Fate di me soltanto un sussurro
o un silenzio d’amore inesploso
(Giuseppe Vetromile)
Mi accingo alla lettura dell’ultimo libro di Giuseppe Vetromile Esercizio all’esistenza uscito nel 2022 per le edizioni Puntoacapo Editrice, con prefazione di Ivan Fedeli e una significativa nota introduttiva dell’Autore stesso.
La raccolta, di 78 pagine, è divisa in sei sezioni: “Nella stanza”, “Allora la morte?”, “Questo amore”, “E poi avvisate i morti”, “Documento vuoto”, “Esercizio all’esistenza”. In essa, l’autore, con un fraseggiare ampio che si ramifica in un discorso lungo e ragionato, affronta i grandi dubbi e interrogativi dell’uomo sul senso della vita e della morte.
«Questi esercizi all’esistenza», scrive l’autore, «non sono altro che un modo di affermare l’ineluttabilità dell’arco temporale che ci è concesso qui, su questa terra, cercando di scongiurare, quasi di confutare o addirittura esorcizzare la cosa che più ci (mi) terrorizza: l’inanità, la vacuità, l’inerzia negativa, il decadimento e la disperazione di una vitalità che regredisce verso il confine ultimo del tempo e della materia».
Ciò che emerge fin da una prima lettura è che le poesie di questa silloge si collocano in un’area di sosta obbligata e appartengono a un momento di pausa e di riflessione dell’uomo-poeta Giuseppe Vetromile. Ne scaturisce una poesia dallo spaccato esistenziale febbrile, ricca di espressioni figurate, di simboli e di metafore, che si muove tra due abissi: da una parte l’infinitamente grande, l’estremo, il termine delle cose, e dall'altra l’infinitamente piccolo, il nulla.
Ed è proprio l’urgenza del dire e l’oscillazione tra questi due poli, che pone la sua poesia in costante tensione metafisica e le dà respiro, sbilanciamento e larghi movimenti.
Non sono stato pietra né diamante/ ma piccola particella incompleta/ frantumata/ dispersa nel regno terrestre/ senza uno scopo preciso/ e senza pace (p. 37).
Nella sezione “Allora la morte?” si fa dominante il pensiero alla morte come ‘soglia’. Se oggi viviamo il tempo dell’oblio della morte, con un tentativo perenne di rimuoverla, in passato c’era una modalità di pensare e vivere la morte che la innestava nell’esistenza, non la rimuoveva. C’era la necessità di prepararsi alla morte. E Giuseppe Vetromile, vive e agisce dentro questo solco, seppure con la consapevolezza che non saremo mai pienamente preparati ad accettarla ed accoglierla.
Avvertitemi quando sarà l’ora di partire/ che io possa prepararmi in tempo la borsa/ degli effetti personali e un ricambio/ di stringhe perché il cammino sarà lungo (p. 35).
Altro tema ricorrente nel libro, è quello sul senso della poesia e della scrittura “questa casa ha bisogno di te/ mia poesia” afferma infatti lo scrittore, nell’atto di creare talvolta in maniera quasi spasmodica e ossessiva. Di fatto, l’arte del poeta sta proprio nella capacità di utilizzare uno strumento così elementare e finito, come la scrittura, per esprimere qualsiasi cosa e rappresentare persino l’Infinito.
Tutta la raccolta si contestualizza metaforicamente in una “stanza”, tra gli oggetti comuni della vita quotidiana. Una stanza che diviene rifugio e limite al tempo stesso, ma pur sempre luogo in cui si conquista l’interiorità, si imparano quegli esercizi all’esistenza che dilatano il tempo. Quel tempo che è dimensione interiore personale, nutrimento per l'anima, il cuore e i sogni. «L’uomo Vetromile tende a non arrendersi», scrive Ivan Fedeli nella prefazione, «pur nella consapevolezza della dispersione, della completa osmosi tra parola e atomo. L’equazione tra poesia e vita acquista credibilità allora, come antidoto al buio. È necessario conservare una traccia, una piccola eredità contro il nulla».
Si placa, dunque, la ricerca ossessiva di pensieri che possano dire-lenire questo indagare-scandagliare e si fa strada un senso di accettazione e di accoglimento, che è parte dell’esperienza umana, in cui non manca un pizzico di autoironia: “mi derido allo specchio incrinato”. Un percorso, o meglio una ricerca quella di Vetromile -di cui si sente appartenenza e condivisione- che consente di approdare con sguardo pacato e rinnovato sulle cose: “riprendere il cammino” per “darsi una possibilità di rinascita” con la consapevolezza che gran parte di me è andata via/ m’è rimasto un lumicino/ giusto per vedere/ nella penombra del cunicolo/ l’oro dei ricordi alle pareti (p. 70).
Maria Pina Ciancio
*
C’è sempre un inciampo che impedisce il proseguire
c’è una parte di noi che vorrebbe prolungarsi oltre la stanza
defluire nell’incertezza dell’ombra
travalicare le colonne d’ercole
seguire le tracce d’un mito
farsi trascinare da un sogno
ma la porta sta lì
piantata bene sui cardini
sbarrata
a volte però si schiude per un attimo
e non lascia passare che un sentore
appena un’idea
un nostro debole grido
poi si richiude al netto dell’anima
e noi qui
sempre a ribussare
(p. 29)
Giuseppe Vetromile, Esercizio all’esistenza
Prefazione di Ivan Fedeli
puntoacapo, 2022, pp. 80, € 12,00