Elena Mearini
Corpo a corpo
Arkadia, 2023, pp. 112, € 14,00
Un uomo fugge lasciando la compagna precipitata dalla finestra, schiantata a terra, via verso la periferia a trovare rifugio nella palestra dove si allenava alla boxe da ragazzo. Scappa da “Mario, il pugile che allenava le giovani promesse, quello famoso per avere fatto da sparring a Nino La Rocca, campione europeo dei pesi welter alla fine degli anni Ottanta”. Porta con sé “il cattivo odore della colpa” insieme al diario di Marta su cui lei annotava i particolari di ogni giornata con una precisione maniacale.
Lui è un insegnante, lei è stata sua allieva, hanno vissuto insieme da quando Marta è diventata maggiorenne, entrambi con un peso sulla coscienza, ma ciascuno garanzia di protezione dell’altro.
La colpa di Stefano risale ai tempi della palestra quando la rabbia di essere stato tradito dal padre l’ha spinto a cercare gli amici peggiori, si è fatto di ecstasy e in palestra ha sfinito di colpi una giovane promessa della boxe. L’allenatore, un uomo che conosce gli errori degli uomini: «Io ti copro - aveva detto - però qui dentro non ti voglio più vedere. Se non perdi qualcosa, non imparerai mai niente».
La grande assente dalla scena, che compare solo evocata dalle pagine del diario, è Ada, sorella di Marta, la bellezza e la perfezione fatte persona: “A scuola i ragazzi dicevano che Ada era da tachicardia. Niente le era impossibile, riusciva bene in ogni cosa”.
Capace, intelligente, ammirata, in procinto di partire per l’Inghilterra per frequentare una scuola di danza, era precipitata improvvisamente di sotto mentre eseguiva un difficile esercizio che Marta le aveva chiesto, in punta di piedi sul tavolino davanti alla finestra: “Perché ero troppo poco rispetto a lei, una misura piccola e inutile, Ada poteva essere paragonata all’infinito e io al centimetro che sta tra le due tacche del metro. Avevo solo bisogno che mi considerasse degna di lei, che facesse una cosa perfetta e pericolosa per me, perché significava che allora valevo qualcosa, qualcosa di più grande di un centimetro”.
Davanti alla sorella lei si senta brutta, inadeguata, uno zero: “Era di una bellezza alla Angelina Jolie, di quelle che ti fanno sentire brutta e deforme anche se sei una ragazza carina”. Marta è sempre risultata una perdente davanti a Ada, per questo ha cercato di uguagliarla ma “la fortuna stava dalla sua parte e io dovevo accontentarmi di giocare per perdere. Oggi, al cimitero, ho vinto per la prima volta”.
Si parla di suicidio, come se Ada non avesse più sopportato di dover mantenere un così alto livello di perfezione, ma pochi lo credono: “Rispettosa e grata alla vita, consapevole delle proprie doti, determinata nel volerle mettere a frutto nel migliore dei modi. Impossibile che abbia commesso un gesto del genere”. Tanto perfetta che Marta ne ha quasi paura e cova una gelosia che la manda fuori testa: “Perché avrei voluto riuscire in ogni cosa come Ada, essere tanto brava da dividere con lei un pezzo di perfezione invece di lasciarla sola a portarsela tutta intera sulla schiena”.
La morte di Ada lascia Marta al centro delle attenzioni parentali: “Cerca di proteggermi, papà. Il mio valore è aumentato, ora che sono l’unica figlia rimasta”. Tuttavia questo non le basta: prende il posto di Ada anche accanto al professore, quell’uomo che l’ha affascinata al primo incontro. Lui la accoglie: “Ero convinto che legando Marta, stringendola a me, avrei evitato di ritrovarmi sempre più spiazzato e smarrito davanti alle sue mosse. Mi sono illuso che la vicinanza estrema potesse garantirmi controllo e incolumità. «Se ti ho addosso non puoi farmi male», questa è stata la congettura che mi ha spinto al corpo a corpo con lei”.
Scorre la notte nella palestra dove Mario, l’allenatore, prepara guantoni e fasce per chi arriverà a mattina, e intanto ascolta la storia che si dipana attraverso le pagine del diario che Stefano legge facendo luce sul male.
Mario lo accoglie dopo tanti anni, come un padre farebbe con un figlio, come il saggio che porta a ragionare e non suggerisce la strada da seguire ma la apre davanti, passo passo. Lo fa attraverso la disciplina del suo sport, che è formazione alla vita.
Marta è il male: nascosta dietro a un volto tranquillo c’è una mente crudele, malata, anaffettiva, determinata e lucida, perfettamente organizzata nella crudeltà, ossessionata da un confronto insostenibile, alla ricerca di tutto ciò che la faccia assomigliare alla sorella, fino all’impensabile. Lei è il male che si insinua nella vita di Ada e in quella di Stefano: “Lei era quella specie di male che io non sopporto, era l’inganno che dormiva nel mio letto e mi si svegliava accanto”.
Come ha sempre dimostrato di saper fare bene, ancora una volta la Mearini scende nei nodi della mente, nelle ossessioni che la sconvolgono, e cerca e svela il marcio nascosto nell’uomo; questa volta lo fa con un noir dove luce e buio si contrappongono e dove il buio vince sulla luce. Dissemina sul percorso tracce di verità che sul momento si notano appena, ma alla fine si vanno a ricercare come rivelatrici, goccia a goccia.
Marisa Cecchetti