Dopo settimane di accuse reciproche e di accese discussioni tra i vari governi e le diverse forze politiche, i Paesi dell’Ue hanno trovato un’intesa preliminare alla definitiva approvazione da parte del Parlamento europeo di un regolamento sui flussi migratori. Ma i fatti recenti dimostrano che in politica e nelle istituzioni pare prevalere l’arroccamento per contenere i ripetuti arrivi di migranti, come confermano i provvedimenti adottati dalla compagine governativa italiana. Oltre a prospettare il blocco ‘alla fonte’ degli esuli, si punta più al contenimento del fenomeno piuttosto che alla sua gestione con norme concrete ed efficaci. Proroga dei tempi di confinamento nei CPR, i centri di permanenza e rimpatrio, più simili a campi di concentramento che di rifugio e scelti in aree poco popolate per evitare mugugni da parte dei residenti (ma non le critiche avanzate dai governatori regionali), e misure restrittive nei confronti di chi è in cerca di rifugio, peraltro confutate dalla magistratura a sua volta contestata da un risoluto esecutivo. In altri termini, difesa dagli ‘invasori’ anziché attacco alle radici marce del problema.
Più sensatamente l’ex ministro degli interni Minniti, dopo aver già contribuito alla riduzione degli sbarchi grazie a precisi accordi presi coi Paesi del nord Africa (ben diversi da quelli farlocchi strappati dalla Meloni al governo tunisino poi tornato sui suoi passi), propone una sorta di piano Mattei per lo sviluppo economico dell’Africa, sostenuto pure dalla Meloni double face, e un accordo tra Ue, Unione africana e Onu per la gestione dei flussi migratori, con l’Italia nel ruolo di apripista. Del resto la stessa Meloni, affiancata dalla presidente della Commissione europea Von der Leyen, ammette che il problema esula dai confini nazionali. Peccato che gli alleati dei governanti italiani siano di diverso avviso: ancora una volta Ungheria e Polonia si sono opposte all’accordo europeo sui migranti malgrado denotino le stesse ambiguità dei leader di casa nostra. Infatti se Orban non vuole sentir parlare di ricollocamento dei richiedenti asilo, molti imprenditori suoi amici non disdegnano di assumere lavoratori stranieri, con autorizzazione legislativa. E in Polonia l’esecutivo anti-immigrati, eccetto quelli ucraini, è addirittura sotto accusa per uno scandalo dovuto alle mazzette ricevute per consentire l’ingresso di 250mila extracomunitari.
E qui si arriva al nocciolo della questione, perché senza un’attribuzione di reali poteri all’Ue nessun passo in avanti è possibile. Soltanto una devoluzione di sovranità dagli stati nazionali alle istituzioni europee può consentire di governare un problema epocale che chissà se e quando avrà termine. Si tenga conto che le migrazioni alla ricerca di migliori condizioni di vita sono sempre esistite, pertanto siamo in presenza di un fenomeno del tutto naturale che in passato ha visto protagonisti i nostri antenati emigrati un po’ ovunque nel pianeta. Per farne fronte la Meloni tesse ragionevolmente la tela della diplomazia con Bruxelles. Per contro Salvini, che si sente ancora ministro degli interni anziché preoccuparsi del suo dicastero delle infrastrutture, va al muro contro muro e convoca Marine Le Pen a Pontida per invocare a sproposito il diritto alla libertà dall’Europa matrigna guidata da francesi e tedeschi che respingono i migranti. Però i dati resi noti dall’agenzia europea per l’asilo lo smentiscono: l’Italia non è la terra promessa di chi chiede ricovero visto che, a conferma di quanto accertato nel 2022, nel primo semestre di quest’anno il Bel Paese ha ricevuto poco più di 60mila domande d’asilo mentre Francia e Spagna in termini assoluti ne hanno avute un numero ben maggiore e la Germania addirittura il doppio. Per giunta l’Italia tra le grandi economie risulta essere quella che meno si è adoperata l’anno scorso per ricollocare i provenienti dalle zone di guerra ed è il Paese europeo che ha ricevuto il maggior numero di richieste (oltre 30mila nel solo 2022) da parte di altri stati membri dell’Ue per riprendersi i migranti fuggiti altrove. Chissà cos’hanno da dire in merito Salvini & co., che contestano l’appoggio dei tedeschi alle ong cui il ministro Piantedosi ha invece chiesto aiuto per salvare i profughi in mare, consapevole della necessità di una flotta civile e non militare per risolvere l’emergenza.
Le contraddizioni all’interno del nostro governo sono palesi, però le cifre parlano chiaro: dal 2014 sono 28mila gli esseri umani che hanno perso la vita nel Mediterraneo mentre erano alla ricerca di un approdo sicuro. Anche in loro memoria è doverosa una risposta davvero unitaria e condivisa a un dramma infinito di tali dimensioni.
Guido Monti