11 settembre 1973, all’alba. Cinquant’anni fa. Golpe militare in Cile. La morte cruenta di Allende e la fine del suo sogno di uno “Stato di giustezza”. Ma lasciamo parlare la storia, uno stato di barbarie a ripetizione.
Quella mattina. L’Italia ‒ quella ch’era desta ‒ accusò lo scossone: oddio, vuoi vedere che stavolta ci siamo? Perché in quegli anni, qui da noi, tra una strage e l’altra, si contavano anche, tra i tanti colpi di testa, anche diversi tentativi di colpi di Stato. L’altra Italia, quella che dormiva di grosso, si chiese che c’entravano adesso gli Inti Illimani con il loro canto di battaglia, che rimbombò per tutta la Penisola. El pueblo unido jamas serà vencido. E non si sapeva ancora che quello sarebbe stato l’inizio di un “Tour senza fine”.
Insomma, quel gruppo cileno di successo, formatosi nel 1967 a Santiago del Cile e dopo varie tournée in Sud America e in Europa approdato in Italia, appresa la notizia del golpe di Pinochet, in quell’11 settembre del 1973, e non potendo rientrare in patria per non subire la repressione feroce contro artisti e dissidenti ammassati e torturati negli stadi, portò avanti la propria battaglia attraverso la forza e il dolore del loro messaggio, raccolto e condiviso e supportato da tanta parte sana del nostro stato democratico: Il popolo unito, non sarà mai vinto!
Un canto che serpeggia per le vene di tutti, in ogni tempo, in ogni dove, finché ci sarà una voce libera, finché ci sarà una fiammella di speranza.
Maria Lanciotti
(da castellinotizie.it)