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Maria Paola Forlani. Artiste Impressioniste/ Eva Gonzales
12 Marzo 2023
 

Se il nome di Barthe Morisit non manca in nessun catalogo e in nessun saggio dedicato agli impressionisti, se il nome di Mary Cassatt vi è sufficientemente presente, meno conosciuto è quello di Eva Gonzales che pure, per gli specialisti, a pieno diritto fa parte del trio delle Femmes de l’impressionisme.

Questo è dovuto al fatto che Eva Gonzales non fece in tempo ad acquistare in vita la rinomanza delle altre due e a destare tra i lettori dell’epoca che si occupano delle cose d’arte, come Malarmè, Huysman, Zola, quell’interesse che poi per risonanza veniva a sollecitare quello dei critici di professione, a causa del suo carattere e perché la sua vita fu breve. Morì a solo 34 anni.

Eva Gonzales era figlia di un romanziere molto rinomato, presidente della Société des Gents de Lettres, e il cognome rivela ascendenze spagnole. Crebbe in un ambiente di letterati e artisti. La madre era una cantante, notevole per la sua abilità quanto per la sua timidezza (non riusciva a cantare se nella stanza c’erano più di una ventina di persone). Dalla madre i contemporanei dicono che aveva ereditato la timidezza e una splendida bellezza caratterizzata da una grazia languida. Era religiosissima. L’unica fotografia che ci rimane di lei la ritrae mentre prega genuflessa su un inginocchiatoio. Quanto questo facesse a pugni con quel mondo bohémien, popolato di disinvolte pittrici, modelle, compagne durature o provvisorie di artisti, è evidente.

A causa del carattere spirituale della sua bellezza, Dominquin, un pittore molto tradizionalista, l’aveva voluta come modella per un quadro oggi perduto, raffigurante santa Cecilia in atto di suonare il violoncello. Ad altri due pittori, sempre di gusto accademico, Charles Chaplin e Gustave Brion, deve la sua prima formazione, Eva Gonzales è nello splendore della sua giovinezza quando il pittore Alfred Stevens, belga, ma profondamente radicato nell’ambiente e nella cultura francese, e vicino al gusto impressionista, la presenta a Edouard Manet.

Eva dimenticherà presto gli insegnamenti di tipo tradizionale dei suoi primi maestri, rivelando una freschezza di espressione e di esecuzione molto affini a lui.

Manet la ritrae mentre sta dinanzi al cavalletto in atto di dipingere, secondo una moda diffusa nel secolo precedente, nel ‘700. Sappiamo, attraverso una curiosa testimonianza di un contemporaneo, Philippe Burty, quali erano i consigli di Manet. Manet si presenta a Eva seduto contro una parete rivestita di carta da parati, con in mano un piatto d’argento sul quale sono posati una tranche di salmone e un coltello. E adesso, dice, fatemi così, prontamente. Non vi preoccupate del fondo. Badate solo ai valori. Quando guardate qui e soprattutto quando pensate di rendere ciò che sentite, non guardate mica le linee della carta che sta là in fondo. E quando guardate l’insieme, non pensate mica a contare le scaglie del salmone. Voi le vedete come perle d’argento contro il grigio e il rosa. E niente mezze tinte; quelle vanno bene per i disegnatori da quattro soldi che illustrano il Magazine pittoresque. E mentre diceva queste cose Manet, circondato, dagli amici e dai visitatori, dipingeva a sua volta. Il ritratto di Eva Gonzales.

Il ritratto fatto da Manet viene presentato al Salon del 1870, e in quella stessa occasione vengono accettati due quadri della Gonzales, La passante e Il suonatore di tromba. La passante fu favorevolmente valutato dal critico de Le Siecle, Jules Antoine Castgary, che diceva di apprezzare della pittrice “il sentimento della vita e l’intuizione dell’arte”. Il suonatore di tromba è una evidente derivazione dal Suonatore di piffero di Manet, il famoso quadro che fu rifiutato al Salon del 1866 e che, di conseguenza, suscitò lo sdegno di Zola, e lo spinse a prendere posizione contro l’ottusità dei giurati che non avevano capito, per usare le parole di Zola, questa era un’“opera delicata e ingenua fino alla grazia e reale fino all’asprezza”.

Due anni dopo Eva Gonzales presenta L’indolenza, un quadro che Zola stima molto e definisce così: “Una vergine effigiata come una vetrata da un’artista naturalista della nostra età”.

Il teatro, tipico luogo di intrattenimento della borghesia, esercitò una grande attrazione sugli impressionisti. E allo splendido quadro di Renoir, La loge, si rifà la Gonzales nel suo Palco al Theatre des Italiens, con un più attenuato cromatismo, ma con individuato equilibrio compositivo. Il quadro però non piacque alla giuria del Salon che lo rifiutò, nel 1879. In quello stesso anno la Gonzales sposa un incisore, Henri Guérard, sempre della bande à Manet.

Al di là delle comprensibili dipendenze di Manet, e da Renoir, Eva Gonzales ha passato la vita a fissare sulla tela e sulla carta tutto quello che colpiva i suoi occhi e il suo spirito, il suo genio di artista: i volti dei suoi familiari, i frutti nei cesti, i fiori nei vasi, l’accordo dell’azzurro del cielo con il verde dei prati, le spiagge di Normadia, le dame parigine con gli abiti neri e le braccia nude, i diamanti, i velluti.

C’è un ritratto della madre, dolcissimo ma senza artifici, senza traccia di sentimentalismi. Con il maggior garbo questo pastello descrive la toilette della madre, una sinfonia di bianchi e di grigi, mentre sui capelli squillano due semplici note di colore.

E poi splendide nature morte di una essenziale semplicità. Un piccolo mazzo di rose che mal si regge dentro un vaso di vetro troppo grande, una ciotolina di cristallo, un cucchiaio d’argento messo trasversalmente per indicare la profondità.

Al tempo della guerra franco-prussiana la famiglia Gozales aveva lasciato Parigi e si era rifugiata in Normandia. Eva ne approfitta per ritrarre la spiaggia di Dieppe. La sobrietà della rappresentazione è sorprendente. L’infinito del mare e del cielo sono suggeriti dalle lunghe linee orizzontali, una leggera nebbiolina vela la costa più lontana e contribuisce al senso di malinconico silenzio che caratterizza il dipinto. Essenziale è la visione di questa marina e ancor più essenziale è il quadro intitolato La lettera in giardino. Qui è rappresentata la sorella Jeanne. Jeanne indossa un abito grigio-azzurro che si stacca contro un fondo verde realizzato a pennellate grasse e nervose. La scelta dei colori è audacissima e ci dice come Eva Gonzales fosse avviata a risultati molto arditi se la morte non l’avesse fermata. Questo è l’ultimo quadro dipinto dalla Gonzales che morì molto giovane, per un’embolia seguita al parto. Una sorta di piccola leggenda vuole che Eva, ancora debilitata per il parto, ricevuta la notizia che era morto Eduard Manet, si sarebbe alzata dal letto per intrecciare con le sue mani una ghirlanda di fiori da inviare al funerale del suo maestro, e questo sforzo le sarebbe stato fatale.

La madre della Morisit racconta come una infinità di fiori copriva dalla testa ai piedi il corpo di Eva, ancora bellissima anche sul letto di morte. Davanti alla sua salma scoppierà in un pianto accorato anche Berthe Morisot, dimentica di ogni passata rivalità.

La sorella Jean, quella dell’ultimo quadro della Gonzales, crescerà la bambina di Eva, e sposerà Henri Guérard, il vedovo di Eva.

 

M.P.F.


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