Massimiliano Scudeletti
La laguna dei sogni sbagliati
Arkadia, 2022, pp. 216, € 17,00
Anni ’90 del secolo scorso a Venezia e nella zona industriale di Porto Marghera, quando sull’altra sponda dell’Adriatico infuriano conflitti armati su spinte secessioniste e guerre di religione. In una classe di scuola media arriva una supplente che terrorizza i ragazzi e gode nel vederli terrorizzati: “voleva qualcosa di più della loro paura, questo era sicuro”. Ha unghie lunghe e nere con cui raspa dentro i cassetti, ha labbra rosse gonfie, gengive scure, un lampo negli occhi; ha un giovane figlioccio, Sebastian, affascinante e pericoloso.
Alessandro, orfano dei genitori, è un alunno di questa classe: gli è rimasta come unica parente una prozia ultranovantenne ma i servizi sociali lo hanno affidato a una famiglia, vista l’età avanzata della zia Annamaria: “La cosa più terribile per ogni bambino, cioè che i genitori escano di casa e non tornino, a lui era già capitata”. Ha pochi ricordi dei loro gesti e delle loro parole. La zia è un punto di riferimento e non teme l’età: “Annamaria temeva che un altro lutto avrebbe stravolto Alessandro”. «Non ti preoccupare, mi costringi a vivere» gli ripeteva.
Un personaggio originale a dir poco, con una biblioteca carica di libri sull’occultismo, l’esoterismo, la magia: “Per casa circolava una strana brezza: non muoveva le tende, non faceva sbattere le porte, ma c’era. Poteva scompigliargli il caschetto, indurlo a fermarsi prima di un salto troppo ardito per gli scaloni del palazzo. Era fresca e a lui sembrava una carezza”. Nel suo antico palazzo veneziano la zia ha strani incontri con gli amici: stanno tutti seduti intorno a un tavolino con le mani unite.
La zona industriale diffonde esalazioni pericolose: “Già da quasi vent’anni si sapeva che il cvm (Cloruro di Vinile Monomero), con cui si produce la materia plastica per eccellenza, il pvc, è cancerogena”, tanto che, dalle finestre, le mamme gridavano ai figlioli che uscivano in bicicletta di non respirare troppo.
Gli splendidi tramonti sulla laguna non sono altro che la conseguenza del veleno presente nell’aria, con gli idrocarburi sfuggiti ai grandi stabilimenti petrolchimici e incendiati prima che si diffondano nell’atmosfera: “quelle particelle di gas combusto che donavano viola e carminio ai tramonti, appunto. Il fumo del petrolchimico assediava le case ed entrava nelle stanze”. Parecchi ci rimettono la salute e la vita.
Non pochi si sentono circondati dalla “merdaccia levantina: terroni, negri, arabi e gli altri, gli slavi di merda, appunto. Fortuna che a contrastare l’invasione, attuata con le solite modalità - stupri di donne bianche, spaccio di droga, furti, sottrazione del lavoro -, c’erano loro, i veneti puri, bianchi, Celti e cristiani”. Loro tendono a bullizzare i più sfortunati, chi è orfano, chi è fuggito dalla guerra, come Ivan: “Ivan era di poche parole ma, se avesse avuto voglia, avrebbe spiegato agli spaventapiccioni che spesso in Serbia la morte arrivava dall’alto, sganciata da aeroplani o distribuita con generosità dagli sniper, i cecchini appostati come vampiri nelle loro torri, le finestre dei piani più alti degli stabili abbandonati”.
Su questo sfondo di violenza e dolore colloca la sua storia Scudeletti, una storia attraversata dalla magia, da fatti inquietanti che rimangono nel mistero, da una serie di disgrazie che sembrano concatenate: “si scatenò una serie di eventi nefasti, come se una divinità beffarda si stesse divertendo tutto a un tratto a scatenare il caos”, mentre una supplente/vampiro/demone intorbida le acque, diffonde la paura tra i ragazzi, adesca le giovinette, cerca le vittime per sé e per il figlioccio. Se per caso le si scopre una gamba, si vede ricoperta di squame; se il sacerdote con cui sta parlando porta la mano al crocifisso nascosto sotto la giacca, lei si allontana. Se uno “stupido ragazzino” ha il coraggio di balbettarle in faccia - lei è cattiva - non immagina che cosa gli succederà.
Alessandro cerca senza arrendersi dei contatti con i genitori, perché ormai sa che “intorno a noi c’è qualcosa d’invisibile che possiamo decidere come percepire”. E “la zia era una studiosa di scienze occulte, no? Quindi doveva saperlo per forza dov’erano finiti i suoi”. Il desiderio di conoscere lo rende incurante del rischio, ma al tempo stesso lui perfeziona le tecniche di difesa e diventa sempre più informato: “Hai presente quei segni che abbiamo visto al cimitero, con sua zia? Sono fatti da adoratori di Satana. Incredibile, eh? Ale li ha trovati in un libro, gli stessi segni. Si parla anche di sacrifici”.
Se siamo attratti da questo percorso che attraversa il mistero, l’occulto, il demoniaco, e scopriamo autori e pittori che gli hanno dato voce e immagine, non sfugge comunque il profondo valore metaforico di due personaggi chiave, la supplente e Sebastian, simboli del male stesso che circolava allora e non è scomparso nel tempo, un male e una violenza che sembrano moltiplicarsi e godere di se stessi: “Molto più tardi, sempre nella notte, la supplente si rotolava nel letto trafitta da una frenesia di migliaia di spilli. Era doloroso ma anche piacevole, come quell’odore di chimico e di limone che sentiva sulla pelle. «Questo posto mi sta facendo perdere la testa»”.
Marisa Cecchetti