Fu un vero miracolo economico che di botto ci cambiò la vita. Fame, miseria, sacrifici e rinunce, tutta acqua passata, solo un brutto ricordo. E la nuova parola d’ordine risuonò festosa per tutta l’Italia: adesso ci dobbiamo divertire.
Cominciano le gite al mare. Destinazione litorale laziale, spiaggia libera.
La domenica, che era il giorno del riposo e del Signore, diventa la giornata dello svago e della fatica. Ci si alza all’alba per caricare le macchinucce, tutte munite di portabagagli; sedie a sdraio, ombrellone, valigetta da pic-nic, frigo portatile, borse e borsoni, materassino, secchielli e palette, taniche d’acqua e fiasco di vino e la famiglia pigiata dentro.
Si parte presto e non si sa quando si arriva. Le vie del mare sono tutte intasate. Si va a passo d’uomo. Si fa in tempo durante il percorso a fare amicizia e a litigare col guidatore accanto.
Quando si resta imbottigliati tanti scendono, si fanno un pezzo di strada a piedi e risalgono al volo al passaggio dell’auto strombazzante dei parenti.
Nei tratti scorrevoli si superano anche i cinquanta chilometri orari; ogni tanto qualche macchina accosta col fumo che esce dal radiatore e si grida all’incendio.
Ci sono poi i maniaci del sorpasso che ci provano a tutti i costi, e se qualcuno raccoglie la sfida è meglio farsi da parte per non rischiare la vita.
Bene che vada, si comincia a vedere il mare intorno a mezzogiorno e quando si arriva in spiaggia si bacia la sabbia.
Si montano gli ombrelloni, si gonfia la Mucca Carolina che si prende con i punti Invernizzi e fa pure da canotto, si aprono tavoli, sdraio e sedie, si fa una specie di cabina con un lenzuolo appuntato attorno a un ombrellone, e ci si mette in costume.
Una sguazzata nell’acqua, e quando si fa quell’ora si apparecchia e si mangia. E comincia la tragedia. Tutti sanno che devono passare almeno tre ore dai pasti prima di farsi il bagno, ma i ragazzini e gli incoscienti non ne vogliono sapere, mangiano a orario continuato e pretendono di stare sempre a mollo.
Non c’è pace sulla riva, fra radioline e giradischi a tutto volume, le canzonette in voga cantate e fischiate e parodiate in versione sentimental/burlesca, lo sfotticchiarsi sessual/ridanciano fra uomini e donne e membri tutti della comitiva, e il continuo passaggio dei venditori ambulanti, cotti dal sole, che cercano riparo sotto la fungaia di ombrelloni.
– Cocco fresco, cocco bello!
– A quanto lo dai?
– Cento lire, sei fette.
– Noi semo ‘n sette, dacce ‘na fetta omaggio.
– A signo’, e dàje! Damme du’ piotte e te do tredici fette.
– Bombe fritte, bombe calle!
– Ma a st’ora passi co’ ‘e bombe? Ma ‘n se magneno a colazzione?
– Queste so’ bbone a tutte l’ore, ‘n ce sta ‘na regola!
– A ma’, vojo ‘a bomba!
– Dammene una, va, che famo a mezzi!
– Tellinaro, telline fresche!
– De quanti giorni so’?
– Ahò, ma ‘n ce vedi? Queste so’ vive!
– Attento che scappeno!
– Famola corta: le voi o nun le voi?
– E do’ me le metto fino a stasera?
– Nun ce l’hai ‘n secchiello? ‘O riempi de acqua de mare e quelle campeno fino a domani. Quante ne voi?
Il mare è salute e allegria. L’acqua salata disinfetta, il sole calcifica le ossa, l’aria ti apre i polmoni, le sabbiature fanno bene ai reumatismi. Tanti si scavano la buca e si fanno sotterrare fino alla testa, che resta fuori coperta da un fazzoletto annodato o dal cappello.
– Ahò, sta attento che lì c’è papà!
– Ma ‘n dove?
– Sotto a li piedi tua, brutto fijo...
– Bada a quello che dici, che se tu’ fijo è fijo de ‘na...
– … automaticamente tu sei un...
– Nun dillo manco pe’ scherzo, ‘o sai che so’ de sangue callo!
– E stamo a scherza’, che c’hai ‘a coda de paja?
– Arindranghete!
I gruppi a tipo parentale arrivano a contare pure quattro generazioni, dai bisnonni ai pronipoti. È come fare Natale a Ferragosto. È la festa degli affetti e della buona tavola, si familiarizza col vicino di ombrellone come col confinante.
E quando nel pomeriggio inizia la radiocronaca della partita, si è un’anima sola e un solo credo: ROMA! E se c’è in giro qualche laziale o qualche juventino, è meglio se non si fa riconoscere.
La spiaggia di Ardea è risaputo che è dei castellani, in particolare dei genzanesi, che a loro tempo vi costruirono la baracca e poi la casetta. Corre questa fila di abitazioni lungo tutta la spiaggia, e dalle verandine si affacciano gli occupanti a godersi lo spettacolo del mare che luccica, delle barchette dei pescatori che raschiano il fondo a poca distanza dalla riva, della ressa dei vacanzieri della domenica. Poi sul tardi qualcuno si fa quattro passi e si ferma a chiacchierare con chi se ne sta sotto l’ombrellone.
Uno sgabello, un bicchiere di vino e la lingua si scioglie e viene fuori il passato.
– ‘Ste casette so’ piene de ricordi, qua c’avemo passato la vita dall’infanzia fino a oggi. Stavamo sempre allegri. Mo’ è tutto cambiato, ma ‘na vorta... – e sembra un tempo lontanissimo ed era solo ieri.
Maria Lanciotti
(da castellinotizie.it)