Domenica 12 febbraio sono state commemorate a Vervio le cinque vittime della furia fascista. Ne ripercorro i fatti. Per i partigiani dell’Alta valle, comincia male il 1945, l’anno che si pensa decisivo per le sorti del conflitto. Si debbono registrare, infatti, azioni di rastrellamento da parte delle truppe fasciste di Salò che hanno conseguenze tragiche, nonostante sia mutato lo scenario internazionale e, anche, quello locale. Qui, le azioni di guerriglia si sono intensificate, si susseguono ormai con frequenza. Reparti della formazione dei “Gufi” dalla montagna scendono a fondo valle e, dopo aver eseguito azioni di guerriglia, ritornano la sera sui monti. Un reparto trova sistemazione, per la notte, in località Schiazzera, nei pressi della caserma della guardia di finanza.
Una sera di febbraio, dopo aver mangiato qualcosa, prudentemente si dividono in tre gruppi per passare la notte in diverse stalle già da tempo individuate ed utilizzate. La cosa avviene ormai da qualche tempo. I rifugi vengono vigilati da parte dei patrioti con una vedetta, che resta in attesa fino alla una di notte. La tragedia avviene nella notte tra il 2 e il 3 febbraio, dopo il turno di vigilanza. È probabile che i giovani siano stati già avvistati. O forse c’è una delazione. Fatto sta che, mentre tutto sembra tranquillo, all’improvviso irrompono sull’accampamento una cinquantina di Brigate Nere del “Tagliamento”.
Un piccolo gruppo di partigiani è nascosto in una stalla lontana. Un altro gruppo fa in tempo ad accorgersi del pericolo per il trambusto provocato dall’irruzione fascista, e riesce a dileguarsi raggiungendo i boschi. La fuga viene descritta con queste parole: “Giuseppe Capetti ‘Rondine’ intravede quanto sta accadendo da una finestra, si butta giù, cadendo sul letame sottostante, riesce ad aiutare tre compagni di sventura a farli uscire dalla stessa finestra. Appena fuori, i quattro si dividono, si lanciano in una sfrenata corsa verso il bosco, l’incontro con i valligiani, la salvezza”. Ma quattro giovani restano sorpresi nel sonno, legati con corde, trascinati nel centro del paese. Subisce la stessa sorte anche un giovane valligiano bloccato in paese.
I cinque sono a lungo interrogati, minacciati, pestati a sangue. Naturalmente non parlano. Parenti, amici, abitanti cercano d’intercedere in loro difesa, per impedirne almeno la morte. Inutilmente. Tutti e cinque vengono passati tra le armi. Passano pochi giorni e il CLN emette il comunicato che riportiamo integralmente: “Zona di operazione, 12 febbraio 1945. Sono citati all’ordine del giorno della Divisione ed additati alla popolazione della Valtellina i seguenti guerriglieri: GARBELLINI BENITO, PRAOLINI ALDO, SCALA ANTONIO, QUADRIO INNOCENZO. Il valligiano VANINETTI REMO, ora guerrigliero anch’esso perché entrato nella Divisione per battesimo di sangue. MOTIVAZIONE: Dopo aver lottato strenuamente per lunghi mesi contro i carnefici della Patria, riuscendo a frenare la crudeltà e la baldanza, ed a proteggere le popolazioni da ogni eccesso, caduti in una imboscata, benché sottoposti a sevizie, si rifiutarono di fornire la benché minima indicazione al nemico, andando impavidi incontro a morte sicura. Caddero vilmente trucidati. Il loro sangue è seme di promessa di liberazione.” E prosegue:
VALTELLINESI! Le vostre case furono arse, i vostri vecchi, fanciulli e donne gettati nella neve della strada nel cuore dell’inverno: i vostri figli trucidati vilmente. E perché agli onori estremi che anche i popoli più barbari danno alle tombe-accorsero a migliaia le persone da ogni canto della Valle, si cercò di trarre in arresto il sacerdote di Dio, reo di non aver abbandonato insepolte le misere salme, si che anch’egli dovette cercare scampo nella fuga.
Sergio Caivano