Tutte le volte che questa maggioranza di destra è costretta dalle ricorrenze o da altro, a confrontarsi con la storia, inevitabilmente inciampa. Lo ha fatto la premier Meloni, quando ha definito italiane le vittime delle fosse ardeatine. Lo ha fatto, in modo assai più grossolano, il Presidente del Senato Ignazio Benito Maria La Russa, noto collezionista di busti di Mussolini, quando, riferendosi all’attacco contro i militari altoatesini, ha parlato di attentato terroristico nei confronti di una banda musicale. Si è poi corretto chiedendo scusa, ma senza precisare meglio.
Il fatto vero è che questa nuova maggioranza si trova a disagio con la storia. Vediamo gli eventi. Già il 13 ottobre 1943 l’Italia, con un proclama trasmesso dai microfoni di Radio Bari, il Primo Ministro Pietro Badoglio dichiara guerra alla Germania. Esiste un unico Stato legittimo, rappresentato allora dal Re e da Badoglio, in stato di guerra in tutto il territorio, non ci sono due stati. Secondo norme di diritto internazionale coloro che si schierano coi tedeschi sono traditori. L’episodio di Via Rasella, del marzo 1944, col quale partigiani dei Gap fanno esplodere un ordigno al passaggio dei militari Bozen, costituisce pertanto un legittimo atto di guerra condotto contro un esercito straniero occupante, nel caso costituito da militari altoatesini che hanno optato per la cittadinanza tedesca e fanno parte delle SS. I morti sono 33. Entro 24 ore avviene la rappresaglia. Hitler, subito informato, chiede che per ogni militare del battaglione Bozen siano giustiziati 50 italiani. Nella materiale impossibilità di aderire al desiderio del Fuhrer, si decide di giustiziare 10 italiani per ogni tedesco ucciso. Le forze fasciste collaborano attivamente nell’esecuzione della decisione. Nella notte, col concorso del questore di Roma Pietro Caruso, vengono prelevati dalle carceri partigiani di “Giustizia e Libertà” e della “Garibaldi”, moltissimi generici antifascisti, 75 ebrei ed alcuni detenuti. In tutto sono 335, cinque in più rispetto al rapporto ricordato. Al mattino successivo sono portati nella zona delle fosse ardeatine e lì uccisi, cinque alla volta, con un colpo di pistola alla nuca, sotto il controllo diretto di Herbert Kappler, capo della Gestapo a Roma e dal capitano delle SS Erich Priebke. Oggi un sacrario apposto all’altezza delle fosse ardeatine ricorda a tutti la barbarie di quell’atto feroce ed ingiusto.
Sergio Caivano