Kari Hotakainen
La grande migrazione
Traduzione di Nicola Rainò
Iperborea, 2023, pp. 320, € 18,50
Una società rovesciata dalle fondamenta, disumanizzata, fredda, calcolatrice e individualista, quella a cui lo scrittore finlandese Kari Hotakainen dà voce, in un tempo non precisato di un ipotetico futuro, quando sono state svuotate per legge le campagne dove la gente viveva del proprio lavoro, e trasferiti tutti gli abitanti in città. L’enorme area abbandonata diventa il regno indisturbato di animali - orsi, procioni, conigli, volpi, linci, cerbiatti, uccelli - che si guardano intorno increduli. Ma presto quell’area stessa viene trasformata in zona ricreativa per la gente di città. Lontana un centinaio di chilometri c’è la grande cucina che prepara per tutti, ma ormai da lungo tempo nessuno ha contatti con la natura, né sa qualcosa dei processi di produzione. Gran parte delle professioni tradizionali sono scomparse lasciando il posto al dilagare della tecnologia, il lavoro manuale rimane solo nei documentari, il corpo è il nuovo idolo da modellare e tenere al massimo della bellezza, efficienza e giusto peso. Mettere al mondo un figlio non attira più, quando lo sguardo è totalmente concentrato su di sé.
In città c’è la zona della Buona Parte, abitata da gente di sicura posizione economica, e quella della Mala Parte, condomini di gente precaria, che passa da un lavoretto all’altro per sopravvivere, con capacità di adattamento e tanta immaginazione.
Molti di questi alloggi sono fatiscenti e da demolire, ma la massa di persone che premono sulla città richiede soluzioni: non basta costruire rapidamente nuove case, con appartamenti che possono scendere a dodici o addirittura sei metri quadri di grandezza, con letto e tutto il resto incassato nei muri - vere celle abitative, eppure così agognate.
Per fare posto alla massa dei migranti si cerca di svuotare gli alloggi fatiscenti, e i Supervisori danno incarico ad un gruppo di Precari - gente dalla Mala Parte - per individuare chi deve fare spazio, con destinazione i nuovi alloggi o le Baracche.
I Responsabili non si vogliono sporcare le mani, così tocca al Precario bisognoso infierire su un bisognoso più in basso di lui.
Intanto i migranti vivono accampati nei centri commerciali ormai inutili, perché nessuno compra più nei negozi, ci si rivolge alla rete - in un caos di cinguettii nello spazio - e di tutto si cerca di fare un brand. Gente di tutte le età si ciba di precotti conservati negli enormi frigoriferi dei centri commerciali, ma porta con sé la nostalgia dei propri campi e del proprio bestiame, senza trovare una ragione in quella specie di sopravvivenza.
Siamo in una società dove contano solo le emozioni di per sé molto mutevoli, e non si dà importanza a interventi ragionati; dove la fantasia galoppa - una forma di salvezza - e la menzogna è la prassi più diffusa: “La sensazione aveva sostituito la conoscenza”.
I precari distribuiscono dei moduli agli abitanti di un condominio che devono rispondere ad una serie di domande, raccontare qualcosa di sé che possa fare presa sugli esaminatori i quali, freddamente, senza alcun contatto visivo, senza poter distinguere la verità dalla bugia, dovranno decidere sulla loro collocazione.
Ne deriva un mosaico di storie, vere o false, esagerate, teatrali, surreali, emozionanti, tutte a loro modo con un fascino inquietante: l’esaminatrice scelta tra i Precari per la loro valutazione, in ognuna di esse trova elementi per riflettere sulla propria vita.
Che cosa contiene la relazione finale? Chi merita un nuovo alloggio e chi andrà alle Baracche?
Quando un giorno la Presidente, che deve inaugurare un nuovo spazio comune, scoperchia il vaso di menzogne esistenziali e dice la verità, con una passione mai mostrata prima, sicuramente sa che la aspettano le dimissioni, ma almeno ritroverà l’autenticità: “Dove fuggiremo quando la Grande Migrazione sarà compiuta, quando gli alloggi semplicemente non basteranno per tutti, quando non si inventeranno più nuovi mestieri, quando tutta questa fuffa fintamente professionale sarà svaporata?”
E davanti ai lamenti per l’arrivo dei richiedenti asilo: “di profughi ce ne servono comunque decine di migliaia che lavorino qui, sicché nel quadro d’insieme, che al momento sembra una foto delle vacanze scattata da un ubriaco, si tratta davvero di un esodo, arriva gente che non ha acqua né petrolio… loro non hanno mai avuto da mangiare e noi monitoriamo ogni giorno il nostro grafico delle calorie… loro non hanno mai avuto un momento di pace nella lotta per la sopravvivenza… quando verranno a cercare quello che noi abbiamo avuto per decenni, siamo pronti?”
Hotakainen, uno dei più originali scrittori finlandesi, ha messo a fuoco il declino della società: “i valori occidentali, e quali sarebbero questi valori?” grida la Presidente dal palco.
Hotakainen ha marchiato a fuoco la corsa sfrenata verso la disumanizzazione che si camuffa sotto il nome di progresso tecnologico.
“Il senso della vita, lui scrive, non è la sua lunghezza ma la sua profondità”, e si corre il rischio che questa profondità a breve scompaia.
Rimane la speranza che qualche Istituzione abbia il coraggio di dire la verità.
Marisa Cecchetti