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Sergio Caivano. La battaglia di Buglio in Valtellina
13 Giugno 2023
 

Stimolato da alcune azioni di guerriglia conclusesi felicemente nella zona compresa tra Ardenno e la piana di Buglio, Dionisio Gambaruto “Nicola”, comandante della 40ª Matteotti, decide di alzare il tiro. Il giorno 11 giugno 1944 invade il paese di Buglio in Monte e lo conquista facilmente, senza spargimento di sangue. Viene deposto il Podestà. Si distribuiscono alla popolazione i viveri destinati ai maggiorenti del fascio, si tengono assemblee, si parla liberamente, si prendono decisioni. Una bandiera rossa, in quel contesto simbolo di libertà, svolazza sul più alto pennone del Comune. Sembra un sogno. Dopo tanti anni di frasi smozzicate o represse, l’11 giugno nasce un sogno, fors’anche un’utopia: quella di un piccolo comune della valle che spezza le catene dell’oppressione e riacquista la libertà. Buglio diventa così il primo comune libero della Valtellina.

Tutto il movimento partigiano esulta. Ma si tratta di una gioia prematura. A questo punto “Nicola”, un po’ guasconamente, telefona al prefetto di Sondrio Rino Parenti per comunicargli la presa del paese. Non ha fatto bene i calcoli. Le forze nazifasciste sono ancora molto forti. Difatti, il 16 giugno, un esercito mai visto prima, composto da 800/1.000 uomini, tra fascisti, tedeschi, polacchi e mongoli, assistito da molti automezzi e cannoni, si avvia verso il Paese. Dapprima, coi cannoni, spara dal basso sull’abitato, distruggendo case, cascinali, fienili. Poi travolge, all’altezza del ponte del Mulino, il modesto distaccamento partigiano lasciato di guardia con una sola mitragliatrice.

Nulla possono fare i giovani milanesi inviati per presidiare la località, privi, come sono, di armi. Sono travolti, catturati e passati immediatamente per le armi. Non contenti, i fascisti rincorrono ed uccidono i civili che stanno fuggendo verso la montagna, uccidendone sette. Vengono poi distrutti i casolari, trentasei case sono date alle fiamme. Poi se ne vanno. Naufraga la speranza, si spegne il sogno, ritorna l’oppressione. Non resta che piangere i propri cari, far fronte, in qualche modo, alla fame ed alle ristrettezze.

Nel paese rimane un acre sapore di bruciato. Il tragico epilogo della battaglia induce il movimento partigiano a un ripensamento dell’intera strategia bellica, soprattutto per non arrecare morti e danni alle popolazioni civili che li appoggiano e li sostengono. Il comandante Dionisio Gambaruto “Nicola” viene “accusato d’aver compiuto un grossolano errore sia politico che militare” (Fini-Giannantoni in La Resistenza più lunga, pp. 82-83). La polemica si protrae a lungo, portata avanti, in particolare, dai partigiani valtellinesi, anche se non mancano i sostenitori dell’azione di “Nicola”. Con spiccato senso di equilibrio, Giulio Spini afferma: “Buglio fu un’azione per certi versi criticabile sia nel quadro generale della Resistenza locale che dal punto di vista militare, un po’ baldanzosa un po’ guascona, ma decisiva perché segnò l’inizio dell’autentica lotta al nazifascismo in tutta la Valtellina” (Fini-Giannantoni, op. cit.).

Ai nostri giorni, il 16 giugno di ogni anno ha luogo la commemorazione della battaglia e si rende omaggio ai nove partigiani e ai sette civili che in quell’occasione persero la vita per la Liberazione della Valtellina, restituendo a tutti la dignità e l’onore perduti per tanti anni.

 

Sergio Caivano


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