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Maria Paola Forlani. Tina Modotti 
A Palazzo Roverella di Rovigo fino al 28 gennaio 2024
25 Settembre 2023
 

Inizialmente priva di preparazione tecnica e culturale ma dotata di grande vivacità, Tina Modotti fu una delle maggiori fotografe del secolo scorso, famosa per i suoi primi piani e le foto etniche.

La piccola Assuntina, chiamata Tina per brevità, nasce a Udine in una famiglia di un carpentiere che spesso accetta brevi trasferimenti nella vicina Austria per mantenere la famiglia. Si dovrebbe sempre pensare che un’artista sia la sua opera. Indubbiamente è anche la sua vita, che con la sua arte s’intesse e dialoga. Insieme, le due si modificano, condizionano, valorizzano… Tautologico, difronte all’esistenza non certo piena di fascino di Tina Modotti, che nella sua breve durata (morì a soli 46 anni), ha attraversato alcuni momenti chiave del secolo in vari luoghi del mondo. Modotti ha infatti vissuto periodi storicamente significativi in otto paesi diversi, parlando cinque lingue, essendo anche attrice teatrale e cinematografica, attivista politica, combattente, animatrice del Soccorso Rosso Internazionale, traduttrice, perfino – seppur con minore intensità – autrice di saggi, pittrice e poeta… (anche “maestra” di fotografia). Se di lei molto conosciamo, è proprio perché la sua biografia ha avuto la meglio. Su tutto, però, va celebrato il suo tratto artistico peculiare (o, come direbbe lei stessa, “di qualità fotografica”… e noi aggiungiamo: di originale eccellenza), troppo spesso passato in secondo piano.

Eccoci dunque a voler ricostruire con uno sguardo più completo possibile gli scatti di Tina Modotti, che è stata capace di approcciare la fotografia in tutte le sue sfaccettature, in una mostra a Rovigo, a Palazzo Roverella, a cura di Riccardo Costantini, (aperta fino al 28 gennaio 2024) che è probabilmente la più grande a lei dedicata mai. Un percorso che ricostruisce la sua capacità di utilizzare la metonimia, più della metafora o del simbolo, con quella capacità tuttora commovente di raccontare il reale – fra leggera sfocatura e del simbolo, con quella capacità tuttora commovente di raccontare il reale – fra leggera sfocatura e precisa attenzione al “cuore” del soggetto – con assoluta forza comunicativa. Quest’ultima si gioca molto nello stile di Modotti nella sua iniziale linearità: le sue foto colpiscono l’occhio immediatamente per come ricevono la realtà, restituendola innescando un flusso partecipativo successivo, che viaggia intermittente (andata e ritorno, in dialogo costante e paritario) dallo spettatore verso il soggetto immortalato. In questo dinamismo, la partecipazione si fa viva, partecipata e partecipante allo stesso tempo: si appartiene alla foto e allo stesso tempo alla realtà, e viceversa.

Il tutto, senza che il processo sia complesso, non richiedendo fatica e non riversando la responsibilità di vedere sullo spettatore. Infatti, come ricorda Edward Weston stesso, anche quando si tratta di sperimentalismi tecnici, nella sua fotografia “non si sente alcuno sforzo”: ecco il gioco di ossimori tipico di Modotti, in cui con assoluta naturalità anche temi complessi si pongono – senza strutture palesi di rimandi, eccesso formale, artificio – come quotidiani e comprensibili, condivisibili.

Se la mostra un centro doveva avere, non poteva che essere votato alla sua indipendenza, al suo percorso più personale: la sua grande mostra individuale realizzata in vita (dicembre 1929), ricostruita per la prima volta nel modo più completo nel percorso rodigino.

A chi appartiene, quindi, Tina Modotti? Prima di tutto, finalmente a sé stessa. Poi al mondo (che lei stessa ha attraversato), agli occhi di chi guarda la sua produzione, senza tempo e spesso senza luogo: apolide (davvero, per passaporti avuti e luoghi abitati), messicana per intensità della produzione, sempre “di tutti e per tutti” per la vocazione sociale e comunicativa delle sue immsgini. Tina Modotti è la sua opera.

 

M.P.F.


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