo un disegno comune, meritano di essere raccontati, costituendo la poesia della vita. Dalla casa del re, cuore della città e dell’isola, il viaggio porta al fiume, nella magia creata dalla natura. Qui le ragazze portano le vesti dentro l’acqua, in punti particolari dove le pestano coi piedi per lavarle, e poi le stendono sulla spiaggia per asciugare.

Finito il lavoro, le ragazze fanno colazione e giocano a palla. Ulisse dorme nascosto dal frascame, ma, svegliato da grida delle giocatrici, esce coprendosi come può. Qui, mentre le compagne di Nausica fuggono, avviene l’incontro tra i due protagonisti, che un sogno ha portato una di fronte all’altro. Nausica si adatta subito all’imprevisto, creato dall’arrivo di uno straniero; Ulisse, dopo aver visto genti diverse nei suoi viaggi, qui si trova in una situazione inaspettata, davanti a una creatura che gli sembra al confine tra umano e divino. Anche per questo fa riemergere nel suo discorso, dietro la figura di un naufrago senza vesti, le sue qualità di capo e condottiero. Il primo pensiero è di trovarsi davanti ad Artemide, la dea che andava per luoghi solitari con le compagne; ma la sconvolgente naturalezza di Nausica, di fronte a lui, riporta il discorso sulla terra: a una casa, dove la sua bellezza si riverbera su genitori e fratelli, e a un’altra, dove vivrà col marito. Questa sensazione, di essere davanti a una donna, creava in Ulisse più sgomento che se fosse davanti a una dea. Un episodio strano e lontano nel tempo gli ritornò in mente: nell’isola di Delo, un ramoscello di palma, che era spuntato in terra sacra, gli sembrava e gli appariva visibilmente diverso dalle altre piante. Ora la natura, passando dal mondo vegetale all’umano, sembrava ripetere il prodigio con la ragazza di fronte a lui, in circostanze e in luogo diverso. A Delo era giunto a capo di numeroso esercito, ma poi la fortuna lo aveva abbandonato. Qui invece era arrivato da naufrago, ma nel luogo del naufragio c’era Nausica, e la sua isola sconosciuta prometteva di cambiare la sua sorte.

L’aspetto di Ulisse riflette le ore drammatiche del naufragio, ma il discorso sapiente, con cui ha tessuto le lodi, fa cadere l’impressione iniziale di un uomo da nulla. Rimane comunque esagerata la sua idea, che gli dei siano occupati nel causargli disgrazie. Dietro la sorte degli uomini, Nausica vede piuttosto l’opera di Zeus Olimpio. I beni e i mali provengono da lui, non servono a premiare o a punire, e si distribuiscono nel mondo fuori dalle nostre logiche. Dietro il volere incomprensibile del re degli dei, come nel sogno, si nascondono nella poesia di Omero realtà umane: le leggi della natura e la fatalità della vita. In questo quadro, che può diventare a volte disperante, compare per il naufrago, che si sente perseguitato, un’oasi inaspettata: “Ora, poi che alla nostra città giungi e alla terra, né di veste certo mancherai né di altro”. Quando poi Nausica gli rivela di essere figlia del re dell’isola, la promessa di una veste rende sicuro agli occhi del naufrago anche “l’altro”, che è l’aiuto per ritornare alla sua terra.

È tempo di richiamare le ancelle fuggite nei dintorni, che devono aiutare Ulisse e portargli da mangiare. Nausica prende a pretesto la loro paura per riportare il discorso sull’isola. Si trova alla fine del mondo, e grandi distanze la separano dalle altre. I flutti senza fine, che la circondano, esprimono la minaccia degli dei per chiunque pensi di portare guerra ai Feaci. Parlando con le compagne, il fatalismo attribuito a Zeus scompare, e ritornano gli dei, questa volta in veste di amici e protettori. Le ancelle portano tutto il necessario a Ulisse, che solo rifiuta l’aiuto a lavarsi: non vuole apparire nudo davanti a donne più giovani di lui. Quando si lava nel fiume, si unge d’olio e poi si riveste, avviene una metamorfosi inaspettata. Al posto del naufrago misero e brutto appare un uomo pieno di vigore e bellezza, a cui scendono le chiome dal capo, simili al fiore del giacinto; così trasformato, se ne va sulla spiaggia di fronte al mare. Le metamorfosi sono care ad Omero; con il suo genio rivivono in esse la varietà del mondo, il mutamento di tutto e gli aspetti nascosti delle cose. La trasformazione è attribuita ad Atena, ma in realtà è opera di Nausica. Per lei per un momento sembra vicino a compiersi il desiderio del sogno, e lo confida alle ancelle. “Oh se un simile sposo rimanesse per me, qui abitando”. Ma la speranza svanisce mentre si manifesta; diventa incompatibile con il gesto di Ulisse, di andarsene in disparte verso il mare. Là da solo mangia e beve ciò che gli portano le ancelle, guardando verso la sua terra.

La giornata è stata di lavoro e di svago, e ora volge al termine in un modo imprevisto; è tempo di ritornare a casa nella città dei Feaci. Nausica piega e riassetta le vesti dentro la carrozza, ma intanto un’idea, dovuta alla presenza di Ulisse, si sta facendo strada nella sua mente. Per parlargli, si siede al posto di guida, un gesto di significato simile al ritirarsi in disparte dell’ospite. Ulisse seguirà a piedi con le ancelle tra i campi dei Feaci; a un certo punto della strada apparirà la città. Come l’isola circondata dalle acque, anch’essa trasmette un senso di sicurezza. È circondata di torri sopra le mura, ed è aperta solo verso il mare, sul quale si aprono due porti con le navi allineate. Dietro c’è la piazza lastricata; le botteghe si affacciano attorno ad essa, insieme con il tempio di Poseidone, il dio del mare. Esprimono la vocazione dei Feaci, che dentro vi trovano tutto quanto occorre alle navi nei loro lunghi viaggi. Il discorso di Nausica si sta allontanando insieme ad esse sul mare spumeggiante, ma il pensiero iniziale la richiama indietro: ci sono le strade della città da attraversare, dove la presenza di Ulisse attirerebbe l’attenzione della gente. Qualcuno più maldicente degli altri direbbe che è andata a cercare uno straniero, perché disprezza i giovani della sua città. In questo modo, i discorsi degli altri diventano uno specchio, nel quale si riflette la sua repulsione a fare la scelta. Grazie al sogno, qualche resistenza è scomparsa nella sua mente, e ora lei può riconoscere con Ulisse ciò che finora non ha riconosciuto con sé stessa. Senza saperlo, la sognatrice spiega il suo sogno. Il rimprovero iniziale della compagna indicava una tensione interiore, e il pensiero dei pretendenti è scomparso presto, perché rischiava di disturbare il sonno.

Da questo momento, nel dare le ultime istruzioni, il suo discorso diventa più sicuro, riflettendo appieno la sua personalità. I versi sono i più belli della poesia di Omero e della poesia di tutti i tempi. C’è un bosco di pioppi durante il percorso, sacro ad Atena. Dentro ci sono una fonte e un prato, vicino il podere e l’orto fiorito del padre. Se si grida, si può essere sentiti dalla città. Sarebbe il luogo ideale se Ulisse fosse innamorato, ma egli deve solo sedersi là un po’ di tempo, finché pensa che le compagne di viaggio siano arrivate. Poi deve andare anche lui alla città dei Feaci e cercare il palazzo del re. È molto diverso dalle altre case, anche un bambino che non parla potrebbe guidarlo. Ma Ulisse deve attraversare molto in fretta il cortile e le stanze, altrimenti a Nausica potrebbe tornare la speranza che si fermi. Alla fine arriverà in una stanza, dove la madre siede con le ancelle al bagliore del fuoco, volgendo fili di lana color porpora marina. È appoggiata a una colonna; dall’altra parte è appoggiato ad essa, simbolo della loro unione che regge la casa, anche il trono del padre. Ulisse deve solo oltrepassarlo; il padre potrebbe pensare a trattenerlo per Nausica, la madre penserà più facilmente alla sua supplica. Se lei lo avrà caro nell’animo, allora c’è speranza per lui di rivedere i suoi, e di giungere alla casa ben costruita e alla sua patria terra.

Nausica si è dilungata con le istruzioni; sa che è l’ultima occasione di parlare con Ulisse, e che un incontro, se non breve e occasionale, è escluso all’interno del palazzo. Non resta che dare un colpo alle mule e lasciare il fiume per raggiungere il bosco, dove Ulisse si siederà ringraziando la dea, di cui ha intuito il soccorso. Nausica prosegue; porta con sé il suo problema, manifestato dal sogno e rimasto irrisolto con lo straniero. Si può pensare che si adatterà alla situazione e farà in qualche modo la scelta; ma questo Omero non lo dice. Nausica è un sogno, nato dal bisogno del poeta di creare una donna unica, simile a lui, e come tutti i sogni deve finire prima del risveglio.

 

Giorgio Bussa


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