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Dimissioni di Prodi. Allargare la componente riformatrice e liberale del governo e della maggioranza
23 Febbraio 2007
 

Preso atto delle dimissioni di Romano Prodi da presidente del Consiglio, dopo che la maggioranza è stata battuta al Senato – «se non si passa, tutti a casa», aveva detto il vicepremier Massimo D’Alema, evidentemente convinto di avere i numeri che in realtà non aveva – e dopo un presumibilmente rapido giro di consultazioni, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano molto probabilmente riaffiderà l’incarico a Prodi. Assisteremo a un rimpasto, che comporterà qualche ritocco nella compagine governativa. È auspicabile comunque che il presidente del Consiglio, i suoi collaboratori e consiglieri, la maggioranza, colgano l’occasione per un esame degli innumerevoli gravi errori fatti; e sappiano farne tesoro, della qual cosa, non siamo sicuri. È comunque l’occasione per qualche non inutile riflessione.

Giova ricordare, per esempio, che con ineffabile eleganza il segretario dei Comunisti Italiani Oliviero Diliberto definì i radicali “rogna”. Clemente Mastella un giorno sì e l’altro pure pone aut aut: o l’UDEUR, o i radicali; nel frattempo Rifondazione Comunista ha aperto le sue liste a candidati significativi come Francesco Caruso; e la Margherita rutellesca ha candidato ed eletto teo-dem come Paola Binetti e Luigi Bobba. Antonio Di Pietro tuona ogni giorno minacciando sfracelli se non verranno soddisfatte le sue richieste. A fronte di tanta quotidiana turbolenza che si traduce in imbarazzi e ricatti politici a Prodi e alla sua fragilissima maggioranza, chi passa per inaffidabile e irresponsabile? I radicali.

Ora tutti sono in grado di valutare come stanno le cose: per la seconda volta un governo guidato da Prodi viene bocciato per responsabilità dell’ala estrema ed estremista; al contrario non si può citare un solo esempio in cui i radicali e la Rosa nel Pugno non siano stati leali, coerenti, non abbiano dato prova di senso di responsabilità. E, nonostante, calci in bocca non sono mancati.

Per la seconda volta, lo ripetiamo, un governo Prodi cade per responsabilità di una componente della maggioranza masochista, che evidentemente studia ogni giorno il modo migliore per darsi una martellata sugli attributi. Lo slogan programmatico sembra essere: “Facciamoci del male”.

Possiamo ricordare che se Prodi e il suo governo avessero dato sostegno e credito a quello che ha detto senza giri di parole il ministro dell’Interno Giuliano Amato, e con lui il fior fiore della scienza giuridica italiana (e cioè che otto senatori, pur eletti sono impediti a svolgere il loro mandato per una interpretazione arbitraria e illegale della legge), forse non si sarebbe a questo punto? Possiamo ricordare che forse qualche senatore radicale in più e qualche senatore della componente masochista in meno, avrebbe risparmiato al Paese questa crisi?

A questo punto, la cosa da scongiurare sono soluzioni-pateracchio, pasticciate, espedienti posticci e confusi. È possibile, probabile che qualcuno accarezzi l’idea di una maggioranza da costituire con qualche parlamentare da acquisire in qualche modo, e a prescindere dal modo.

Se la maggioranza attorno a Prodi saprà e vorrà individuare e perseguire una politica di respiro riformatore, è probabile, oltre che possibile, che si riesca a trovare il modo per uscire dalle sabbie mobili in cui ci si è impantanati, e che rischiano di travolgere tutti e tutto. Posizioni “terziste” non servono a nulla e a nessuno. Lo ripetiamo: la via maestra è quella del rafforzamento della componente riformatrice e autenticamente liberale del governo e della sua maggioranza. In caso contrario, davvero, tutti a casa.

 

Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 22 febbraio 2007)

 
 
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