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Sergio Caivano. Il truce eccidio di Triasso del 6 aprile 1945
02 Aprile 2023
 

Ormai sfondata la Linea Gotica, le Armate statunitensi e britanniche si riversano sulla pianura padana. I nazifascisti combattono retrocedendo. I partigiani, dal canto loro, incrementano le loro azioni di guerriglia. Modesti rinforzi fascisti vengono inviati verso nord da chi ancora crede nel ridotto alpino della Valtellina.

Così, all’altezza della Sassella, una colonna repubblichina viene sottoposta ad una sparatoria. Un milite resta sul terreno. Ritenendo che gli spari provenissero da Triasso, Il 6 aprile 1945 una massiccia formazione di repubblichini assalta il paese, armi in mano obbliga tutti gli abitanti ad uscire di casa e a radunarsi nel piazzale. Vogliono sapere chi ha sparato. Non è dato sapere se qualcuno fosse in grado di rispondere. Fatto sta che nessuno parla. Allora gli ufficiali delle Brigate Nere, decisi a sfogare la loro rabbia ed il loro livore, minacciano di uccidere tutti gli uomini della frazione.

Il messaggio viene subito compreso dalle donne: con dietro i figli piccoli scongiurano, implorano, supplicano a lungo gli ufficiali per farli recedere dal loro intento. Lacrime ed implorazioni non commuovono. Restano inflessibili. Non potendo tuttavia ucciderli tutti, ne scelgono quattro per l’esecuzione, che vengono separati dagli altri. Senonché, dei quattro prescelti due sono fratelli, Melè Silvio e Melè Ferruccio, figli di Melè Solvio. Si implora di risparmiarne uno. Allora i comandanti tergiversano, poi aggiungono crudeltà alla crudeltà, chiedendo al padre Melè Silvio chi intenda risparmiare. Il padre Silvio, terrorizzato, non sa, non vuole rispondere.

Per lui, scelgono i carnefici. Alla presenza di tutti il paese scaricano i loro mitra. Sotto il fuoco restano Dell’Agostino Carlo di anni 25, Stangoni Carlo di anni 32 e Melè Silvio di anni 19. Evidentemente non ancora soddisfati appiccano il fuoco alle case. Scendendo verso valle incendiano anche le case della Sassella. La definiscono rappresaglia, e come tale cercano di spacciarla agli abitanti di Sondrio. I quali accolgono il fatto con totale esecrazione, tanto che gli stessi comandi fascisti ritengono di doversi scusare ed assicurano di non voler ulteriormente procedere su questa linea.

All’indomani della Liberazione la Corte d’Assise Straordinaria di Sondrio condanna i tre ufficiali alla pena di morte. Oggi, al cimitero di Sondrio, tre colonne di marmo, ciascuna delle quali spezzata in due parti, intende simbolicamente ricordare le tre giovani vite innocenti stroncate dall’odio e della ferocia dimostrati dai fascisti a Triasso in quel tragico giorno. E una lapide a Triasso ricorda il martirio.

 

Sergio Caivano


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